Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
La recensione libraria
Il delitto d’onore: un disonore
che offende la dignità umana.
Un atto per troppo tempo tollerato
Marianna Loredana Sorrentino
e la differenza di genere
di Rosita Mazzei
Nel corso dei secoli la donna è stata davvero molte cose, a volte santa e più spesso tentatrice, ma mai veramente padrona di se stessa. Rappresentata come eterna bambina da proteggere o governare, a seconda dei casi, perché incapace di badare realmente alla propria persona.
Affermava il filosofo tedesco Immanuel Kant, nell’opera Che cos’è l’Illuminismo?:«L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro». Tuttavia ciò valeva, a quanto pare, solo per il genere maschile. Ne è una prova il fatto che l’istruzione fosse considerata roba prettamente da uomini e che l’unica cosa che potesse realmente servire alle donne fosse quella di imparare ad “accudire” la casa.
Donna che, ancora oggi, viene relegata al ruolo di madre e moglie, angelo del focolare di fascista memoria, e che fatica a farsi riconoscere nel mondo del lavoro dove troppo spesso in sede di colloquio le si chiede se abbia voglia o meno di fare figli. Ecco perché, in una società ancora apertamente maschilista come quella italiana, dove le vittime vengono colpevolizzate anche nei momenti più tragici, vi è sempre più bisogno di un testo come quello ivi proposto. Marianna Loredana Sorrentino ci affida il suo saggio sociale C’era una volta e c’è ancora il delitto d’onore. Nei tempi e nei luoghi della storia e dell’arte (La Caravella editrice, pp. 226, € 14,00).

Il delitto come strumento di potere
Il saggio analizzato approfondisce una tematica assai scomoda, soprattutto in un momento storico come questo dove le lotte femministe vengono screditate e l’intero movimento viene, ingiustamente, equiparato al maschilismo dove il primo indica la lotta sociale per pari diritti e doveri, mentre il secondo è spinto dalla volontà di annichilire un intero genere all’altro.
La Prefazione, affidata a Laura Volpini, psicologa giuridica e forense, criminologa, psicoterapeuta e docente presso la “Sapienza”, è già in grado di immetterci lungo il cammino percorso da questo testo. In essa, infatti, possiamo leggere il fulcro di ciò che verrà analizzato in maniera assai approfondita, ovvero che: «L’onore per se stesso e i propri valori, in contrapposizione al delitto, ma in quella formula paradossale del Codice Rocco del “delitto d’onore”, l’onore era associato ad un retaggio culturale di dominio dell’uomo sulla donna, considerata di fatto di sua proprietà. Abolito nel 1981 dal nostro Codice Penale, il delitto contro le donne, è un fenomeno in crescita, che desta un significativo allarme sociale».
La cronaca nera parla chiaro, i delitti contro le donne sono in costante aumento. Il termine femminicidio, da molti ripudiato, sta a indicare l’assassinio delle donne che si sono ribellate al volere maschile. Da qui il bisogno da parte dell’assassino di ristabilire il proprio potere perduto attraverso la carneficina. Da qui l’approvazione della legge definita Codice Rosso nel 2019 per prevenire tutto ciò. Nella Prefazione, infatti, veniamo a conoscenza del fatto che in tale legge siano stati introdotti reati quale il revenge porn, ovvero la condivisione senza consenso di immagini e video con contenuti sessuali espliciti. La tecnologia, infatti, ha messo in mano ai misogini nuovi strumenti per cercare di piegare al proprio cospetto la volontà femminile rea di non cedere più come un tempo ai padri-padroni.

Il senso di proprietà ingiustificato
Il delitto d’onore ha radici assai profonde all’interno della società italiana. L’autrice ci informa come esso fosse regolamentato negli anni che furono. Nel Regno d’Italia esso era stabilito dal Codice penale Zanardelli, mentre nel periodo fascista era garantito dal Codice Rocco in cui si leggeva che «chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella».
Il senso dell’onore maschile, dunque, valeva più della vita derubata di una qualsiasi donna. Per abrogare tutto ciò ci vorrà il 1981 con la legge n. 442, ben dopo il referendum sul divorzio del 1974 e la riforma del diritto di famiglia del 1975.
Sorrentino, però, non si sofferma solamente sulla situazione italiana del più recente passato, ma ci mostra in questo saggio come da sempre le culture di vari paesi si siano impregnate di discorsi sull’onore, dandogli spesso una visione distorta che ne giustificasse le cattive consuetudini. E lo fa, soprattutto, analizzando le parole dal loro punto di vista semantico per mettere in contrasto il significato reale con quello loro attribuito per pura convenienza. Per far risaltare tutto ciò non mancano i grandi paragoni con eventi storici, ma anche con opere cinematografiche quale Il Padrino di Francis Ford Coppola.
Nella storia, comunque, vanno riscontrati quegli atteggiamenti ingiusti e quelle idee completamente infondate che davano la parvenza all’uomo di esercitare un proprio diritto naturale nel punire le donne, facendo credere a queste ultime di essere meritevoli di una qualsiasi forma di castigo. Concetti completamente sbagliati, ma che ancora oggi molti cercano di perpetrare andando contro al femminismo che, come già detto in precedenza, vuole solo portare alla parità dei sessi per diritti e doveri.

La ricerca di fondatezza della discriminazione di genere
Caratteristica di questo saggio è la solida base bibliografica su cui è fondato. Ed ecco, quindi, un’analisi del Codice di Hammurabi e dell’Antico Testamento. Quest’ultimo, poi, viene snocciolato per comprendere le profonde radici culturali che hanno portato alla normalizzazione delle sottomissione femminile.
Un esempio fra tutti la vicenda di Abram e sua moglie Sarai che, impossibilitata ad avere figli, concede al marito di tradirla con la propria schiava Agar. Quest’ultima, non solo è costretta ad avere rapporti non voluti con Abram per portare in grembo un figlio non richiesto e sottomettersi al volere della sua padrona. Abbiamo, quindi, due donne che debbono comunque rinunciare al proprio orgoglio pur di rendere felice un uomo e che si umiliano per fare ciò.
Con il Nuovo Testamento e la figura di Cristo, le cose rischiano di cambiare notevolmente e la riqualificazione della figura femminile non è un messaggio che possa piacere realmente a tutti. Difatti «l’ispirazione della Chiesa resta sempre il Vecchio Testamento che stabilisce che, per quanto si sia tentato di egualizzare la coppia nell’ordine sovrannaturale, l’uomo resta superiore sul piano naturale, ed è lo stesso S. Paolo che riconduce alla gerarchia: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio”».
Si arrivò così al Medioevo dove l’umiliazione del corpo femminile e della donna in quanto tale si tramutò in una vera e propria persecuzione che culminò con la caccia alle streghe. Sorrentino, quindi, analizza le varie fasi storiche attraversate dall’umanità e ne spiega con minuzia di particolari e di fonti i motivi che hanno portato a reprimere una parte della popolazione a completo beneficio dell’altra. Non manca di analizzare anche opere d’arte che mostrano tale sottomissione.
Ed ecco che la nostra scrittrice mette in campo un’artista che rappresenta l’emblema della coercizione contro le donne, ma anche la loro rabbia verso una vita fatta di doveri, priva di diritti, e spesso umiliazioni. Artemisia Gentileschi, nata a Roma nel 1593, fu una delle migliori pittrici del panorama rinascimentale. Fu costretta alla pubblica gogna perché vittima di stupro.
All’epoca, infatti, tali tragedie si affrontavano in un solo modo, ovvero «con una dote da parte del colpevole per ristabilire l’onore della donna, aumentando così le possibilità di un successivo matrimonio con uomini facoltosi».
Insomma, del dolore femminile poco si parlava, l’importante era conservare, ancora una volta, l’onore maschile e garantire a un altro uomo una cospicua somma di denaro di cui la donna, a cui apparteneva, non poteva minimamente disporre. In ogni caso, Artemisia Gentileschi non venne creduta e il suo aggressore Agostino Tassi non fece neanche un giorno di prigione. Lei ebbe la sua vendetta tramite la pittura, dipingendo Giuditta e Oloferne in cui, allegoricamente, decapita il suo aguzzino.

Il delitto d’onore e l’ingiustizia sociale
Facciamo un enorme salto temporale. Siamo in Sicilia, nel 1966. Franca Viola ha 17 anni eppure dimostra di avere una forza d’animo incredibile. Decide di denunciare il suo stupratore invece di sposarlo per aver salvo un presunto onore che era tutto a favore, ancora una volta, della controparte maschile. Infatti, in passato, per evitare il carcere lo stupratore sposava la donna che aveva violentato. Queste povere donne, quindi, non solo dovevano convivere tutta la vita con il dramma subito, ma venivano costrette a sposare i loro aguzzini e a dividerci l’intera esistenza per salvarsi, ancora una volta, dalla cattiveria sociale. Il matrimonio riparatore come ennesimo delitto contro le donne ree di essere oggetto di desiderio di mafiosi e delinquenti, dunque. Difatti la violenza sessuale era vista come un delitto contro la morale, e non contro la persona (ci vorrà il 1996 perché finalmente si invertano le cose!). Afferma Sorrentino a riguardo: «Questo episodio innesca un lento, ma reale mutamento nei costumi. Il suo comportamento diviene subito un modello imitato da altre giovani donne, tanto che ancora oggi Franca Viola rappresenta il simbolo dell’emancipazione femminile italiana».
Un testo, quindi, assai difficile da digerire per tutti coloro che fingono di non vedere l’importanza che hanno le lotte femministe ancora oggi. Le conquiste sociali sono relativamente recenti e ancora non consolidate. Ben troppe persone urlano contro i diritti femminili e sarebbero ben contenti di tornare a epoche ben più buie. La scrittrice mette in campo le sue numerose conoscenze per fare un quadro completo delle lotte per la parità di generi facendoci riflettere su quante ingiustizie ancora vengano perpetrate. I continui femminicidi dovrebbero farci riflettere sull’incapacità di molti uomini di vedere nella donna una propria pari e non un essere inferiore su cui esercitare controllo. Un saggio che fa male, ma necessario per poter riflettere e migliorare la nostra società.

Rosita Mazzei

(direfarescrivere, anno XVIII, n. 192, gennaio 2022)
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