Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La recensione libraria
La missione di un giovane chirurgo
attraverso vari luoghi e incontri:
un racconto delicato di sofferenza
Da il Seme Bianco una storia tra prosa e poesia:
sullo sfondo una natura molto ben descritta
di Adriana Colagiacomo
In ognuno dei quindici capitoli che compongono questo libro è raccontato un viaggio.
In ogni viaggio è possibile respirare i profumi, vedere i paesaggi, spaziare, attraverso lo sguardo aperto e curioso del protagonista, da un luogo all’altro, da una storia all’altra, da un incontro all’altro. Questo, e molto di più, è quello che Crescenzo D’Onofrio ci offre nel suo I viaggi di Adan: un desiderio a metà (il Seme Bianco, pp. 76, € 12,90), appartenente alla “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale.
Adan è un chirurgo, giovane e coraggioso, bello come gli ideali che lo portano in giro per il mondo a tentare di alleviare le sofferenze umane attraverso la ricostruzione di volti e corpi deturpati dalla barbarie della guerra o delle antichissime tradizioni tribali, spietate quanto radicate, dei villaggi in cui va in missione. La professione è una sorta di balsamo per la sua innata irrequietezza e per la sua curiosità, caratteristiche che lo spingono sempre di più a immergersi in realtà tanto affascinanti quanto distanti dalla cultura occidentale e che lo porteranno in Mozambico prima, in Sierra Leone poi e, ancora, a confrontarsi con la profonda spiritualità dell’Himalaya e con la maestosità del Kenya.
«Notevole la capacità di analisi emotiva dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, realistici in ogni loro azione e reazione.
Iniziare un lungo viaggio mi pone sempre in uno stato d’animo particolare» è quello che dice Adan rivolgendosi al dottor Leonard, psichiatra e suo ottimo amico sin dai tempi dell’università: «da una parte l’eccitazione per il “nuovo”, per quanto andrò a vedere e a scoprire, il gusto dell’esplorazione e dell’avventura; dall’altro un senso di sgomento, di paura per l’ignoto, e per la vastità della sofferenza che ogni volta mi è dato di conoscere, quasi la sensazione di non poterla sostenere».
E, ancora: «Un “sentore” di essa mi giunge inevitabilmente, già prima di partire, alcuni giorni prima, e mi pervade, mi rende nervoso; vorrei non andare più, rinunciare, starmene in una rassicurante routine; è come se mi trovassi davanti a uno specchio speciale, dove bagliori della umana condizione e sofferenza riflettono la mia. Coesistono questi sentimenti contrastanti, e perdurano, fino al giorno della partenza, e durante lo stesso tragitto che conduce all’aerostazione».

Un racconto che invita alla riflessione
Bambini soldato, occhi infantili già troppo, innaturalmente, esperti delle brutture del mondo e di tutto ciò che un essere umano può arrivare a compiere, armati, drogati e seviziati prima ancora di avere compreso il significato dell’esistenza stessa. Nessun giocattolo tra le loro mani, ma armi vere. Nessuna amorevole mano ad accarezzare loro il capo, ma mostri senza scrupoli disposti a drogare questi piccoli corpi in nome di una guerra senza alcuna logica che, se basata anche sulla forza di braccia così piccole, assume sempre di più i connotati di un’atrocità senza senso.
Prostitute bambine, dagli occhi fissi, persi in un vuoto che è nulla rispetto alla voragine scavata nelle loro anime.
Usanze tribali atroci e antichissime, frutto di società patriarcali, come l’infibulazione, che rendevano e continuano ancora oggi a rendere migliaia di donne mutile, diverse, condannate a non conoscere mai quello che per natura e per diritto dovrebbe essere la normalità, destinate a rischiare ancora oggi la vita nel momento esatto in cui la danno.
Donne deturpate con l’acido da piccoli uomini respinti che, incapaci di sopportare un rifiuto, ne danneggiano per sempre la bellezza, pensando o, magari sperando, di danneggiare definitivamente anche il loro futuro. Rovinarle è così facile, d’altronde. L’acido è venduto in ogni bottega del villaggio di Dacca e le pene non sono nemmeno così severe.
Queste e moltissime altre sono le realtà con cui Adan entra via via in contatto. Storie e incontri descritti in maniera tanto vivida da poter sentire le sofferenze dei tanti personaggi con cui entra in contatto. Talmente reali da sentirli vicini, da poter quasi respirare la speranza di chi si affida a lui. Da potersi innamorare, insieme a lui, di Asha, la cui bellezza toglie il respiro, avvolta in un passato misterioso ma certamente pieno di dolore e impossibile da dimenticare.
Una prosa scorrevole, semplice, ulteriormente alleggerita da pagine di poesia, di versi intensi che arricchiscono di emozioni la narrazione di per sé già suggestiva e avvincente.
«Un brivido / corre / nella mia mano / che fruga / intorno al tuo sorriso / libero. / Emerge / fin sopra nel viso / dal gioco / il colore/ del tuo turbamento».
Un libro che immerge il lettore in vicende forti e traumatiche ma che vengono trattate sorprendentemente con delicatezza.

Adriana Colagiacomo

(direfarescrivere, anno XVI, n. 169, febbraio 2020)
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