A settant’anni dalla morte di Gramsci le sue idee destano ancora l’interesse degli studiosi sia in Italia che all’estero
In un saggio Datanews Luciano Canfora ribadisce l’impronta comunista del pensiero gramsciano
di Gaetanina Sicari Ruffo
Ricorrono settant’anni dalla morte di Antonio Gramsci, il fondatore del Pci e de L’Ordine nuovo, avvenuta per la debilitazione fisica del lungo carcere patito sotto la dittatura fascista. Per commemorare l’avvenimento si stanno organizzando in tutta la penisola dibattiti e meeting: in Sardegna, sua isola natale, a Sassari, un convegno s’è tenuto dal 24 al 26 ottobre di quest’anno e molti altri sono stati realizzati un po’ dappertutto, a Torino, a Genova, a Roma, a Bari. Si sta provvedendo a ripubblicare le sue opere con necessari aggiornamenti.
L’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) ha collaborato alla messinscena dello spettacolo Tutto ciò avendo i polsi legati, frutto di anni di ricerche sulle lettere indirizzate da Gramsci alla famiglia. È come una fruttuosa riscoperta del suo pensiero non solo per i giovanissimi, ma per tutti quelli che vogliono ricordare, attraverso i suoi scritti, il periodo più critico della nostra storia. Si valorizza la figura dell’uomo, ma pure dell’intellettuale politico che ai giovani ha indirizzato questo messaggio che appare di grande attualità: «Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza». I più maturi riscoprono inoltre la coerenza del suo pensiero e l’incisività dell’interpretazione storico-sociale.
La tesi dello storico Luciano Canfora sulla questione gramsciana
Nel suo ultimo saggio: Su Gramsci (Datanews, pp. 82, € 12,00), lo storico-filologo Luciano Canfora, con conoscenza di causa, si sofferma a considerare due momenti significativi della vicenda gramsciana.
Il primo riguarda il suo dissenso nei confronti della cosiddetta “stalinizzazione”, sancita nel 1929, dalla XVI Conferenza del Partito comunista, quando egli era già in carcere, che comportò una censura dei suoi scritti (Lettere dal carcere e Quaderni dal carcere), censura ritenuta necessaria da Palmiro Togliatti per un allineamento del partito italiano al marxismo-leninismo sovietico, anche per salvaguardare dall’isolamento e forse dalla persecuzione il partito italiano se si fosse isolato dal Komintern. Lo storico precisa date ed eventi che segnarono quei drammatici momenti di svolta e rivendica l’appartenenza di Gramsci al comunismo, nonostante i dubbi ch’egli ebbe sulla “svolta” del ’29, e ripercorre con un rapido excursus i punti fondamentali della sua intuizione rivoluzionaria su cui oggi si riflette.
Il timore avuto dai dirigenti italiani di pubblicare i suoi scritti, dopo la reclusione, era mosso in modo particolare dalla convinzione che fosse necessaria molta prudenza, mentre si faceva strada l’impressione che l’Europa potesse esser tagliata fuori dal movimento comunista rivoluzionario. Benedetto Croce pure in una sua memorabile pagina della Storia d’Europa nel secolo decimo nono (1932), con tutt’altro animo che non quello dei comunisti rivoluzionari, era del parere che in Europa occidentale e media, «dove il fenomeno appena s’è affacciato è stato soppresso», mancassero due condizioni che erano invece in Russia e cioè «la tradizione czaristica e il misticismo».
La conclusione di Canfora è che: «in effetti l’Europa rimase per anni in bilico, incerta tra spinte opposte finché la rivoluzione trionfò in Russia, lambì la Germania, si affermò per breve tempo in Ungheria, prese una sua originale strada in Austria, divampò in forme inedite nel Terzo mondo, fino alla Cina. In Italia il suo spettro portò alla restaurazione violenta, al fascismo». Gramsci trascorse il resto del suo tempo di recluso a riflettere su questa sconfitta che comunque affrontò con animo forte, come dice in una delle sue lettere: «Io non parlo mai dell’aspetto della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perchè così essi stessi hanno voluto consapevolmente». Una tempra, la sua, risoluta e coerente nelle difficili scelte.
Il secondo momento significativo nell’esperienza di Gramsci preso in esame nel saggio di Canfora, riguarda la discussione sul fenomeno del “revisionismo diffuso”, a cui apparterrebbe l’attuale recupero degli scritti gramsciani nella loro integrità e la conseguente enfatizzazione, in senso liberale, della sua ideologia da parte di alcuni. Dall’analisi dei dati storici e filologici che sono ora riemersi però quest’interpretazione è errata e verrebbe a ledere l’autenticità della sua adesione all’idea del comunismo e a snaturare la sua lotta. Al limite, riflettendo su alcuni giudizi di Gramsci, si può parlare di una sua «impronta élitista» che fu uno dei tratti della tradizione bolscevica ch’egli apprezzò e condivise, ma che gli veniva pure «dalla sua formazione come studioso». Nel carcere infatti ebbe modo di approfondire la storia delle classi dirigenti, meditare sulla loro grandezza e i loro fallimenti, sul Risorgimento, sul Partito d’azione e sugli esponenti dei socialismi italiani. Si legga la lettera dell’ottobre del 1926, indirizzata al gruppo dirigente bolscevico, nella quale l’idea fondamentale è: «che un pugno di uomini può determinare svolte, cambiamenti di rotta, destini; laddove certi processi anche all’interno dei partiti non si possono volontaristicamente pilotare». Diceva così nel vivo delle discussioni all’interno d’una élite nuova, «forgiatasi nella lotta per la conquista del potere e tesa a conservarlo contro ogni difficoltà ed ogni scrupolo» (cfr. uno studio di Albert Mathiez sull’intreccio esistente tra élitismo e bolscevismo).
Una nuova edizione delle opere
In questa rinnovata temperie di studi la Fondazione istituto “Gramsci”, in collaborazione con l’allora Ministero dei beni culturali e ambientali, ha istituito, fin dal 1996, l’Edizione nazionale delle opere di Gramsci: «nel 1998 è stato discusso e approvato un piano editoriale che prevede l’edizione dell’intero corpus degli scritti gramsciani in tre grandi sezioni: Scritti 1913-novembre 1926, Epistolario 1908-1937, Quaderni del carcere - nell’edizione dei quali saranno compresi anche i quaderni di traduzione e le traduzioni contenute nei quaderni 7 e 9 che non erano stati pubblicati nell’edizione Gerratana - e una serie di appendici nelle quali saranno raccolti i documenti necessari a contestualizzare i testi gramsciani nella vicenda storico-politica del periodo» (da: www.fondazionegramsci.org/cen.htm).
La pubblicazione, che prosegue con altri testi attesi, ha alle sue spalle una tormentata storia, con inizio nel 1947, quando l’editore Einaudi pubblicò, sotto la guida di Palmiro Togliatti, la prima parziale e censurata edizione delle Lettere dal carcere. Seguì, tra il ’48 e il ’51, un’edizione tematica in 6 volumi dei Quaderni dal carcere, a cura di Felice Platone, sempre su progetto togliattiano.
Del ’75 è l’edizione critica dei Quaderni, curata da Valentino Gerratana e successivamente ci fu la ristampa degli scritti pre-carcerari a cura di Sergio Caprioglio e Antonio Santucci. A quest’ultimo si deve pure un’edizione arricchita delle Lettere presso Sellerio che generò un contenzioso tra l’editore palermitano, l’editrice Einaudi e l’Istituto “Gramsci” e portò al ritiro dell’opera dalla libreria.
Degli scritti tra il ’21 e il ’26 manca ancora l’edizione critica. Come si può intuire era necessaria un’operazione di revisione e di sistemazione. Un’opera questa dell’Edizione nazionale importante perché ristabilisce la veridicità filologica degli scritti originari, riportandoli alla loro naturale stesura e sottraendoli a ogni forma di censura che fu operata in un primo tempo dai dirigenti dello stesso partito, come detto sopra, per motivi d’opportunità politica.
S’è provveduto a correggere pure l’interpolazione di scritti spuri. Tanto per fare un esempio ora si sa con sicurezza che degli scritti raccolti dal 1913 al 1920, ben 56 attribuitigli non erano suoi, mentre 49 sono considerati probabilmente suoi e trecento sicuramente suoi.
Gli studi fuori dall’Italia
La conoscenza di Gramsci si è molto diffusa in varie parti del mondo con edizioni integrali in Francia, Germania, Stati Uniti d’America e altri paesi dell’America Latina. Già un convegno fu tenuto nell’ottobre del 2003 a Puebla in Messico e un altro è previsto in Argentina, a Buenos Aires, dal 29 al 1 dicembre di quest’anno, sul tema: La presenza di Gramsci nella cultura ibero-americana 1937-2007. Altri si sono tenuti in Australia, in Brasile, in Canada, in Giappone, nel Regno Unito e persino in India.
Lo studioso John Cammet s’è valso d’una équipe fornita dalla Fondazione istituto “Gramsci” fin dal 1989 e ha raccolto una vasta bibliografia comprendente 7.061 pubblicazioni in 28 lingue, che rappresenta una solida base di partenza e un ottimo strumento di lavoro per successive integrazioni. In Italia opera pure l’Igs (International Gramsci Society), istituto internazionale con importanti sezioni e un lavoro di gruppi di studio legati a Università e ricerche regionali. Questo sta a dimostrare l’enorme influenza del lascito intellettuale gramsciano rispetto a cui i contributi dell’accademia italiana sono da considerarsi in numero inferiore.
Tuttavia ora c’è stata un’accelerazione in tal senso: studi e ricerche sono confluiti nella Bibliografia gramsciana ragionata (Bgr), sotto la guida di Angelo D’Orsi; è stato approntato dall’editore Carocci un libro molto apprezzato: Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni dal carcere (a cura di Fabio Frosini e Guido Liguori) e sta per uscire il primo grande Dizionario gramsciano che consente d’avere tutti i supporti di analisi storiche e ideologiche possibili sull’argomento.
È stato inoltre pubblicato, a cura di Giuseppe Vacca e Giancarlo Schirru, il primo d’una serie di annali che intendono offrire una rassegna delle ricerche su Gramsci fuori dall’Italia: Studi gramsciani nel mondo 2000-2005(il Mulino). Gli argomenti più dibattuti riguardano la soggettività dei popoli, la crisi dello stato-nazione, la teoria della nascita dello stato moderno, il fondamento morale della politica, la prospettiva dell’industrialismo, la funzione degli intellettuali e altri dilemmi della modernità.
Il pensiero di Gramsci si conferma così molto prezioso per la critica del mondo attuale.
Gaetanina Sicari Ruffo
(direfarescrivere, anno III, n. 24, dicembre, 2007)