Da qualche giorno è in distribuzione l'opera prima di Cristiana Gagliardi, giovane autrice calabrese. Si tratta di una raccolta di poesie, dal titolo Col cuore in mano (Calabria Letteraria Editrice, pp. 134, € 9,00), editate da Bottega editoriale Srl. Inoltre, la stessa società ha realizzato gli apparati e si è occupata del rapporto con la casa editrice. Pubblichiamo qui di seguito la Prefazione e il Profilo critico.
La redazione
PREFAZIONE
A dispetto della delusione derivante dall’ambiguità delle relazioni umane, la giovanissima autrice ha trovato, nei colpi inferti alla sua sensibilità e fragilità adolescenziale, lo stimolo costruttivo ad un viaggio esistenziale e poetico profondo e maturo.
Pur non sfuggendo all’analisi, talora impietosa, del senso di vuoto che lascia smarrita l’anima, ha scoperto, tramite l’incanto della contemplazione ammirante del poeta, il mistero infinito dell’amore, l’intensa unione dell’uomo con il creato – siamo un po’ mare / e un po’ conchiglia – il percepirsi microcosmo nel macrocosmo – le ansie del giorno / si disperdono, / travolte dalla quiete.
Il ricordo d’amore diviene elegia – stilla come rugiada primaverile il tuo ricordo, / come brezza che sussurra tra l’erbetta, / come un rovescio di stelle nel cielo – o si ripropone al presente, – Tu non vai via per sempre; / un altro volto / non oscurerà il tuo volto – in una veste nuova, fuori dal tempo, ma non meno intensa.
Un’auscultazione profonda, illuminante della natura, un’apertura agli altri (familiari, amici, personaggi storici, eroi del mito), uno scandaglio dell’anima, tradotto in note dolcissime che rivelano la sua collocazione poetica sulla linea ungarettiana, accolta con fresca naturalezza.
Una malinconia piena di grazia si proietta da una lirica all’altra e tutte le accomuna in un sussurro sommesso, in un respiro passeggero, che esprime quanto sia difficile avere un cuore di carne e si scioglie nel verso finale catartico, euristico dal sapore di una preghiera: non lasciar che la grazia / s’annotti nel tuo cuore.
Le parole evocative, la predilezione per il cromatismo impressionistico– l’orizzonte d’indaco / punteggia il volto della libertà –la versificazione sciolta e sapiente comunicano l’entusiasmo nel sentire il mistero della vita attraverso la luce che brilla sulle argentee squame dei pesci e le morbide piume degli uccelli.
Scegliere la vita sempre, e in ogni caso, nella sua pienezza, superando il “disordine urlante” della solitudine, è il dono che Cristiana trasmette al lettore che la segue nella sua scoperta dell’infinita armonia dei misteri divini.
Gigliola Granieri
PROFILO CRITICO
Le poesie di una giovane autrice sono sempre esempio di genuinità e semplicità. Nel caso specifico di Cristiana Gagliardi, la materia poetica si fa portatrice di sensazioni e pensieri diretti, che partono dal vissuto e dalla realtà per volare più in alto. La parola è immediata e pare priva di collassi cerebrali o di influenze macchinose, per cui potremmo parlare di una poesia dell’esistenza, di una poesia della vita colta nel suo respiro profondo.
Nel panorama contemporaneo della letteratura questo genere appare lontano dai lettori di tenera età. Lo testimoniano di certo il disinteresse per il verso da parte delle giovani generazioni, nonché la sempre meno assidua collocazione della poesia nel canone delle discipline formatrici. La situazione è nota: benché la ridondanza dei mezzi di informazione sia all’ordine del giorno, la società postmoderna ha sempre meno tempo di leggere e di riflettere. Ragion per cui, soffermarsi sulle poesie di un’autrice alle prime prove può offrire, certamente, una speranza per il futuro.
Nei versi della Gagliardi si intuiscono le ansie e gli slanci della sua età – quell’età in cui – scriveva Eugenio Montale – «le nubi non sono cifre o sigle / ma le belle sorelle che si guardano viaggiare». È probabilmente la facilità di intuizione del mondo a rendere piacevole la lettura del libro.
In esso confluiscono particolari letterari tipici della formazione scolastica, cosicché il lettore assiste ad un viaggio di rimandi alla tradizione più antica, alla musicalità di un verso che pare non aver vissuto il travaglio delle poetiche e che mira alla semplicità del messaggio. Per questo motivo i temi sono quelli vicini al sentire dei giovani, dall’amicizia alla famiglia, dalla speranza per un mondo migliore all’elogio di quei personaggi illustri che hanno allargato il cuore dell’autrice all’atto della loro scoperta.
Talvolta si intuisce la tensione della giovane poetessa di rendere il suo verso pienamente letterario, con l’utilizzo di vocaboli più aderenti alla tradizione. Questo non impedisce alla poesia di rimanere semplice e apparire testimonianza del fluire del tempo: «Come l’onda / spumeggia fra rivoli d’acqua, / costretta dal vento / ad andare e venire; / mi abbandono / esule e vagabonda, / al lento fluire / di nuove vite…»; «Ticchettii, / piccoli rumori / celano / lo scorrere del tempo».
Lontani, i traumi della Storia e della quotidianità entrano nella spensieratezza di questi versi. Allora il pensiero e la riflessione si fanno viatico di nuove sensazioni che trovano respiro in una sensibilità certamente singolare. Sempre, tuttavia, nella gittata repentina del discorso, quasi sempre privo di una metrica costruita a tavolino e anzi spontanea e funzionale alla semplicità del verso libero. Il risultato è una poesia che parla, come in un colloquio, al lettore per integrarlo nella bellezza del mondo, nella speranza, non senza accenti quasi di esemplarità e di monito, compiuti in un permeante riferimento religioso. L’autrice sembra invitarci sempre alla vita – e alla vita stessa nella poesia.
«Il più bello dei mari / è quello che / le tempeste dell’orgoglio / non agiteranno mai». La gioventù sogna la pienezza dell’essere, l’approdo ad un punto iniziale in cui tutto si appiattisca ad una soluzione senza traumi. Il richiamo ad un mondo migliore è una puntata diretta nei confronti della delusione della Storia. La poetessa ci invita a scoprire la bellezza e la purezza delle piccole cose, proprio a partire dalla sua esperienza di canto, semplice ma di profondo significato.
Ci si accorge immediatamente di essere di fronte non solo ad una amante della parola – quasi ad una sua cercatrice – ma pure ad una voce votata alla riflessione. Il che è ancora motivo di singolare positività per un’autrice così giovane. Pensiamo a versi di questo tipo: «Ogni uomo ha in sé / la ricerca / d’una mancante misura». La sensazione che traspare è una ricerca dell’equilibrio, pure reso precario da quel piatto amaro che la Storia presenta ai nostri occhi.
Semplicità e tentativo di relazionarsi subitaneamente al lettore, quasi suggerendogli quello che è in realtà la natura primaria della poesia. Paiono questi i due anelli principali della lunga catena di testi che compone questo libro.
Al di là del compiacimento per l’impegno profuso nella realizzazione di un qualcosa di unitario – impresa ardua, oggi, nella frammentazione che contraddistingue l’oggetto e la realtà, croce di ogni poeta contemporaneo –, reso tale dalla freschezza del verso, il lettore intuisce subito di non trovarsi davanti ad una poesia che intenda offrire mirabolanti artifici retorici, ma ad un dolce canto, frutto di vocazione, che rivelerà certamente i suoi aspetti di novità.
Ci aspettiamo, dunque, un futuro prossimo di successi. Un incoraggiamento a ritornare sulla poesia e sulla natura del verso – riflessione costante, pane quotidiano dei poeti – è doveroso, affinché i semi posti sul terreno della parola diano buoni frutti.
Patrizia Niceforo
(direfarescrivere, anno II, n. 9, novembre 2006) |