Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La recensione libraria
Affrontare gli argomenti scomodi
per infrangere tabù e rilevare
gli aspetti più autentici e umani
Per Bertoni, Caruana analizza
le paure più radicate nell’uomo
Alessandra Sabbatini

Cosa c’è di più inevitabile, di più spaventoso eppure affascinante, intimamente legato alla vita pur essendo il suo opposto, della morte?
Con audacia, Anthony Caruana affronta questo argomento ostile e lo mette a nudo, accendendo una luce proprio in quei meandri oscuri in cui di solito non vogliamo guardare.
Con grande delicatezza e rispetto, affronta poi altri argomenti scomodi come il tradimento, l’eutanasia, il razzismo, la malattia, la maternità, infrangendo tabù e rivelandone l’aspetto più autentico e profondamente umano.
L’abito della festa (Bertoni Editore, pp. 148, € 18,00) di Caruana, nonostante la copertina apparentemente frivola e poco in linea con l’argomento trattato, è un romanzo intenso e profondo, impreziosito da una splendida prefazione a cura di Maria Grazia Calandrone, che ci regala uno scorcio luminoso e vibrante del tema trattato: «L’abito della festa è dunque anche quello che vorrebbe indossare la nostra anima, che si sente illuminata dall’aver compiuto il giusto, ed è il vestito col quale copriamo chi non c’è più: con amore, prima ancora che con rispetto».

Uno stile coinvolgente e non convenzionale
Nonostante l’autore incorra talvolta in alcuni degli errori più frequenti tra gli scrittori alle prime armi (personaggi che si auto-psicanalizzano, lunghi blocchi di riflessioni personali intervallati da lunghi blocchi di dialoghi, lessico poco verosimile a seconda delle situazioni), bisogna riconoscere una certa originalità nel suo stile, per esempio la sua scelta di utilizzare dei linguaggi visivi non convenzionali, a supporto e integrazione delle descrizioni presenti nel romanzo: disegni, foto, un racconto nel racconto, porzioni di testo scritte con font e dimensioni diverse.
La vicenda narrata si svolge nell’arco di una settimana, la protagonista è Rosa, una cinquantenne delusa dalla vita, che si porta dietro un bagaglio di sofferenza per via di alcuni eventi traumatici che le sono capitati, sia nella sfera sentimentale che in quella professionale. Lavora in obitorio e ha il compito di preparare le salme per l’ultimo saluto ai loro cari, prima della sepoltura.
Scontrosa e spesso maleducata con i vivi (incluso il suo stesso figlio, che lei ammette più di una volta di non sopportare), Rosa è invece amorevole e premurosa con i morti, a cui rivolge tutte le sue cure. Nei suoi gesti attenti e quasi affettuosi, mentre lava, veste e trucca le salme, ci sembra di scorgere un suo desiderio di redenzione, un tentativo di espiazione da un male lontano di cui non riesce a liberarsi.
Nel corso delle pagine, infatti, impariamo a conoscere Rosa e le sue mille contraddizioni e paure, mentre l’autore tiene viva fino all’ultimo la curiosità su cosa le sia effettivamente successo, “seminando” abilmente indizi lungo il romanzo ma svelando il mistero solo alla fine.

Un viaggio lungo sette giorni
Ma Rosa non è l’unica protagonista del libro: dopo un prologo che la vede bambina nella casa estiva dei nonni, infatti, il racconto si snoda lungo sette giorni, come i giorni della settimana, come i giorni della creazione. Non a caso, all’inizio di ogni capitolo c’è una citazione, tratta dalla Genesi, del giorno di riferimento.
Il primo capitolo, Lunedì, è dedicato a lei, Rosa, ed è quasi interamente composto da un lungo monologo interiore in cui la donna si psicanalizza, tira le somme della sua vita presente, passata e futura, si fa delle domande e si dà delle risposte.
Nel secondo capitolo, Martedì, assistiamo a un cambio di io narrante: non più Rosa, ma due fratelli gemelli, Martina e Stefano, arrivati in obitorio per l’estremo saluto alla loro sorellastra, che Rosa ha appena finito di preparare. Al contrario del capitolo precedente, questo è quasi interamente occupato da un dialogo tra i due, privo di qualsiasi descrizione, in una lunga alternanza di battute – o per meglio dire, un continuo battibecco.
Il terzo capitolo, Mercoledì, è di nuovo un monologo interiore narrato in prima persona, stavolta del dott. Luciani, collega e amante di Rosa, che analizza in modo approfondito la sua relazione adulterina, il suo rapporto con la moglie e la figlia, i sensi di colpa e tuttavia la difficoltà di rinunciare a una delle due donne. In questo capitolo, tramite i pensieri del dott. Luciani, conosciamo anche Ahmed, un povero settantenne ucciso di botte da un gruppo di balordi razzisti, la cui triste sorte ha particolarmente colpito il cuore del dottore.

La morte: un pretesto per guardare con occhi più consapevoli la vita
Nel quarto capitolo, Giovedì, appare Melissa, una giovane libraia venuta a dare l’estremo saluto proprio ad Ahmed, suo grande amico e vicino di negozio. Qui assistiamo anche all’incontro fra Rosa e Melissa, ma dal punto di vista di quest’ultima, grazie al solito cambio di io narrante. Il quinto capitolo, Venerdì, è un toccante monologo interiore di Luca, uno dei due portantini dell’obitorio, che si commuove di fronte al cadavere di un bambino morto per leucemia, bambino a cui si era affezionato durante i suoi ultimi giorni di vita all’ospedale. Attraverso i pensieri di Luca scopriamo che, paradossalmente, nonostante si esprima in un rozzo e volgare dialetto romanesco, in realtà è originario di Milano, e mentre pensa, al contrario di quando parla, utilizza un italiano aulico, con un registro linguistico raffinato ed elegante.
Nel sesto capitolo, Sabato, il punto di vista passa alla madre del bambino, venuta a vegliare il figlio per l’ultima volta nella stanza degli addii, in uno straziante susseguirsi di ricordi, rabbia e lacrime.
Tra la fine del sesto capitolo e il settimo, Domenica, tutti i nodi vengono al pettine e risultano chiare delle connessioni in un primo momento insospettabili, in un intreccio sorprendente di casualità come è, spesso, la vita.
Ed ecco allora che la morte ci appare solo come un pretesto per guardare con occhi più consapevoli la vita, perché è proprio la morte, con il suo carico di mistero e di ineluttabilità, a farci apprezzare tutta la bellezza che ci circonda.

Alessandra Sabbatini

(direfarescrivere, anno XX, n. 220, maggio 2024)
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