L’isola di Salina, dai Greci chiamata Didyme – la doppia, la geminata – si innalza splendida al centro dell’arcipelago delle Eolie con le vette dei suoi due vulcani spenti, il monte dei Porri (860 m sul livello del mare) e il monte Fossa delle Felci (962 m sul livello del mare), quest’ultimo il più alto dell’intero arcipelago eoliano.
Nell’alta sella di Valdichiesa, che corre tra le loro opposte pareti montuose e congiunge la costa Nord e quella Sud, si dispongono i venti, incanalandosi, e giocano incessanti le correnti ascensionali che salgono dal mare e le brezze termiche, creando un microclima ricco di umidità, che favorisce le colture.
Intorno alle cime, ai dirupi, alle ardite scogliere o alle dolci curve dei pendii, coperte di un verde insospettato a questa latitudine, e specialmente per un’isola, respira il mare, profondo e generoso, ora lattiginoso e pigro sotto la velatura pallida del cielo percorso dallo scirocco, ora azzurro e pacifico, ora spazzolato dal vento di tramontana e striato di inquiete creste bianche, secondo i capricci di Eolo e i ritmi della natura, antica e suggestiva, che in queste terre fa ancora sentire forte la sua voce.
Insularità
Ascendere o discendere dal monte Fossa delle Felci significa passare in rassegna una summa degli ambienti naturali del nostro paese, da quelli montani ai più incontrastabilmente mediterranei: pini e castagni, vigne, ulivi, limoni, mandorli, fino ai fichi d’india e ai cactus, e l’odorosa fioritura dei gelsomini, delle ginestre, ma anche di molte piante selvatiche.
Allo stesso modo, passare del tempo a Salina nelle diverse stagioni dell’anno è vivere un microcosmo, un “riassunto di mondo”, che puoi abbracciare tutto con lo sguardo: dalle occasionali, brevi nevicate sulle cime in inverno, alle burrasche di vento e pioggia che ricordano quelle dell’alto mare, al confortante tepore autunnale, alla luce sfolgorante del sole.
Il mare è sottofondo costante a tutto questo: di volta in volta alleato o nemico, passaggio per altre terre o insormontabile ostacolo che emargina e imprigiona. Il mare è fonte di scambio o di minaccia, di vita o di morte, il mare unisce e separa. Perché quello che stupisce e affascina in un’isola è proprio la complessità e l’ambiguità insite nella sua natura, il suo essere a un tempo il luogo più inaccessibile eppure il più esposto e vulnerabile; ora negletto territorio periferico, ora avamposto strategico di somma importanza; ora zona spopolata e deserta, abbandonata dai suoi stessi abitanti – come a volte è accaduto, per cause naturali o economiche di forza maggiore, anche in queste isole – ora ambìto luogo di permanenza e punto di incontro/scontro di diverse popolazioni ed etnie.
La Storia e le storie
Ecco perché la Storia di Salina – e, implicitamente, dell’intero arcipelago delle Eolie – è particolarmente interessante e variegata. Come la troviamo nel libro di Giuseppe Iacolino, Raccontare Salina. Vol. I. Dalla genesi geologica alla fine del I Millennio (Publisicula-Mario Grispo editore, pp. 232, € 19,00), il primo volume di una serie di cui è già disponibile il secondo, dello stesso autore (Raccontare Salina. Vol. II. Dall'avvento dei Normanni in Sicilia (c. 1089) all'edificazione dei primi oratori a Salina nel corso del sec. XVII. , Publisicula-Mario Grispo editore, pp. 280, € 23,00).
Approfondire la Storia di Salina da un punto di vista orientato verso di essa, facendo della “periferia” il centro di interesse, mentre fa emergere elementi di solito non trattati dalla Storia ufficiale, segue in una sorta di “binario parallelo” la Storia più grande dei popoli e delle nazioni i cui effetti hanno prodotto trasformazioni anche profonde in queste terre apparentemente emarginate. Come accade forse in ogni epoca e in ogni luogo, le «storie minuscole», come le chiama l’autore, vibrano come diapason alle oscillazioni della Storia più grande, interpretandone le variazioni. E la Storia dell’Uomo si incarna nelle storie e nella memoria del vissuto delle persone.
Il testo è corredato dalla Presentazione di Riccardo Gullo, direttore del Museo archeologico regionale eoliano “L. Bernabò Brea”, da alcune mappe e illustrazioni e da un ricco apparato di Note.
Iacolino – nato a Favara (Ag), ma liparese di adozione, docente di Lettere classiche e autore di numerosi saggi dedicati alla conoscenza della Storia locale – si è basato in questo primo volume sugli studi dei geologi, sulle analisi archeologiche condotte sui reperti rinvenuti in tempi diversi –¬ ma soprattutto negli ultimi anni ’80 e ’90 ¬¬– sull’isola di Salina e nell’arcipelago, sui testi antichi e gli studi più recenti a disposizione, cogliendone con attenzione i riferimenti, sovente semplici resoconti o testimonianze di viaggiatori, monaci, guerrieri, nobili che per qualche motivo avevano sostato in questi luoghi o notizie indirette sullo stato dell’economia, sui commerci, sui tributi. Ma l’autore si è riferito anche, per sua stessa ammissione, a quei miti e narrazioni spesso tramandati oralmente, che restituiscono ciononostante alla Storia lo spessore dell’umanità. Per interpretare tempi così remoti, allora, prendono valore anche i toponimi, che diventano indizi di un sapere diffuso sul territorio e testimonianze di un passato più o meno attuale ai giorni nostri, e certo che Vallone della Fontana o Gramignazzo – solo per fare alcuni esempi − non sono nomi scelti per caso. Raccontare Salina è raccontarne il vissuto, e la lettura procede spedita e fluida. Laddove le fonti locali scarseggiavano, l’autore ha attinto ampiamente a quelle storiche più generali inserendo degli excursussulle più documentate vicende dei popoli e delle culture del Mediterraneo, succedutisi o incrociatisi in queste isole, che aiutano il lettore a inquadrare il ruolo interpretato da esse nello scorrere dei secoli.
Una realtà unica
Apriamo gli occhi su una ricchezza del nostro paese. Le Eolie sono un museo a cielo aperto, un luogo assolutamente particolare e ricco di sfumature e di accenti diversi e molteplici.
A cominciare dalla loro unicità geologica, contraddistinta dalla presenza attiva di diversi vulcani, per la quale sono state insignite nel 2000 dall’Unesco del titolo di “Patrimonio dell’Umanità”. La stessa isola di Salina, come la vediamo oggi, nasce dall’evoluzione, a partire da circa 400 mila anni fa, di ben sei vulcani, scandita dalle periodiche eruzioni e dal ciclico innalzamento e abbassamento del livello del mare, e di questa origine porta i segni nella stratificazione delle falesie o nella morfologia: il più noto (e fotografato) di essi è il faraglione di Pollara, unico resto di una metà inabissatasi del cratere dell’omonimo vulcano, crollato su se stesso circa 13 mila anni fa.
Le Eolie furono presto abitate, le prime tracce di insediamenti umani si hanno a Lipari nel periodo Neolitico, intorno al 4000 a.C.; a Salina sono stati ritrovati resti risalenti a un periodo che va approssimativamente dal 3300 al 2500 a.C.
Le isole, del resto, presentano una grande abbondanza di risorse naturali minerali: l’ossidiana (dalla cui scheggiatura gli uomini preistorici avevano imparato a ottenere i primi, preziosi, arnesi da taglio), l’allume, la pomice a Lipari, il sale, che ancora dà il nome all’isola di Salina. La disponibilità di esse, insieme alla produzione agraria e all’artigianato, ha determinato, attraverso i secoli, le fluttuazioni di un’economia a tratti fiorente e a tratti deficitaria, a volte penalizzata da cause naturali, come le eruzioni vulcaniche o le tempeste marine, o da cause storiche, guerre, stanziamenti di eserciti o l’invasione di pirati, frequente in tutto il Tirreno meridionale.
Erano tempi duri. Ma se la posizione delle isole le esponeva in modo particolare alle scorribande di «predoni d’ogni razza e provenienza, dagli sconosciuti primitivi invasori ai Vandali, dai Turchi ottomani ai barbareschi di Tunisi e di Algeri», allo stesso modo strategicamente le esponeva alla contaminazione da parte delle principali culture del Mediterraneo, a partire dai contatti con le “vicine” (sempre a seconda dello sviluppo dell’abilità e degli strumenti della navigazione) Campania, Calabria e Sicilia, passando per la cultura micenea, cartaginese, araba, greca, latina, fino a quella bizantina e all’apparire e diffondersi della tradizione cristiana, di cui i monaci orientali, spesso esuli in queste terre, furono i pionieri. Ai luoghi di culto e alle inevitabili commistioni con le credenze e i rituali locali della preesistente religione “naturale” il testo dedica un’attenzione particolare, imbastita anche di aneddoti vivaci.
Un impasto di culture e una ricchezza che fa di quello eoliano un “codice genetico” del tutto originale.
Attraverso gli strati sedimentati e sovrapposti delle ere geologiche e delle tracce umane, è lo scorrere del tempo a conferire a questo mondo circoscritto l’illusione della vastità. E ci si sorprende a pensare quanti differenti momenti, esperienze e trasformazioni abbiano potuto prendere vita attraverso i secoli nelle grotte, baie, insenature, gole, vallate diventati ora porticcioli, roccaforti, villaggi, coltivazioni, luoghi di culto, fino all’odierna struttura di comuni, viabilità e accessi che rende confortevole – sempre relativamente a una realtà insulare – attraversare l’isola da parte a parte e raggiungerne praticamente tutti i luoghi.
Valorizzare il passato
Non si può non considerare, scoprendo questi scenari, l’importanza di preservare e valorizzare il patrimonio storico dei siti e dei ritrovamenti, grazie alla sensibilità di chi opera localmente, ma anche grazie all’esistenza di programmi adeguati di valorizzazione delle risorse storico-archeologiche di una realtà così particolare.
Sono le radici che danno forza alla pianta e la memoria del passato non dovrebbe mai essere fagocitata e cancellata dal nuovo mito di un progresso “selvaggio” e indiscriminato. Tuttavia, in tempi di globalizzazione, occorre salvaguardare allo stesso tempo l’esigenza legittima di benessere e di sviluppo di queste isole cosiddette “minori” e il loro diritto a integrarsi nelle dinamiche nazionali, europee e globali, portandovi il contributo della loro particolarità.
Luciana Rossi
(direfarescrivere, anno VI, n. 54, giugno 2010)
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