La copertina qui a sinistra ritrae la famosa stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, dietro di loro Bill Clinton abbraccia la scena con un gran sorriso, ma sullo sfondo la foto ricorda l’attentato che costò la vita ad Anwar el-Sadat. Si tratta del saggio La terra promessa due volte. Ebrei e palestinesi. Cento anni di guerre, speranze e illusioni (Rubbettino, pp. 384, € 24,00) di Giuseppe Josca. Richiudendo il libro dopo averlo letto, e guardando nuovamente tale foto, stavolta si ha un elemento in più, il contenuto appreso, che permette una considerazione diversa.
Spontaneamente viene da riflettere: ecco, in primo piano un segno di pace (la stretta di mano), in secondo piano un’immagine di terrorismo (“un soldato dell’Islam” che impugna un mitra). È la storia della Palestina, un continuo alternarsi di accordi tentati e “puntualmente” mancati, di dialoghi e silenzi, di atrocità e speranze deluse, di vita e morte. Dal passato più remoto fino al presente più vicino è sempre stato così e l’origine di questo conflitto è talmente lontana nel tempo, e i fili che la legano così spessi e stretti, che risulta assai difficile capire le ragioni e gli eventi che hanno fatto sì che ancora oggi non se ne possa vedere l’epilogo. Con questo libro il giornalista e scrittore lucano, Giuseppe Josca, ci consegna la sua lunga esperienza di corrispondente all’estero (per il Corriere della sera) dal Medio Oriente (dove ha vissuto stabilmente per dodici anni) raccontando decenni e decenni della guerra arabo-israeliana.
Lo stato di Israele e la catastrofe
La Palestina, terra millenaria, fu attraversata da Babilonesi, Greci, Romani; annessa all’Impero ottomano per quattro secoli; strategica per posizione commerciale e madre di due popoli, arabi ed ebrei, entrambi discendenti da Abramo, che ne rivendicano il possesso appellandosi a promesse divine e tradizioni. La lotta a noi più vicina inizia quando Theodor Herzl, un ebreo ungherese, pubblica Der Judenstaat, un testo con il quale lancia, nel 1896, l’idea di creare lo stato ebraico nella terra degli antenati (appunto la Palestina) e dà la chiara istruzione di “sbarazzarsi” della manodopera araba che già la popolava.
Le vere tragedie arrivano nel 1948, quando David Ben Gurion (leader del movimento sionista), tramite la Dichiarazione d’Indipendenza, proclama la nascita dello stato di Israele e viola di ben un terzo i confini stabiliti dall’Onu per dividere la terra in due stati. Per i palestinesi (che sono un milione e mezzo contro i seicentomila ebrei) inizia la Nakba ovvero la “catastrofe”: grazie al potente esercito, gli ebrei spingono gli arabi a lasciare le loro case e trovare rifugio in Libano, in Siria, in Giordania, Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Da questo momento in poi i palestinesi saranno profughi, senza casa e senza stato, mentre Israele, grazie anche all’appoggio Usa, continuerà ad allargare illegittimamente il suo territorio spingendosi oltre le terre assegnatele dall’Onu (buona parte del Nord e la fascia costiera sul Mediterraneo). Il resto è un susseguirsi di sangue, dolore che la storia e la scena politica internazionale non hanno ancora saputo seppellire assieme alle numerose vittime.
Terrorismo e massacri
Nascono quindi al-Fatah, guidata da Yasser Arafat poi anche capo dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) e dell’Anp (Autorità nazionale palestinese) e i movimenti estremisti come Hamas. Seguono gli anni e gli eventi più bui della storia della Terra Santa: il Settembre Nero (nel settembre 1970 re Hussein di Giordania blocca i guerriglieri dell’Olp che avevano organizzato il loro quartier generale ad Amman, ciò darà vita a sanguinosi scontri tra l’Olp e le truppe giordane), le guerre (quella dei 6 giorni nel 1967, quella dello Yom Kippur nel 1973), i massacri (Sabra e Shatila, Jenìn), gli attentati terroristici dei kamikaze, gli assassini di figure portanti (Sadat e Rabin), le due intifade (lotte per ottenere la liberazione dalle truppe israeliane nei campi profughi palestinesi).
Il sangue scorre ininterrottamente: ad ogni attacco nei campi profughi si reagisce col terrorismo; si intrecciano le linee della politica araba, che coinvolge tutti i paesi del Medio Oriente, e quella internazionale che si adopera per la costruzione di una pace solida e costante attraverso accordi che alle volte portano ad un nulla di fatto, altre, dopo estenuanti trattative, fanno intravedere l’orizzonte di una pace (Camp David nel 1978, Oslo nel 1996 ). Sulla finestra di questo dramma si affacciano personalità di rilievo come David Ben Gurion, Menachem Begin, Yitzhak Rabin, Ariel Sharon (per Israele), Gamal Abdel Nasser prima e Anwar el-Sadat dopo per l’Egitto, re Hussein di Giordania, re Hassan di Siria, Yasser Arafat, i presidenti degli Usa Jimmy Carter e Bill Clinton; tutti personaggi che hanno contribuito ad infittire questa trama, ma anche a sbrogliare qualche filo della matassa e di cui Josca ci narra l’uomo e il politico.
Una pace sospirata
Ancora oggi non esiste uno stato palestinese né un accordo definitivo e duraturo sebbene si siano fatti dei passi in avanti nella ricerca di una soluzione per questi due popoli che hanno vissuto tra lacrime, atrocità e rinunce. Il testo tocca temi talmente delicati e variegati che, probabilmente, nemmeno Alessandro Magno con la sua spada avrebbe saputo tagliare un “nodo di Gordio” così ben intrecciato nelle trame della politica interna ed internazionale, della storia, della religione, delle tradizioni e degli interessi economici che da più di mezzo secolo vedono i due figli della Palestina protagonisti assoluti delle più assurde crudeltà e del desiderio di una pace tanto sognata quanto ardua da raggiungere.
Josca riproduce un argomento vasto e dettagliato con uno stile asciutto e oggettivo usando un linguaggio semplice ma contente anche termini specifici, accuratamente spiegati. Il testo, fluido e scorrevole, contiene frequenti salti temporali che chiariscono alcuni particolari e retroscena utili a capire gli eventi più prossimi ad oggi.
Seppure il tema trattato possa apparire “ostico” e complicato, per il lungo periodo analizzato e gli eventi che si intersecano tra loro, la struttura chiara e il ricorso ad un tono giornalistico e imparziale, rendono la lettura interessante e stimolante ad una riflessione sull’attualità.
Leggendo questo libro torna in mente Disamistade una canzone di Fabrizio De André il quale, per scriverla, si ispirò al terrorismo palestinese e ai massacri avvenuti ad Hebron per mano israeliana. Disamistade è una parola sarda e significa “faida, disamicizia”, il contesto della canzone richiama una lotta tra due famiglie. L’allusione ai due popoli è immediatamente visibile e diventa ancora più chiara nelle parole: «Questa gente divisa questa gente sospesa […], che alla pace si pensa che la pace si sfiora […]». E israeliani e palestinesi sono davvero sospesi da mezzo secolo dinanzi una pace che non riescono ancora ad afferrare.
Alessandra Morelli
(direfarescrivere, anno III, n. 21, settembre 2007) |