Sembra una storia come tante quella che si presenta nelle prime righe di Il giallo di Marina (Infinito edizioni, pp. 169, € 15,00), il romanzo di Fabrizio Rizzi e Luciano Garofano, la storia di una ragazza a cui hanno spezzato il cuore e che decide di scappare lontano, distante dalla sua casa e da tutte le persone che la giudicano per non essere abbastanza e per aver permesso che il suo ragazzo sposasse un’altra.
Approdata a Boston vive anni intensi e costruttivi, riscopre l’amore verso di sé e verso gli altri. Tuttavia, a volte il richiamo delle proprie radici non lo si può ignorare e così, grazie all’eredità lasciata da un prozio, alla fine torna in quella città della Pianura Padana da cui era scappata. Ritorna da donna sicura ed emancipata, affascinante e magnetica, con dei chiari obiettivi.
Improvvisamente, però, nella bella villa di campagna ereditata dal prozio, viene trovato il corpo senza vita di Marina. Per i veri appassionati di crime, la scena del crimine si presenta come un puzzle ricco di elementi da riordinare, perché in un’indagine quello che sembra irrilevante all’inizio potrebbe assumere un altro significato con l’evolversi dell’inchiesta.
Questo giallo è un’indagine incentrata su errori giudiziari, sull’individuazione da subito di un tipo di colpevole preciso a cui siamo, purtroppo, ormai abituati dalle cronache di tutti i giorni.
Le indagini
Marina è una donna di trentasette anni, affascinante, emancipata, ricca, indipendente, che da poco ha mollato il compagno, tale Antonio Carlo. Così, quando il suo corpo viene rinvenuto privo di vita, viene automatico agli investigatori puntare i riflettori proprio su di lui. La scena del delitto sembra dimostrare la mancanza di premeditazione, piuttosto una reazione immediata, violenta, forse maldestra, consumatasi in pochi minuti. Il femminicidio appare, quindi, come l’ipotesi più plausibile: tutti i giorni, purtroppo, siamo sommersi da notizie di donne uccise dai propri compagni o ex partner, incapaci di accettare la fine della relazione, e pervasi da una possessione tossica che li porta a gesti violenti ed estremi.
Un bicchiere rivela tracce di Carlo, così da evidenziare la sua presenza sulla scena del crimine. Ma sarà il controllo dei tabulati telefonici a rivelare la prova, secondo gli inquirenti, decisiva: il cellulare di Antonio, il giorno del delitto, si era agganciato alla cella della zona residenziale della villa di Marina. Carlo persevera a dichiararsi estraneo ai fatti e a proclamare la sua innocenza.
I diversi dubbi nutriti da Molinari
Il tenente Elisa Molinari, esperta e attenta investigatrice, nutre da subito diversi dubbi sulle conclusioni a cui sono giunti i suoi superiori, secondo lei troppo impazienti di trovare in tempi celeri un colpevole. Potrebbe essere plausibile che Antonio non avesse accettato la fine della sua relazione con Marina, ma la ricostruzione dei suoi atteggiamenti verso la vittima non evidenzia i classici comportamenti persecutori tipici di chi si trasforma in un ex violento e minaccioso.
Inoltre, l’imputato dal carcere continua a dichiararsi innocente e insieme al suo avvocato, il dottor Recalcati, continua a riflettere sulle probabili piste che gli inquirenti potrebbero aver ignorato.
E infatti, il tenente Molinari evidenzia un elemento chiave: sulla scena del delitto era stata rinvenuta la cassaforte della vittima aperta e priva di oggetti preziosi. Inizialmente si pensava fosse un tentativo di mascherare il delitto con una tentata rapina. Ma se non fosse un depistaggio ma fosse stato il vero movente?
Grazie alla perseveranza e alla professionalità del tenente e dell’avvocato Recalcati si riuscirà a fare luce sul delitto e a incarcerare il vero colpevole dell’omicidio di Marina.
Oltre al delitto
Questo libro è in apparenza un classico giallo, con un omicidio da risolvere e un colpevole da catturare. Tuttavia, con lo scorrere delle pagine si può individuare un secondo tema: così come la personalità di Marina, forte e indipendente, viene interpretata come una possibile causa della furia omicida che l’ha colpita, anche la determinazione e la sicurezza del tenente Molinari appare talvolta più un ostacolo per lei che una qualità.
Elisa si trova circondata da colleghi maschi che molto spesso sembrano non capire quanto il loro atteggiamento sia di natura maschilista, sminuendo il suo grado, il suo ruolo e la sua professionalità. A colloquio con un suo superiore si sente apostrofare con appellativi come “signora”, “cara ragazza” ed “Elisa”, mai le viene riconosciuto il suo grado di tenente: è sicura che davanti a un suo collega maschio non sarebbe mai avvenuta una conversazione simile.
Inoltre, la sua tenacia nel voler dimostrare la verità è vista come un atteggiamento petulante. Oltre al giallo da risolvere, è molto interessante la scelta di mettere in luce come il femminicidio sia la prima e unica ipotesi presa in considerazione, ma che gli stessi atteggiamenti patriarcali siano perpetuati dagli stessi inquirenti che credono di saper individuare in modo inequivocabile tutti i segnali tipici di predominazione, privilegio sociale, autorità morale e controllo del patriarcato, il sistema sociale su cui è fondata la nostra cultura e di cui i nostri rapporti sociali sono intrisi, a tutti i livelli, professionali e personali.
Giulia Condorelli
(direfarescrivere, anno XX, n. 219, aprile 2024)
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