Un po’ tutti, amanti e appassionati delle arti e non, nel guardare particolari opere, ci interroghiamo sul significato complessivo di queste, dei colori, dei segni, dell’espressione pittorica. È stato Freud, il padre della psicoanalisi, ad avvicinarsi alle creazioni artistiche tentando di studiare e dar loro un’interpretazione di taglio, appunto, psicoanalitico. Dopo il modello freudiano si sono susseguiti numerosi modelli di comprensione molto diversi tra di loro che vengono esaminati e illustrati ampiamente nel libro Le strutture inconsce del segno pittorico. Pittura e psicoanalisi, surrealismo e semio-analisi (Edizioni Magi, pp. 200, € 20,00) che non ha la pretesa di arrivare a una verità assoluta, ma solo di indagare.
L’autore, Jean-Tristan Richard, è uno psicologo clinico e psicanalista, e proprio dalla sua attività clinica sono nati altri scritti come Essai d’épistémologie psychanalytique e Que reste-t-il de l’amour après Freud. Nel libro in esame egli, oltre a spiegare i contributi della psicoanalisi moderna all’opera d’arte, struttura il discorso sugli assi teorici della semiologia prendendo come esempio opere surrealiste, aprendo anche la strada a nuovi e stimolanti studi.
La sublimazione: i primi passi della psicoanalisi dell’arte
Punto obbligatorio di partenza è il concetto freudiano di “sublimazione”: è proprio da qui che si è mossa sin dall’inizio la psicoanalisi dell’arte. Si pensa che nell’atto sublimatorio, come è spiegato nella Prefazione all’edizione italiana di Marco Alessandrini e Rosa Maria Salerno, «il moto pulsionale sessuale venga distolto da un appagamento diretto, e che perciò subisca una desessualizzazione dirigendosi verso un oggetto e una meta non sessuali. Si tratta di oggetti socialmente valorizzati e di varia natura, di volta in volta artistica, intellettuale o morale».
Il processo sublimatorio produce un duplice effetto: da un lato permette al soggetto “io” di dar sfogo alle pulsioni e alle spinte interne, dall’altro lascia che queste pulsioni si travestano con abiti socialmente accettati e soprattutto apprezzati.
Quindi l’opera d’arte compiuta trattiene in sé le spinte sessuali inconsce, sottostanti e trasformate, ma nello stesso tempo, e non va dimenticato, diventa “altra cosa”, un nuovo prodotto con nuove regole e logiche proprie, intrinseche alla struttura stessa della creazione, così come spiegato ancora nella Prefazione: «Il risultato creativo non sarà perciò più considerato il rivestimento di una sfera inconscia soggiacente, quanto una sua diretta forma di visibilità, di modo che la realizzazione creativa sarà ritenuta espressione, nella sua struttura interna, di una realtà della mente, vale a dire dello spazio stesso entro cui la mente si è costruita e continua a costruirsi».
Ecco dunque che linee, curve, cerchi, colori e distribuzione di questi sulla superficie pittorica – ovvero gli aspetti propriamente detti “plastici” di un’opera d’arte – oltre a essere simbolo di qualcosa, significano di per sé qualcosa se messi in relazione al contesto complessivo che sottostà a una precisa logica strutturale.
Studi psicoanalitici sull’arte
La prima parte del libro analizza il pensiero freudiano anche in relazione alle opere d’arte. Uno dei suoi contributi più importanti in questa materia è stato Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, l’unico saggio di Freud in cui ad essere presa in analisi è l’intera vita di un artista. Le creazioni artistiche venivano considerate dal noto psicanalista come un sogno, soddisfazione immaginaria di desideri infantili inconsci, proiezione di residui conflittuali infantili e contemporaneamente risoluzione di questi. Da qui il processo conosciuto come sublimazione. Sempre in questa parte vengono pure presentati altri studi freudiani, tra cui Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo, per poi passare ad analizzare quello che è avvenuto dopo Freud. Ampio spazio è dedicato a coloro i quali hanno continuato a muovere i passi sulla scia della psicanalisi freudiana proponendo personali interpretazioni; tra questi si parla, nell’ordine, di Karl Abraham, Carl Gustav Jung, Melanie Klein, Otto Rank, Hanna Segal, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Nella seconda parte del libro, Saggio di semio-analisi del surrealismo, si mettono in relazione la psicoanalisi con la semiologia, quindi si parte dalla scienza dei sogni per arrivare alla scienza dei segni. Nel capitolo Implicazioni si propone un modello semio-psicoanalitico che trae ispirazione da quello del semiologo Marin, ma che poi è stato in realtà ampliato e approfondito. Qui nel dettaglio sono spiegati concetti come “sintagma”, “paradigma”, “metafora”, “metonimia”, “denotazione” e “connotazione”, fino ad arrivare a Le strutture infantili del segno pittorico.
Un’analisi sugli artisti surrealisti
Nel testo vengono analizzate diverse opere surrealiste che il lettore ha a portata di mano per un confronto immediato, vista la presenza delle tavole a colori alla fine del libro. Tra gli artisti “chiamati in causa” troviamo, nell’ordine, Marcel Duchamp, Max Ernst, Paul Delvaux, René Magritte, Hans Bellmer, Salvator Dalì.
In un primo momento i surrealisti capirono l’importanza degli studi che Freud andava compiendo e rimasero affascinati dall’interpretazione dei sogni, dai fantasmi inconsci, dalla psicosi: tutti argomenti che trovarono terreno fertile – sia in modo conscio che inconscio – in quell’atmosfera che si respirava fra gli artisti in quegli anni.
Chiude il libro il capitolo L’arte senza Freud: qui è riportata una serie di pensieri di autori non freudiani, in modo che il lettore, «per contrasto ne constaterà i limiti, sia che si tratti di posizioni classiche o di posizioni moderne, anche nel caso in cui si intraveda qualche somiglianza con le ipotesi di Freud e dei suoi discepoli».
Germana Luisi
(direfarescrivere, anno III, n. 16 , giugno 2007) |