Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Quando i fatti impuri si trasfigurano
in affermazioni di libertà e purezza
contro un mondo ancora maschilista
Una Casa di bambola per Alberta: una storia tutta
al femminile in un romanzo edito da Serarcangeli
di Raffaella Ateniese
Secondo l’Antico Testamento, uno dei Dieci Comandamenti, e in particolare il sesto, recita: «Non commettere adulterio» (Esodo 20, 14). Nell’uso comune, però, il significato si estende a tutti i peccati che violano la virtù della castità e perciò si usa dire: «Non commettere atti impuri». Questo comandamento, infatti, chiede di rispettare la santità del nostro corpo e invita a percorrere una strada a volte impervia e faticosa come un sentiero di montagna. Rispettare il comandamento della bellezza del corpo, della bellezza dell’amore è un’impresa spesso molto ardua. Si nasce con l’istinto e la castità è, invece, una conquista da coltivare e nutrire con pazienza.
Maria Grazia Greco, direttore responsabile dell’agenzia letteraria Mondolibro di Roma, decide di narrare una serie di Fatti impuri (Serarcangeli, pp. 106, € 11,00), ma a ben guardare il titolo sulla copertina, il voluto gioco di colori esprime anche la possibilità di intravedere, nello svolgimento della storia, degli “atti puri”.
Gli “atti impuri” che la protagonista del romanzo riconosce sono quelli che il prete chiama «brutti giochi» in cui Alberta si trova coinvolta nel corso della sua adolescenza. La storia in questione è il racconto e l’evolversi di una coscienza che esprime desideri, aspirazioni, speranze, ma anche illusioni, delusioni, tradimenti e sensi di colpa.

Alberta, vittima del maschilismo
Alberta è una bambina che cresce senza amore e senza punti di riferimento, e a un certo punto della sua giovane vita, viene violentemente catapultata in un mondo di adulti privo di scrupoli e pieno di egoismo.
In primo piano emerge la grande solitudine di una ragazzina, senza mamma, rinchiusa in un collegio di suore perché il padre, ricco borghese e dedito solo al lavoro, non ha tempo per occuparsi di sua figlia, troppo intento a curare la seconda famiglia che si sta formando. Infatti, la voce narrante racconta: «Le visite di suo padre e famiglia andavano sempre più diradandosi. Un rancore sordo, via via più profondo, aveva ormai aperto una lacerazione acuta dentro di lei, una frattura insanabile che l’allontanava sempre di più da quell’uomo che, più che come un padre, le appariva come un visitatore distratto e annoiato nell’assolvere un obbligo».
Tutto il racconto è permeato di questo senso di abbandono da parte degli uomini, vi è nella protagonista un dolore che rimane intimo, che implode e che nessuno conosce, perché tutto accade nella sua coscienza, nella sua mente. Per questo motivo, nel romanzo vi è un chiaro parallelismo tra Alberta e il personaggio femminile di Casa di bambola, un classico della Letteratura mondiale composto nel 1879 dal drammaturgo norvegese Henrik Ibsen.

Un tuffo dentro Casa di bambola
Nora, la protagonista appunto, è la moglie dell’avvocato Torvald Helmer e ha un segreto: per permettere al marito di sottoporsi a un costoso viaggio di cura in Italia, chiede un prestito a Krogstad falsificando la firma del padre. Quando però Torvald viene promosso direttore di banca e decide di licenziare Krogstad, lo stesso ricatta Nora per non perdere il posto e scrive tutta la verità in una lettera indirizzata al marito di lei. Nonostante la dedizione e i sacrifici di Nora, Torvald si sente tradito, vede solo la colpa commessa dalla moglie che si riverserà sulla reputazione di lui, temendo lo scoppio di uno scandalo.
La situazione, falsamente tranquilla fino a un momento prima, precipita nel dramma. Nora, dopo otto anni di matrimonio apparentemente perfetto, scopre per la prima volta il vero carattere del marito: un uomo rigido, calcolatore, conformista ed egoista.

Alberta e Nora: due protagoniste accomunate dallo stesso destino
La straordinarietà dell’opera consiste nella conclusione, nel suo risolversi. In un periodo storico (fine Ottocento) in cui imperversa il falso perbenismo borghese, Ibsen sceglie, per la protagonista, la libertà: Nora, con grande fermezza, decide di lasciare il marito e i figli per ricominciare a vivere e ritrovare una propria identità.
Il finale, senza una volontà cosciente da parte dell’autore di fare propaganda per il femminismo, che cominciava allora a rivendicare i propri diritti, attirò a sé infinite polemiche soprattutto sui giornali e nei salotti dell’epoca. In Germania e in Italia, addirittura, l’ultima scena fu modificata, alterandola e facendo emergere il pentimento di Nora e la decisione di rimanere accanto al marito.
Ma questa storia appartiene al passato.
Nei giorni nostri, un racconto del genere sarebbe passato inosservato agli occhi della critica, sarebbe stato giudicato come una realtà ormai banale per la nostra società. E Alberta lo sa bene. La sua più grande aspirazione è di poter recitare la parte di Nora in «un teatro vero». «Se l’era sentito cucire addosso quel ruolo di eterna bambina, rifiutata, impotente, inadatta alla vita che le convenzioni borghesi le avevano negato. Le era sembrato che la solitudine di Nora fosse anche la sua solitudine. E si era sentita sprofondare nell’abisso esistenziale del suo isolamento, della sua inettitudine. Ma soprattutto si era immedesimata nella giovane attrice che dava vita a quel personaggio. E aveva desiderato essere al suo posto, vestire i suoi panni, a calcare quel proscenio».
Più grandi sono i suoi sogni, che in fondo, tutte le giovani donne hanno – avere una casa, amare Manuel, essere ricambiata, dare tutta se stessa per lui e diventare attrice di teatro –, più forte è l’impatto contro la dura realtà: Manuel sparisce, il padre muore lasciando quasi tutta l’eredità alla matrigna, il teatro...
Lasciamo al lettore il beneficio del dubbio, sul finale della storia, anticipando che i “fatti impuri” compiuti da Alberta sono in fondo “atti puri” pieni di amore e speranze.

Un racconto senza tempo
Dal punto di vista stilistico, Fatti impuri è un racconto non lineare. Non si tratta della semplice elencazione di fatti. Il passato e il presente si mescolano fino a formare un periodo temporale che non esiste, che non c’è. Tutte queste situazioni contribuiscono a plasmare, nella protagonista, una tormentosa condizione esistenziale, quella dell’artista chiusa nella propria interiorità che, in qualunque posto si trovi, sperimenta solo la paura, la solitudine, la miseria, senza mai trovare pace.
Nel testo, l’autrice esprime la volontà di rompere gli schemi classici dello stile narrativo: ci sono continuamente delle ripetizioni che si ampliano di significato man mano che la storia prosegue creando così una logica e una chiave di lettura molto personali e di comprensione non immediata.
Una storia, quindi, di cui la lettura non si può rimandare o frammentare, ma bisogna leggerla tutta d’un fiato lasciandosi coinvolgere vorticosamente dai pensieri ossessionanti che si ripetono nella mente di Alberta, un po’ come accade nella vita di tutti i giorni a ognuno di noi.

Raffaella Ateniese

(direfarescrivere, anno III, n. 18, 10 luglio 2007)
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