Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Il potere legislativo nelle previsioni
dell’ordinamento costituzionale
della Repubblica Cisalpina del 1797
Città del sole edizioni pubblica la tesi di laurea
sull’argomento dell’intellettuale Mario La Cava
di Luigi Grisolia
Il 29 giugno 1797 nasce la Repubblica Cisalpina, la quale il 9 luglio assorbe la già esistente Repubblica Cispadana, arrivando a comprendere un territorio corrispondente, grosso modo, all’attuale Lombardia, Emilia Romagna (senza le province di Parma e Piacenza) e la zona di Massa e qualche lembo del Veneto.
L’8 luglio Napoleone Bonaparte emana la Costituzione. Tale documento è oggetto di studio di un recente libro stampato da Città del sole edizioni, La Repubblica Cisalpina. Appunti sulla costituzione e sull’attività legislativa (Presentazione di Gaetano Briguglio, pp. 128, € 10,00), del grande intellettuale e scrittore calabrese Mario La Cava (nato a Bovalino nel 1908 e lì deceduto nel 1988), sotto la cura del figlio Rocco. Si tratta della sua tesi di laurea, che colpisce perché in essa sono già presenti tratti caratteristici dello stile di La Cava, quali la semplicità, la chiarezza, l’immediatezza. Del resto, il linguaggio è una delle peculiarità per cui è subito possibile riconoscere uno scritto dell’intellettuale; linguaggio che, secondo Vincenzo Consolo, ha la stessa forza di quello di Alberto Moravia, come ricorda Briguglio. E si tratta anche di un’opera di un certo valore storico, considerato il fatto che i lavori in pubblicazione su quel periodo e quel particolare ordinamento creato dagli scossoni napoleonici sono davvero pochi.
Il libro si divide sostanzialmente in tre parti. La prima è dedicata ad alcune brevi riflessioni sulla situazione politica ed economica al tempo della nascita della Repubblica, con specifica attenzione alla Lombardia, futuro centro di potere della stessa.
La Cava nota in particolare come manchi nella penisola una vera e propria coscienza unitaria nazionale: le idee politiche circolanti, infatti, sono intrise di influenze provenienti dalla Francia (fresca di rivoluzione). È così anche negli scritti di intellettuali famosi come Cesare Beccaria e i fratelli Alessandro e Pietro Verri. Questa mancanza spiega «la facilità con cui poterono essere accolti in Italia gli ordinamenti repubblicani di Francia con le vittorie di Napoleone».

Caratteristiche del potere legislativo e della seguente attività
Nella seconda parte lo studio si concentra direttamente sull’analisi degli aspetti del potere legislativo della Costituzione della Repubblica Cisalpina. Essa è modellata su quella francese del 1795 e, quindi, incentrata, almeno a parole, sulla sovranità del popolo. Infatti, il potere legislativo era nelle mani di un Corpo legislativo formato da un Consiglio dei seniori e da un Gran consiglio (art. 44), che, nominati dal generale in capo nel 1797, entro un anno sarebbero stati eletti dagli aventi diritto. Ma questa disposizione rimase inattuata, come tante altre. All’inizio la nomina venne dall’alto per consentire la transizione dal regime di subordinazione straniera (cioè austriaca) a quello costituzionale e, teoricamente, indipendente. Teoricamente, perché, come ben evidenzia La Cava, in realtà non solo la Repubblica Cisalpina era un “protettorato” francese, ma, nelle intenzioni di Napoleone doveva essere il simbolo del potere francese in Italia, monito per tutti gli altri stati. E le parole “moderne” utilizzate nelle varie dichiarazioni e proclami erano solo di facciata (a cominciare dall’art. 3 della stessa Costituzione: «La repubblica Cisalpina conserva, e tramanda ai posteri il sentimento di eterna riconoscenza verso la repubblica francese, cui è debitrice della ricuperata libertà»).
Del resto, la stessa nomina diretta dei primi legislatori sovvertiva il nocciolo fondamentale della sovranità popolare, che era poi la base della Costituzione francese cui si rifaceva quella cisalpina.
In ogni caso, erano previsti due tipi di elettori. L’elettore di primo grado, nella Costituzione, ex art. 7 del Titolo II, chiamato cittadino attivo, e cioè tutti gli uomini di anni 20 iscritti nel registro civico dei propri comuni, purché non siano mendicanti o vagabondi. Qui La Cava evidenzia come ci sia una palese contraddizione con l’art. 20 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (messa come sorta di premessa alla Costituzione medesima), secondo il quale «Ciascun cittadino ha un diritto eguale di concorrere immediatamente o mediatamente alla formazione della legge, alla nomina dei rappresentanti del popolo, e de’ funzionari pubblici». I cittadini attivi eleggono le assemblee primarie, organi distrettuali composti da 450 a 900 membri, che si occupano di alcune nomine a livello locale, come quelle dei giudici di pace e degli ufficiali municipali e, come vedremo a breve, della nomina dei membri delle assemblee elettorali, un’altra tipologia di organo distrettuale.
C’è poi l’elettore di secondo grado, ai sensi dell’art. 35 del Titolo IV, e si è tali sulla base di un suffragio ristretto, che partendo dall’età minima di 25 anni, risulta essere abbastanza meticoloso nelle successive condizioni che lo determinano. Tra chi ha questi requisiti di capacità giuridica, le assemblee primarie di ciascun distretto nominano, secondo determinati criteri, i componenti delle assemblee elettorali. Quest’ultime hanno importanti compiti, tra cui quello di eleggere i membri del Corpo legislativo e gli amministratori degli undici dipartimenti in cui è divisa la Repubblica.
Ciò che notiamo è che, per quanto riguarda i cittadini attivi, a prima vista sembrano legittimati a votare tutti gli uomini di almeno 20 anni, fuorché mendicanti o vagabondi. Ma stando al criterio di capacità in merito all’iscrizione al registro civico, come nota ancora La Cava, si è stati più larghi del necessario: infatti i giovani non possono essere iscritti nei registri se «non provano di saper leggere e scrivere, esercitare una professione meccanica, e se non sanno fare l’esercizio militare» (art.18), disposizione parzialmente attenuata dal fatto che tra le professioni meccaniche sono incluse le operazioni manuali dell’agricoltura.
Da rilevare poi come, per quel che concerne gli stranieri, le norme sono assolutamente restrittive, e testimoniano «la riluttanza ad aprire con troppa rilassatezza gli uffici della Repubblica agli stranieri»; l’unica eccezione fu fatta per i Veneti.
L’intellettuale calabrese prosegue nella sua illustrazione del potere legislativo previsto dalla Costituzione, notando tra l’altro, amaramente, come non ci sia traccia di diritto di voto per le donne, della presenza del divieto di voto per procura, dell’inesistenza di vere e proprie ineleggibilità. «Avventate», invece, sono le disposizioni sull’incompatibilità, in quanto la previsione ex art. 47 secondo cui sono incompatibili la qualità di membro del Corpo legislativo e l’esercizio di un’altra funzione pubblica (esclusa quella di archivista), impongono di scegliere al di fuori dello stesso i ministri e i direttori, e ciò è dannoso.
Il volume si chiude con un’analisi dell’attività legislativa del Corpo legislativo nominato. E qui La Cava rileva, non senza ironia, che tale attività è stata «quanto mai caotica come se fosse opera di uomini irragionevoli che, perduto il senso della realtà, si baloccassero colle parole». Unica giustificazione a ciò: un’impreparazione assoluta dei componenti dovuta alla novità della cosa.

Luigi Grisolia

(direfarescrivere, anno V, n. 47, novembre 2009)
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