Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Italiani: un popolo di aspiranti scrittori,
ma sul desiderio di vedersi pubblicati
prospera qualche editore “disinvolto”
Ma gli operatori seri esistono. Come riconoscerli?
Terre di mezzo ce lo spiega in un libro-inchiesta
di Margherita Amatruda
Sei un esordiente e vuoi pubblicare il tuo libro? Semplice! Basta pagare. Ma è giusto farlo o esistono delle alternative? Ci aiuta a scoprirlo la giornalista Silvia Ognibene col suo libro Esordienti da spennare. Come pubblicare il primo libro e difendersi dagli editori a pagamento (Terre di mezzo, pp. 144, € 12,00). Quella dell’autrice è una vera e propria inchiesta che porta alla luce pregi e difetti del mondo dell’editoria. Lo stile giornalistico e il linguaggio semplice rendono il testo avvincente e ne permettono la lettura tutta d’un fiato. L’argomento trattato e le testimonianze riportate spingono il lettore alla riflessione privando di un po’ di quel romanticismo, che da sempre lo contraddistingue, il mondo della cultura. Soprattutto portano alla luce una verità che ci rifiutiamo in molti di accettare: l’editore non è solo un tizio che fa cultura. L’editore è soprattutto un imprenditore che se vuole far sopravvivere la sua azienda deve comportarsi come tale.

Viaggio nel mondo dell’editoria a pagamento
Purtroppo, «quello dell’editoria a pagamento è un fenomeno diffuso, tanto che in molti casi gli stessi scrittori esordienti sono portati a considerarlo “normale”» afferma Ognibene. Il libro nasce con l’intenzione di spiegare il funzionamento dell’editoria a pagamento e per «individuare i metodi e le strategie più diffuse tra coloro che si definiscono editori, ma chiedono un contributo economico agli aspiranti autori».
La giornalista, dopo aver messo insieme quello che definisce «un “fritto misto” privo di coerenza tematica e stilistica» che raccoglie una serie di reportage scritti da lei stessa in periodi precedenti, al quale aggiunge la parte iniziale di un libro pubblicato qualche tempo prima da Terre di mezzo editore, gli dà il titolo Racconti d’America e altre storie e invia il dattiloscritto a una serie di case editrici “sospette”.
Inizia così il suo viaggio nel mondo dell’editoria a pagamento.
Infatti, dopo una breve attesa, riceve risposta dalle case editrici cui aveva spedito il dattiloscritto. «Al mio appello da esordiente – afferma Ognibene – hanno risposto praticamente tutti i destinatari del plico. Tutti, senza eccezione alcuna, per comunicarmi di essere interessati a pubblicare il libro, ma solo dietro contributo dell’autore». Una volta ricevuta risposta l’autrice contatta i vari editori cercando di scoprire cosa motivi la richiesta del contributo agli autori e soprattutto cosa compera un autore versando le cifre richieste. Le motivazioni addotte dai diversi soggetti con cui la giornalista entra in contatto sono più o meno le stesse. Purtroppo, il più delle volte, si tratta di un semplice acquisto di copie del proprio libro, non c’è alcun impegno da parte della casa editrice alla promozione e alla distribuzione dello stesso. Questo tipo di editore giustifica la richiesta del contributo affermando che, dato che un autore sconosciuto non lo legge nessuno, non riesce a recuperare con le sole vendite le spese per la pubblicazione, ammettendo implicitamente di essere il primo a non credere nel progetto editoriale che viene finanziato, così, esclusivamente dall’autore stesso. Inoltre, sempre per gli editori a pagamento, i veri “nemici” degli esordienti sarebbero i librai che non ordinano i libri firmati da nomi non noti. Nel testo viene dimostrato, attraverso testimonianze dirette, come dietro a questa sorta di vittimismo, si nasconda una scelta di comodo. È certo più facile guadagnare facendosi pagare dagli esordienti che mettersi in campo e rischiare – come dovrebbe fare un vero imprenditore – investendo risorse in progetti validi e impegnandosi affinché un libro sia distribuito nelle librerie. Addirittura, molti di questi editori a pagamento non hanno alcun rapporto con le agenzie di distribuzione.

«Vanità, solo vanità»?
Ma perché questo fenomeno è così diffuso?
«Va detto: il fenomeno dell’editoria a pagamento prospera, in qualche modo, proprio a causa di un buon numero di aspiranti scrittori, disposti a tutto pur di pubblicare» afferma Ognibene. Gli anglosassoni definiscono col termine vanity press «l’editoria a servizio di chi vuole pubblicare a ogni costo e, accecato dalla propria vanità, attribuisce al proprio lavoro un valore eccessivo». Gli editori a pagamento hanno ben chiaro tutto questo e lo sfruttano a loro vantaggio, facendo leva proprio sulla vanità dell’aspirante autore.
Inoltre questo fenomeno inizia ad essere visto come un passo necessario per arrivare alla pubblicazione. A forza di ripetere che anche Alberto Moravia, o altri scrittori oggi famosi, hanno dovuto pagare per vedere edita la loro prima opera si innesca un meccanismo che fa passare per “normale” qualcosa che in effetti “normale” non è.

Gli editori: quelli seri
Si sa, il mercato editoriale non è un mercato semplice, ci sono delle difficoltà oggettive. Se da una parte «le occasioni per acquistare libri aumentano» spiega l’autrice, «è sempre più difficile trovare un titolo dopo pochi mesi dal lancio commerciale: la vita del libro si accorcia». E ancora «le piccole librerie indipendenti tendono a ridurre le giacenze dei libri in magazzino, nel tentativo di abbattere i costi per reggere la competizione feroce di supermercati e catene di librerie». In questo sistema l’editoria orientata alla ricerca del prodotto di qualità, inevitabilmente, cede il passo alla «cosiddetta editoria da classifica, dei prodotti super pubblicizzati rivolti al consumo di massa». Inoltre «le case editrici maggiori controllano anche la distribuzione (direttamente o attraverso partecipazioni strategiche), sono proprietarie delle grandi catene di librerie e possono contare su un’ampia e costante presenza sui mass media». Eppure, per fortuna, gli editori seri esistono ancora. Ne porta diversi esempi Ognibene. Non è detto che anche un editore serio non chieda il contributo all’autore esordiente ma, a differenza dell’editore a pagamento, non pubblica tutto ciò che gli capita e soprattutto una volta avviato un progetto editoriale si impegnerà nella promozione e nella distribuzione del libro. Certo è difficile restare a galla, ma c’è ancora chi continua a fare il suo mestiere con passione ed onestà. L’autrice riconosce al sistema della piccola e media editoria un ruolo fondamentale per la filiera di produzione e consumo del libro in Italia: «i piccoli editori fanno scouting, sono loro cioè, la maggior parte delle volte, a cercare i nuovi scrittori, a coltivare gli esordienti: un’operazione impegnativa e costosa che gli editori grandi hanno pressoché abbandonato». Ma come fanno gli editori “minori” a sopravvivere in questo vorace mercato? In che modo riescono ad accedere alla distribuzione e quindi ad arrivare in libreria? A queste domande l’autrice risponde che «la piccola editoria viva e vitale ha saputo puntare sulla specializzazione e sulla qualità. Su questi punti di forza ha costruito la propria identità, dotandosi di un’immagine coerente e solida, ed è stata capace di promuoversi e rendersi riconoscibile, accreditandosi come attore serio e affidabile presso i lettori ma, soprattutto, presso i distributori e i librai che hanno in mano la sorte dei libri e perciò degli editori».

Margherita Amatruda

(direfarescrivere, anno IV, n. 36, dicembre 2008)
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