Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Frammenti di mito ancora oggi attuali,
affinché si possa cogliere il passato
come stimolo per un futuro migliore
Nella raccolta di liriche di Falco editore, gli eroi
sono uomini che amano, patiscono e muoiono
di Annalice Furfari
Come ci spiega Jean-Pierre Vernant, il mito è «un racconto che esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo». Le storie che ne fanno parte sono riuscite a superare il pericolo dell’oblio totale, attraversando indenni le trasformazioni delle civiltà nei secoli, adeguandosi costantemente ai bisogni culturali e spirituali degli uomini. Ecco spiegato il motivo per cui il richiamo antico e potente del mito esercita, ancora oggi, tutta la propria forza suggestiva sugli individui immersi nella contemporaneità. Lo ha ben compreso Flavio Nimpo, autore di Frammenti di mito (Falco editore, pp. 164, € 11,00), una raccolta di liriche che ripercorrono le vicende dei personaggi più celebri della storia della mitologia, con l’intento di intrecciare legami profondi tra passato e presente, tra realtà e fantasia, tra storia e leggenda. Infatti, gli insegnamenti di questi eroi atemporali conservano una straordinaria attualità, costituendo un esempio utile e salvifico per gli uomini odierni.
L’opera è strutturata in tre sezioni differenti. Nella prima, intitolata Voci… nel tempo, troviamo venti monologhi che danno direttamente voce agli interpreti del mito, i quali esternano i loro sentimenti, le loro brucianti passioni d’amore, i loro patimenti, le loro gioie e le loro afflizioni, rendendoci così accessibile il loro universo interiore. Nella seconda parte, denominata Lirici… ricordi, cinquantacinque poesie, composte dall’autore, ci consentono di conoscere più da vicino le storie, le avventure e le traversie di questi personaggi leggendari. Infine, nella terza sezione, intitolata Dialoghi… di sempre, vi sono otto conversazioni che tratteggiano i conflitti, le amicizie e i legami d’amore dei protagonisti del mito.
Con i suoi versi suggestivi, l’autore desidera mostrare questi personaggi in maniera profondamente diversa da come sono stati delineati in secoli di storia delle civiltà umane. Infatti, davanti ai nostri occhi non si stagliano divinità auree, eteree e impalpabili, altezzosi poeti dall’elevata raffinatezza di ingegno, eroi maestri nell’arte della guerra e della politica, fieri e sovrumani protagonisti del mito. Al contrario, troviamo racconti di uomini autentici, in carne e ossa, uomini che non si preoccupano di nascondere le loro debolezze, i loro limiti, le loro vergogne, i loro irreparabili errori. Persino gli dèi appaiono vinti, fragili, capaci di soffrire inconsolabilmente per amore, o travolti da passioni inspiegabili e incontrollabili. Così, nonostante i secoli di distanza che ci separano, i personaggi della mitologia ci sembrano estremamente vicini, in grado di comprendere e condividere le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre angosce, le nostre ansie e i nostri momenti di felicità. In fondo, siamo tutti uomini, accomunati da identiche passioni e debolezze, dallo stesso coraggio nel combattere le difficoltà, da uguali ideali e valori. Infatti, così come ci ricorda l’autore per bocca di Ettore, «l’uomo è fragile per natura, ma può essere capace di forti slanci e di magnanimità; egli è alle prese con i suoi limiti ed i suoi vincoli, anche se nessuno può privarlo della sua libertà interiore. Siamo anelito e palpito, speranza e debolezza, desiderio di amare e di essere riamati».

Uomini, dèi ed eroi alle prese con il dolore e l’amore
Nell’opera di Nimpo, i protagonisti del mito rispondono immancabilmente all’appello. Troviamo Nosside, la poetessa della Magna Grecia (nata a Locri Epizefiria, in Calabria) che ha cantato l’amore con le sue rose e le sue spine e ha reso noto al mondo intero il nome di una terra spesso bistrattata, maltrattata e abbandonata, ma, al contempo, accogliente e selvaggia: «un luogo senza tempo, calato nel suo mito ed incastonato come una pietra preziosa fra mari, monti e campi». Non manca neppure l’altra celeberrima poetessa greca, Saffo, nata nell’isola di Lesbo e considerata la decima musa. Anche lei ha nobilitato e glorificato il sentimento e la bruciante passione d’amore, con i suoi versi dolenti e suggestivi; quello stesso amore che ha segnato inesorabilmente la sua esistenza, colmandola di ferite, dolori, rimpianti e nostalgie, ma regalandole anche una gioia sublime e la fama eterna.
Tra i poeti tragici, Nimpo ricorda Euripide, colui che ha rinnovato profondamente la drammaturgia greca ma che, proprio per questo motivo, è stato disprezzato dagli ateniesi suoi concittadini i quali non hanno compreso le sue ragioni e non hanno saputo riconoscere l’elevatezza e la raffinatezza di un genio capace di dare voce ai deboli, alle donne, agli stranieri, agli umili, «a tutti quei “diversi” che nella loro humanitas hanno rappresentato la vita dei mortali» che soffrono e lottano, accettando i loro limiti, deprecando la guerra e affermandosi persino contro la volontà degli dèi.
Contrariamente a quanto fatto da Euripide, Teocrito ha dipinto, nei suoi versi, un mondo sereno e imperturbabile, quel «locus amoenus, che rievoca la mitica Arcadia di ninfe e pastori». All’uomo bisognoso di evadere dalle angosce, dagli affanni e dai patimenti della quotidianità, il poeta ha offerto la bellezza incantata, magica e sognante di paesaggi agresti soleggiati e ridenti, dominati da una natura incorrotta e rassicurante e popolati da splendide creature fatate.
Accanto ai cantori del mondo e dell’esistenza, troviamo i più noti personaggi dei racconti mitici, fautori di imprese memorabili e vittime di tragici destini. Proprio come quello di Creusa, sposa di Enea e madre di Ascanio, costretta a scomparire, per volontà degli dèi, durante l’assedio di Troia da parte dei guerrieri greci. La sua ultima preghiera si rivolge ai due uomini più importanti della sua vita, nella speranza di non essere dimenticata e nel desiderio che il suo bambino cresca sempre nell’amore, in «quella forza misteriosa che è vita e dà vita, essendo Armonia dell’Universo». Ma Enea deve sottostare a un volere superiore a quello umano, essendogli stato attribuito l’arduo compito di fondare una nuova città, missione che lo vedrà costretto ad affrontare durissime prove peraltro brillantemente superate. Tra queste, vi sarà quella legata all’amore fervente e passionale di Didone, regina di Cartagine, annientata da un sentimento stabilito dall’alto. Nel suo lungo viaggio, Enea incontra anche Pallante, fondatore di una colonia nel Lazio, giovane speranza stroncata dalla furia devastatrice di Turno. A fianco di quest’ultimo troviamo, invece, Camilla, consacrata a Diana, eroina allevata dal padre come un maschio, che cadrà in battaglia, vittima proprio di quella vanità femminile che non aveva mai conosciuto.
Un’altra martire della guerra di Troia e dell’amore è Fillide, principessa greca disperata per il mancato ritorno dello sposo Acamante, la quale si suicida, trasformandosi in un mandorlo che fiorisce al tocco vibrante dell’amato. Anche Giacinto si è tramutato nella pianta che porta il suo nome, per amore del dio Apollo, in lacrime per la morte del ragazzo, provocata per sbaglio dal lancio del disco dello stesso Apollo.
Gli altri sventurati eroi di Troia sono Priamo, re della città leggendaria, ostinato e cieco nella convinzione che essa non sarebbe mai stata espugnata; Ettore, il guerriero che ha rinunciato valorosamente ai suoi affetti familiari, pur di servire la patria; Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, scaraventato dalle mura della città dal nemico e, da quel momento, «immagine dell’innocenza offesa, dell’infanzia negata e delle vittime di guerra»; Cassandra, sacerdotessa di Apollo, la quale, rifiutato l’amore del dio, è stata destinata a divenire profetessa di sventure inascoltata e non creduta, portatrice di verità difficili da sostenere ed esempio di virtù che sopporta la punizione ingiusta, pur di non rinunciare ai suoi retti ideali. Sull’altra sponda, quella greca, troviamo Achille, ammirato, invidiato e temuto per la sua incredibile forza in battaglia, celebre in eterno come il più grande eroe di tutti i tempi, ma di cui è stata ignorata la profonda umanità, con le sue passioni, i suoi patimenti, le sue lacrime, i suoi timori e le sue speranze; Ulisse, «l’eroe multiforme, protagonista di viaggi e di peripezie», messo in discussione dalle sue donne, che lo costringono a confrontarsi con le sue debolezze e i suoi difetti; l’affascinante e sensuale Elena, responsabile dei dolori della sua gente, vittima della sua stessa bellezza e del suo amore per l’uomo sbagliato.
A cavallo tra il mondo umano e quello divino, vi è Iride, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dèi, portatrice della speranza, quell’«antidoto contro la sfiducia», «fiammella che illumina l’anima e riscalda il cuore». Fetonte, figlio del Sole, è conosciuto per aver guidato il carro del dio, ma, incapace di governarlo, ha causato danni alla Terra ed è stato colpito dal fulmine di Zeus, dando origine alla costellazione dell’Auriga, «monito splendente, che invita l’uomo a non osare imprese superiori alle sue capacità». Poi troviamo la ninfa Dafne, trasformatasi in albero di alloro pur di sfuggire all’amore molesto di Apollo; Eco, ninfa innamorata di Narciso, la quale, non corrisposta, si è consumata fino a rimanere solo voce; Narciso, punito per essersi innamorato della sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua; Clizia, che è stata castigata per la gelosia distruttrice nei confronti di Apollo ed è stata trasformata in un girasole, condannata a rivolgersi costantemente verso il suo dio, in eterna adorazione. Infine vi è Orfeo, poeta disperato per la morte dell’amata Euridice. Ottenuto dagli dèi il permesso di scendere negli inferi per riportarla in vita, a patto di non voltarsi a guardarla, il giovane non resiste al divieto: la passione incontrollabile lo vince e gli fa perdere la sua ultima possibilità di coronare il suo sogno d’amore.

Pennellate poetiche per un mondo in cui il “diverso” è accettato
Flavio Nimpo (nato a Cosenza, appassionato del mondo classico e dell’arte, insegnante liceale di latino e greco, curatore di spettacoli teatrali in ambito scolastico, collaboratore per la pagina culturale del quotidiano La provincia cosentina e allestitore di mostre di pittori locali) tratteggia queste storie appassionanti e dolenti con morbide pennellate poetiche, che dipingono nella nostra mente i volti di tristezza, malinconia, bellezza, eroismo, coraggio, valore e sacrificio dei personaggi della mitologia classica, grazie anche all’ausilio delle illustrazioni creative e fantasiose realizzate da svariati artisti locali. Tra i meriti dell’autore, vi è l’uso di un linguaggio estremamente fluido e scorrevole, pur fregiato di uno stile aulico, elegante e raffinato, così che anche i non addetti ai lavori o i non esperti di poesia possano comprenderlo.
Il filo conduttore che unisce queste liriche è indubbiamente l’amore, sentimento che accomuna gli uomini agli dèi e gli umili agli eroi, con i suoi batticuori, i suoi tremori, le sue illusioni, le sue gioie eterne, le sue pene irrimediabili e inconsolabili. L’amore, per gli uomini, rappresenta «ricerca ed affanno, conquista ed approdo sicuro, speranza nutrita, illusione perduta, anelito e palpito, orizzonte infinito». Questo sentimento è celebrato in tutte le sue forme, finanche in quelle della passione omosessuale, così diffusa nel mondo odierno e in quello classico, ma, ancora oggi, troppo spesso rinnegata e perseguitata. È evidente l’intento critico che permea tali parole: «Quando l’amore unisce due anime, senza offendere alcuno, non ha, forse, il diritto di esprimersi? […] Chi ama, nel rispetto di sé e dell’altro, ha il diritto di vivere il suo sentimento… L’uomo presume troppo ed ha l’ardire di decidere per la vita degli altri, senza considerazione alcuna della profondità dell’Essere, che risiede in ognuno di noi. La cecità mentale dell’uomo, causata dalla paura di confrontarsi con ogni espressione di diversità, lo rende piccolo, gretto e meschino: egli diventa vittima di se stesso e genera sofferenza nel prossimo, che non risponde ai canoni delle convenzioni stabilite dall’uomo».
Quello dell’autore è un grido di denuncia nei confronti delle molteplici ingiustizie che ancora caratterizzano il mondo, commesse ai danni di chi non accetta di calare supinamente la testa e rinnegare la propria natura intima e profonda pur di integrarsi e sottoporsi al volere delle norme e dei canoni dominanti. Al tempo stesso, Nimpo lancia un messaggio di speranza in un futuro roseo, in cui l’uomo sarà libero di esprimere il proprio sentimento d’amore, pur nella sua “diversità”, che è comunque meritevole di rispetto, dignità e comprensione, a prescindere dalle forme in cui si manifesta. Perché la purezza dell’amore risiede solo ed esclusivamente «nella sincerità dei sentimenti provati da cuori puri e capaci di un forte sentire». È questo ciò che conta davvero.

Annalice Furfari

(direfarescrivere, anno IV, n. 29, maggio 2008)
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