«Attraverso la mente di un giovane che non ha dimenticato il senso di appartenenza e l’impegno che si deve a ogni intellettuale di prim’ordine, si palesano le possibilità di un vero progresso civile e culturale», così il critico letterario Marco Gatto commenta nella parte finale della quarta di copertina Lettera ad un politico calabrese (e per conoscenza a tutti gli altri) (Città del sole edizioni, pp. 120, € 10,00), un libro particolare e curioso in cui un giovane Salvatore Pistoia Reda – l’autore stesso −, di appena ventiquattro anni, studioso di filosofia del linguaggio, compone una lunghissima lettera indirizzata ad un politico calabrese, volutamente senza identificarlo. Un libro particolare, dicevamo: manca, infatti, una suddivisione in capitoli; e il testo si consuma in un susseguirsi di ore che per tutta la notte accompagna il lettore nello scandire le fasi di stesura della lettera, da dove traspare sempre il sentimento di un giovane che decide, dopo tante sofferenze e incertezze, di partire e lasciare la sua terra natia. Utilizza questa lettera come valvola di sfogo di un sentimento di rabbia e di non-rassegnazione che vede oggi, ancora come tanti anni fa, le migliori energie di questa regione costrette ad abbandonare la propria terra e trovare un giusto collocamento nella società, altrove. È forse questa una delle chiavi di lettura del testo e una considerazione spontanea che, riflettendo, può essere fatta. La lettera è anche la sottolineatura della mancanza di buona politica, e questo, oltre che ai meccanismi perversi che regolano le candidature e l’occupazione dei posti di potere, è dovuto alla mancanza di un ricambio generazionale perché giovani impegnati, appassionati e lucidi come Pistoia Reda, sfuggono al potenziale politico della Calabria per esplicare conoscenze, passioni e impegni in altre realtà territoriali.
La triste decisione della partenza
Il dado dunque è tratto, la mattina successiva alla stesura della lettera un treno porterà l’autore da Sibari a Roma, dove inizierà una nuova vita professionale. Il tono della lettera di commiato all’onorevole calabrese ha un’impostazione diversa dalle tante già scritte e indirizzate al politico, volte a richieste di tipo ordinario: «Le ho indicato la buca nella strada, e forse avrei dovuto alzare il braccio di novanta gradi ed indicarle la luna». L’autore sottolinea le affinità e le diversità con la generazione dei suoi nonni, emigrati anche loro, ma spinti da motivazioni e condizioni economiche e sociali differenti; un tempo si scappava mossi da un bisogno impellente per fronteggiare la fame, oggi la fame è quella di fare qualcosa, di partecipare attivamente ai processi di cambiamento e mutamento del mondo globalizzato, cambiamenti che, laddove si intravedono in Calabria, sono senza dubbio difficili da condizionare e governare. «Capisce, onorevole, in che senso le dicevo che è vero che ci possono essere delle somiglianze fra la mia condizione e quella di qualche mio più anziano parente? È ovvio che non si può parlare di una completa uguaglianza: io non soffro la fame o la povertà come loro. Ma, se mi segue nella metafora che vuole che anche la mia sia una sorta di indigenza, l’affinità consiste nel fatto che in entrambi i casi il sollievo dal bisogno, il luogo in cui saziarsi è altrove, lontano. Inoltre, essendo la fame una necessità irrimandabile, sia io che il vecchio emigrato avremo ben poco di cui dubitare e saremo costretti ad andar via». La condizione oggi dei tanti emigrati calabresi, spesso con elevati titoli di studio e significative esperienze all’estero, pone la Calabria nelle condizioni di potere usufruire di un enorme potenziale in termini di esperienze e possibili azioni da portare avanti, ad esempio, con l’utilizzo di Internet che, oggi come non mai, ha la potenzialità di mettere in rete le migliori energie calabresi. L’autore non vuole spingere verso una sorta di commissariamento della Calabria, ma invita l’onorevole a farsi promotore di una chiamata di responsabilità volta all’impegno e all’azione in favore della costruzione di una possibile strada di sviluppo e riscatto sociale ed economico. Un percorso che viri rispetto ai tanti fallimentari processi di industrializzazione che hanno portato capannoni oggi abbandonati, infestati da erbacce e insetti, che stridono, tra colorati e antichi frutteti.
Una politica diversa in Calabria è possibile?
È possibile immaginare un futuro in Calabria in cui vivere e non sopravvivere − si chiede l’autore − dove invece del contingente, del posto di lavoro per pochi eletti, si possa ragionare su progetti di medio-lungo periodo. Si sottolinea il ruolo fondamentale della politica, il suo alto senso, con la sua funzione di argine degli interessi dei pochi a vantaggio degli interessi dei molti, il suo valore, la sua indispensabilità; una politica lontana, purtroppo da quella che si esercita in Calabria, spesso strumento per scalare posizioni di potere da parte di individui senza scrupoli. Si arriva così anche alle considerazioni forti, dure, in cui si prende coscienza dello stato di cose e l’autore chiede all’onorevole di farsi da parte, di abbandonare un campo che tanti disastri e inefficienze ha prodotto nella nostra terra. «Altrimenti, politici di tutte le parti unitevi e commissariateci!». Giunge, infine, il momento di salire sul treno, di terminare la lettera e l’autore si sofferma su due figure che osserva dal finestrino del treno: una rappresenta il calabrese medio di mezza età, basso e un po’ grosso, che si muove sul marciapiede della stazione senza fretta come se non avesse nulla da fare; l’altra è una ragazza che arriva trafelata, zaino in spalla, in evidente preoccupazione per il suo ritardo. In queste due figure l’autore immagina, o meglio sogna, di vedere la Calabria di oggi e quella del futuro; ma è solo una visione, meglio partire sperando in un colpo di reni e in una presa di coscienza della società calabrese.
Andrea Vulpitta
(direfarescrivere, anno V, n. 38, febbraio 2009) |