Finisce con una sconfitta l’Ottocento italiano, il secolo del Risorgimento, delle tre guerre di indipendenza e dell’unificazione sotto i Savoia. Finisce lontano dalla Pianura padana e dalle divise austroungariche, impantanato nella difficile terra di Etiopia e macchiato “dall’onta” della sconfitta di Adua: nessuna potenza della Vecchia Europa aveva e avrebbe subìto una umiliazione di tali proporzioni in Africa, terra di brutale conquista e colonizzazione.
Inizia con una sconfitta militare l’ultimo libro di Miguel Gotor, L’Italia nel Novecento – Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon (Einaudi, pp. 572, € 22,00), un volume in cui la violenza, il ciclico rifiuto dell’establishment costituito e la voglia di riscatto nazionale si ripropongono ripetutamente sotto diverse forme.
Un’Italia vivace e in continuo cambiamento
Adua fu un vero trauma, un’umiliazione nazionale ma anche l’occasione per resettare tutto, fare il punto di quei turbolenti decenni postunitari e tuffarsi nel nuovo secolo. La sconfitta sancì la fine politica di Crispi e avviò l’era di Giovanni Giolitti, l’assoluto protagonista dei primi anni del Novecento. Anni in cui il Paese conobbe una crescita economica, politica e sociale che forse avrebbe rivisto solo nel boom del secondo dopoguerra.
Ed è proprio questo uno degli aspetti che risalta nel Novecento delineato da Gotor: quello di un Paese vivace, teatro di cambiamenti a volte radicali altre volte sotterranei ma pur sempre presenti. Un’Italia in continua evoluzione che costruisce la sua identità nazionale a caro prezzo. Perché, l’altra costante del percorso proposto dallo storico, è la violenza, prima di tutto politica, del XIX secolo italiano. Le guerre mondiali, il fascismo e la Resistenza, le lotte operaie e studentesche e lo stragismo di matrice politica e mafiosa: l’Italia nel Novecento è un paese che cambia anche grazie (e nonostante) alle ripetute esplosioni di violenza.
Tutto ciò contraddice visioni semplicistiche molto in voga negli ultimi anni, caratterizzate da un compiaciuto disfattismo e atte a dipingere l’Italia come un Paese immobile, mai veramente in grado di reggere il confronto con le altre più importanti nazioni europee.
Il percorso di Gotor è costellato di tanti avvenimenti sapientemente selezionati e trattati, in grado di portare il lettore su diversi piani di riflessione, attraverso la natura multiforme e cangiante del Novecento italiano. In questo senso, le oltre cinquecento pagine rendono il volume corposo ma non troppo, vista la mole di eventi trattati e accuratamente sintetizzati senza perderne la loro anima.
Tra accuratezza e divulgazione
L’Italia nel Novecento è un solido affresco storico che riesce a destreggiarsi tra l’accuratezza accademica e l’immediatezza tipica della migliore divulgazione. La chiave di lettura del Novecento scelta dall’autore si regge su un consistente supporto bibliografico: numerosissime note e fonti citate, a volte in grado di stupire per originalità e freschezza rispetto ad altre trattazioni storiche. Infatti, la Storia raccontata da Gotor è costantemente accompagnata da un sottofondo musicale e poetico, come le numerose citazioni di autori letterari e cantautori si affrettano a dimostrare. Ciò si accorda perfettamente con il taglio del volume, che vuole proporsi come una storia d’Italia particolarmente attenta ai cambiamenti sociali, politici e culturali del Belpaese nel corso di quei decenni così vari ed intensi, ciascuno con una sua precisa fisionomia.
Un libro colto ma estremamente leggibile e fruibile anche da un lettore interessato a una consultazione meramente episodica o per la curiosità di particolari avvenimenti storici. Proprio quest’ultima modalità di lettura è facilitata da una titolazione dei vari paragrafi, mai troppo lunghi e dispersivi, accattivante e intuitiva.
Reazione ed eversione, riscatto e cambiamento
Tra le riflessioni storiografiche più significative trattate dal volume, particolarmente efficace è quella sulla Resistenza e sul valore fondativo che ebbe per la Nazione e la successiva Repubblica. Gotor rievoca bene il netto contrasto tra la disfatta dell’8 settembre, ideale “fine” di un certo tipo di Italia, e il riscatto collettivo e multiforme della lotta per la liberazione dal nazifascismo. Il valore civile della Resistenza e delle sue varie anime viene analizzato senza eccessi di retorica ma anche con un motivato rifiuto di qualsiasi forma di revisionismo e di indulgenza verso il fascismo.
Con altrettanta efficacia viene tratteggiato il regime mussoliniano, nelle sue contraddizioni e meschinità ma anche nel suo crudele e innovativo controllo della società.
Altro pilastro su cui poggia questa Storia del Novecento è la forza dell’eversione e della reazione tipica della società italiana, più volte ricorrente nel corso degli anni e in grado di ripresentarsi puntuale a ogni nuova occasione. Sul tema, di impatto è l’immagine evocata da Gotor di un apparato dello Stato repubblicano (in gran parte) sostanzialmente mutuato dal precedente regime fascista e «il contrasto e la contesa esistente tra una Costituzione formale antifascista ed una Costituzione materiale anticomunista, in cui entrambi i paradigmi non poterono avere la sufficiente forza inclusiva per fondare un ethos repubblicano condiviso». Un conflitto che si dimostrerà fondamentale per frenare la potenziale spinta a sinistra del Paese negli anni Sessanta e Settanta, anche attraverso tecniche torbide se non apertamente violente e reazionarie.
Alla vigilia della pandemia
Il volume termina con una riflessione, meno storiografica e più di stretta attualità, sull’affermazione del modello commerciale e produttivo, ma anche economico, culturale e sociale, di una grande multinazionale: la Amazon di Jeff Bezos.
Tra l’affermazione dell’e-commerce e il declino della democrazia rappresentativa, l’Italia raccontata da Gotor si ferma proprio alla vigilia dell’evento che più di tutti ha sconvolto nell’ultimo anno la società italiana e mondiale. La pandemia che attualmente viviamo rappresenterà indubbiamente uno spartiacque tra un volume di storia e un altro. Ma, nell’attesa che l’ultimo capitolo venga scritto, è un bene ritornare su ciò che è già stato. Specie se raccontato con intelligenza ed eleganza.
Alessandro Milito
(direfarescrivere, anno XVII, n. 184, maggio 2021)
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