Un modo semplice e allo stesso tempo curioso per raccontare la diffidenza e (l’imperante) sfiducia verso la politica è sicuramente quello di scriverci su una storia. Se a questa sfiducia si vuole aggiungere il disagio per un Sud Italia sempre più abbandonato a se stesso e il difficile momento lavorativo che molti giovani stanno affrontando, beh, allora Il politico (Laruffa Editore, pp. 176, € 10,00) scritto da Vincenzo Giglio, magistrato con la passione per il racconto, è un “libricino” che riesce a sintetizzare tutto questo.
Il vezzeggiativo di cui sopra non deve però trarre in inganno: Il politico è un racconto scritto col cuore, calabrese, di chi conosce la realtà della terra nella quale vive, un racconto scritto in modo chiaro e allo stesso tempo carico di tanti sentimenti e di tante emozioni. Eppure Giglio è al suo primo libro pubblicato, anche se non si direbbe proprio.
Il vernacolo si mischia con situazioni ordinarie in cui viene fatto un uso distorto e svilente della politica, gli episodi che l’autore racconta sembrano ritratti che si scolpiscono, con tutta la loro vivacità di colori, nella mente di chi legge senza volersene andare.
Una storia meridionale “normale”
Gino, il protagonista, è un ragazzo che soffre di uno dei grandi mali del nostro tempo: la precarietà. Passa da un lavoro all’altro, senza riuscire a trovare quella stabilità che potrebbe veramente dargli la possibilità di cominciare a pensare al suo futuro. Lo incontriamo nella prima pagina, da solo, sul suo scooter in un pomeriggio afoso.
Ha perso il suo lavoro da cassiere in un supermercato e ha chiuso la storia con la donna che ha amato da sempre. Un periodaccio insomma, se non fosse per l’affetto di sua sorella e di un paio di amici fidati, quelli di sempre, insomma.
Si delinea già il suo semplice carattere, il giovane si pone davanti ai problemi con spirito critico, nonché molto ironico, come solo i “grandi politici” sanno fare. Ma non si direbbe che questa sia la strada di Gino, o forse sì. Bisognerebbe chiederlo a Tarantino, avvocato senza scrupoli, che ha in mente di creare un movimento politico nuovo intorno al buon Gino, il Pis (Partito delle istanze sociali). Sarà quello il momento di vedere se il ragazzo ha o meno la stoffa del politico, e dell’uomo, naturalmente. Dalla campagna elettorale alle elezioni, alla vittoria, agli accordi politici, fino ai compromessi più duri da accettare.
Demetrio Paolo Micalizzi, l’autore del disegno di copertina, racconta a matita i volti dei protagonisti, rendendoli ancora più reali di quanto sarebbero potuti apparire nell’immaginazione del lettore, un elemento che arricchisce ancora di più questo piccolo ma grande racconto.
La storia è ambientata in un futuro non molto lontano, il 2010, quasi come se l’autore non abbia fiducia negli anni che verranno. Ma il positivismo di fondo nella storia c’è, ed è sicuramente rappresentato da Gino, dai suoi modi di fare, dai suoi dubbi e dai suoi principi.
Come dire: c’è ancora speranza, anche per il 2010.
La lingua calabrese
Nella Prefazione del libro l’autore ama lanciare un messaggio forte, che racconta delle sue radici, della sua infanzia e anche di quella dei suoi figli. Il filo conduttore è il dialetto, un patrimonio linguistico che allora, quando l’autore era bambino, non era “sporcato” dalla «globalizzazione linguistica» voluta dal tubo catodico della tv, che tende ad appiattire la lingua italiana, senza lasciare respiro alle lingue locali.
Giglio lancia un messaggio a tutti, urla quanto è bello poter parlare il dialetto ma, soprattutto, poterlo condividere.
Ed è il dialetto il vero motore della storia, il “pretesto” grazie al quale Giglio è riuscito (benissimo, per altro) a tirar giù una storia bella come questa: «ho provato a imbastire una storia che richiedesse come sua cifra stilistica, come elemento di forte caratterizzazione, l’uso sia pure saltuario e limitato ai dialoghi, dell’idioma reggino». Ma, e il titolo ce lo ricorda, non è solo questo il leitmotiv della storia; c’è la politica, scelta dall’autore perché: «la politica, che ci piaccia o no, ha influenza diretta sulla vita di ognuno, può rendere migliore o peggiore il nostro mondo, può spalancarci le porte del futuro oppure ricacciarci nel passato».
Un libro da leggere, assolutamente, tutto d’un fiato, per scoprire che anche un magistrato, con la penna (o con la tastiera di un computer) ci sa fare, eccome!
Carmine De Fazio
(direfarescrivere, anno IV, n. 33, settembre 2008) |