Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
La recensione libraria
Legislatori incapaci
e avvocati volponi:
povera Giustizia!
Un’arringa edita Armando
a favore dell’umanità
di Alessandro Milito
Quante volte è capitato di aver subito un torto, di essere sicuri delle proprie ragioni, anche giuridiche, ma di desistere dal “fare causa”? Quante volte la voce del comune buon senso ha suggerito di desistere perché si otterrebbe meno di quanto si pagherebbe in avvocati e perché, ovviamente, “i processi durano un’eternità: si sa quando iniziano ma mai quando finiscono”. E ancora, in ambito penalistico: ma come è possibile che a distanza di anni da quel brutale fatto di cronaca ancora non si sia giunti ad una condanna o peggio, il processo è stato sospeso, oppure rinviato ad altra corte e addirittura debba rifarsi da capo? E le leggi e gli avvocati, che dovrebbero tradurre le norme in modo chiaro ai loro clienti, perché sono così difficili da decifrare e capire, intrappolati in un rigido ed autoreferenziale formalismo?
Il saggio di Roberto Cataldi Il diritto del pesce piccolo. La giustizia imperfetta (Armando editore, pp. 144, € 15,00) si propone di colmare quel divario, sempre più profondo, tra le norme dell’ordinamento giuridico ed il desiderio di giustizia comunemente avvertito dai cittadini. Una frattura che mina al fondamento delle «ragioni profonde che muovono, o dovrebbero muovere, l’universo della giustizia» e che l’autore si propone di ricostruire con un viaggio tra storia e attualità, mitologia, letteratura e cinema.

La legge è uguale per tutti, grossi e piccoli
Perché il diritto del pesce piccolo? Perché le leggi esistono, o almeno dovrebbero esistere, per tutti quelli che, sulla base di una mera e crudele logica darwiniana, sarebbero destinati a soccombere se non adeguatamente tutelati. Il far valere i propri diritti, se si assume che questi siano tali in ogni caso e indifferentemente dalle caratteristiche personali, economiche e sociali di chi li vanta legittimamente, deve valere sempre: anche nei confronti dei pesci più grossi e pericolosi. Il titolo dell’opera ruota attorno a questa idea, ma sin dall’inizio l’attenzione si sposta su un tema evidentemente molto caro all’autore: la riscoperta del senso autentico della parola giustizia o, meglio ancora, del sentimento di giustizia.
Cataldi critica l’ordinamento giuridico odierno, a suo dire eccessivamente ingarbugliato e incapace di rispondere al desiderio e al bisogno di giustizia, ritenuto come immanente in ogni cittadino. Un vero e proprio sentimento, un impulso ripetutamente violato dalle norme di procedura ogni giorno più ingombranti e in grado di soffocare un diritto sostanziale sempre più marginale. La macchina della giustizia avrebbe abdicato al suo ruolo fondamentale: dare risposte rapide ed intellegibili, sedare i conflitti e generare certezza giuridica.

Alla riscoperta del giusnaturalismo
Sono molteplici i piani a cui viene sottoposta questa riflessione e il primo di questi è proprio quello storico e filosofico. In un’efficace operazione di sintesi, fruibile anche per chi è a digiuno di studi giuridici, l’autore ripercorre una delle più grandi dispute filosofico-giuridiche. La contrapposizione tra una visione giusnaturalistica del diritto e una più positivistica, ancorata al diritto positum, e cioè posto dal legislatore e vigente in una comunità. L’autore sposa in pieno la prima filosofia, che assume l’esistenza di leggi preesistenti in natura, valide ed universalmente riconosciute da tutti gli esseri umani. Una giustizia immanente alla quale le norme poste dai legislatori devono ispirarsi: il diritto deve andare di pari passo con il sentimento di giustizia insito in ogni donna e uomo. Le varie sensibilità della scuola giusnaturalistica vengono rapidamente tratteggiate da Cataldi che non nega una sua personale predilezione per questa concezione del diritto. Tra la legalità fredda e razionale di Creonte, sovrano che nega la sepoltura del traditore della patria, e il sentimento di giustizia universale difeso da Antigone, che si rifà alla tradizione e alla regola non scritta di dare una degna sepoltura a tutti, l’autore patteggia decisamente per la seconda: «Una legalità fatta di burocrazia piuttosto che di buon senso è uno degli esempi più attuali del divario tra la legge e la coscienza dei cittadini. Ecco perché diventa imprescindibile per ogni scelta legislativa avere la capacità di attingere anche al mondo delle emozioni e dei sentimenti, prendere in considerazione la “dimensione umana” affinché la legalità non si discosti troppo da ciò che fa parte del sentimento della giustizia».
Se il diritto deve tornare a essere fonte di giustizia, e a essere riconosciuto come tale dai cittadini, esso deve spogliarsi dei formalismi e dei tecnicismi esasperati che lo rendono incomprensibile ai più. L’autore sottolinea più volte questo aspetto, specie in tema di giustizia civile: chi decide di ricorrere in giudizio per ottenere un risarcimento dei danni subiti non può diventare schiavo della burocrazia e di un «sistema processuale non molto dissimile, nella sua insensatezza, a quello romano arcaico, dove la produzione degli effetti giuridici era collegata al compimento di pratiche o riti pienamente conformi a un modello prestabilito, all’esatta pronuncia di determinate parole, in tempi e luoghi precisi e alla pre- senza di persone anch’esse prestabilite, senza alcun riferimento a elementi psicologici o intenzionali, come pure a valutazioni di situazioni obiettivamente sostanziali».

Un buon giurista… deve andare al cinema
Sono questi gli elementi di riflessione che vengono sviluppati più volte, non senza incorrere in una certa ripetitività. L’opera però non manca di un punto in cui offre un spunto del tutto originale, nel capitolo espressamente dedicato al rapporto tra cinema e diritto. L’autore ripercorre alcune pellicole significative, anche a sfondo giudiziario, in grado di suscitare interrogativi e sentimenti che ogni giurista dovrebbe saper apprezzare e, eventualmente, tradurre concretamente nel proprio mestiere. Le citazioni cinematografiche sono numerose, tutte dirette a sottolineare un concetto ben preciso: gli operatori del diritto devono ritornare ad alzare le antenne della loro sensibilità, riscoprirsi donne e uomini in grado di provare empatia, calarsi nelle situazioni vissute dagli altri. in questo modo, aprendo la porta al «sano stupore» provato anche nella sala cinematografica, potranno fornire un servizio migliore alla collettività, liberandosi da un formalismo da azzeccagarbugli dannoso e svilente.

Un’arringa, tra populismo e passione
A prima vista Il diritto del pesce piccolo potrebbe sembrare un semplice saggio sulle inefficienze del sistema giudiziario italiano; eppure, sbaglierebbe chi ritenesse di acquistare un libro-denuncia, cadenzato da aneddoti su ciò che non funziona nei tribunali italiani. L’opera assume più il carattere di un’arringa appassionata, pronunciata non a caso da un avvocato. Ed è proprio sulla biografia dell’autore che è necessario soffermarsi, seppur brevemente, per capire la caratura e i limiti del saggio.
Roberto Cataldi è avvocato, scrittore ma anche parlamentare, componente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati. Il curriculum dell’autore traspare con chiarezza dalle pagine del suo libro, offrendo l’autorevolezza di tanti anni di esercizio della professione forense. Cataldi non risparmia la sua categoria, criticandola a più riprese e sottolineandole le storture. In verità l’autore non risparmia niente e nessuno, salvo individuare nel popolo, nei cittadini, i depositari di un sentimento autentico di giustizia che deve essere soddisfatto. Una richiesta che viene sistematicamente negata o ignorata dalla maggioranza dei giudici, dalla classe forense e dai legislatori: una tesi genuinamente populista.
Definirla in questo modo non significa vedere ne Il diritto del pesce piccolo un pamphlet qualunquista e demagogico: sarebbe un errore. Significa però, cogliere la sensibilità dell’autore nell’esporre un tema a lui caro: in questo sta un pregio del libro, ossia far percepire al lettore quanto l’autore-giurista creda fermamente nell’importanza di ciò che scrive.
Certo, da un legislatore, quale Cataldi è, ci si aspetterebbe anche qualche proposta più concreta e delimitata rispetto ad una grande riflessione – a tratti già sentita – sulla giustizia sacrificata sull’altare della burocrazia e del formalismo. Ma, in tutta evidenza, non è questo l’obiettivo di questo libro. Il deputato Roberto Cataldi potrà essere giudicato sulla base degli atti che avrà prodotto nel corso del suo mandato parlamentare. Lo scrittore, invece, ha scritto un buon saggio introduttivo su argomenti stimolanti.

Alessandro Milito

(direfarescrivere, anno XVIII, n. 196, maggio 2022)
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