Corpi lacerati, divelti nel loro essere, e senz’anima. Questi sono i risultati di una guerra. Per capire cosa davvero essa sia non è necessario raccontarla dal punto di vista bellico. Per capire quanto sia terribile, basta descrivere gli stati d’animo e i sentimenti di coloro che la vivono. Un po’ come fece Picasso, quando dipinse il celeberrimo quadro Guernica, a proposito del quale a un nazista che lo fermò disse: «Questo orrore l’avete fatto voi».
La guerra dall’interno
Su questa linea si inserisce Tempesta (Infinito edizioni, pp. 72, € 9,60). L’autore è lo sloveno Salih Selimović, che vive in Italia dal 1995, dopo essere fuggito dalla terribile guerra civile nei Balcani. L’opera è una raccolta di poesie sul dramma della guerra, e conseguentemente sulla perdita e la mancanza degli affetti. Il libro si apre con la Prefazione del poeta e scrittore Gianluca Paciucci, e l’Introduzione del traduttore dal serbo-croato-bosniaco e esperto di letterature slave Silvio Ziliotto. Ogni poesia è corredata da una fotografia, a cura di Mario Boccia. La metrica libera delle poesie rispecchia l’animo dell’autore, che, in un flusso di coscienza, vuole raccontare cosa prova dentro di sé. Paciucci nella Prefazione ricorda che nel libro non si dà spazio alla guerra in sé, ma gli strascichi che essa ha causato. In modo particolare, per quanto riguarda la sfera degli affetti, scrive: «L’io poetico – maschio – possiede e incarcera, come in tanta poesia erotica non rinnovata dai nuovi accordi del secondo Novecento, per cui imprigionare non è amare; ma qui c’è più schermaglia d’amore catulliana che venale possesso». Dunque i conflitti generano la paura di perdere gli affetti più cari. Nella sua Introduzione, Ziliotto, sulla stessa linea di Paciucci, racconta di quando ha conosciuto Selimović, e del loro rapporto. Parlando della vita da profugo dell’autore e della relazione inscenatasi tra poesia e guerra scrive: «Nella vena intimista esplode poi il conato verso l’alto e l’altro, la ricerca della pace e della giustizia, il rinnegamento di ogni forma di inutile violenza». Dunque la poesia fungerebbe da evasione dalla guerra, alla stregua di una nave che si allontana dalla tempesta.
Il tempo e la sua inesorabilità
Uno dei temi sui quali insistono le poesie dell’autore, e che, ovviamente è conseguenza delle guerre, è l’ineluttabilità del tempo, insieme al suo essere inesorabile. Non è un caso che le poesie siano ordinate per temi, e quelle su questo argomento aprono proprio la raccolta. Lo scorrere del tempo è la conseguenza più tragica dei conflitti. Nell’introduzione de Il tempo Selimović racconta: «Anzi, spesso capita che, con orrore, ci impongano di cancellare questi ricordi. E io, vorrei dimenticare, le mani, i capelli... Vorrei lasciarmi travolgere dalla Tempesta mentre le vado incontro...». Dunque, per quanto il mondo scorra veloce e imponga di cancellare il passato, questo farà sempre parte di noi. Su questa lezione ha sempre ampiamente assistito l’intera storia della letteratura occidentale: dai greci fino ai nostri giorni. Su questo tema insiste poi nella poesia dove scrive: «Ho paura sia giunta la fine./Il tempo stringe,/bussa alla porta con insistenza,/con mano pesante,/ne sento il gelido respiro». Un modo perfetto per mostrare come il breve lasso del tempo della nostra vita, come un battito d’ali di una farfalla, incombe sempre su di noi. Quest’ansia lacera le nostre esistenze. Per tanto, la stessa fotografia di Boccia con uno stagno deserto e isolato raffigura al meglio questo stato d’animo.
Le mani e il mare: simboli di fuga dalla guerra
Un simbolo per poter implorare le fine delle atrocità della guerra, e in senso lato delle cattiverie nel mondo sono le mani. Nella poesia dal titolo, appunto, Le Mani così recita: «Sembrano i rami di salice piangente,/implorano pietà di fronte all’ingiustizia,/di fronte al dolore». Questi versi sono immersi in un’atmosfera cupa e uggiosa, che ammanta l’intero componimento. Vagamente, sembra di leggere alcune strofe ispirate a La pioggia nel pineto di D’Annunzio. In questa raccolta colma di simbolismi, grande attenzione è anche riservata al mare, e alle possibilità che esso offre per evadere da atroci realtà. Nella poesia Compagni di Viaggio si dice infatti: «Tanti siamo, venuti da ogni dove,/con la speranza di ricominciare/la vita altrove». Selimović raffigura nella barca la possibilità di salvezza e di fuga dalla guerra, anche se un mare in tempesta, simbolo della durezza della vita, aiuta poco.
Affetti personali e introspezione dell’Io
La guerra causa molti lutti, e atroci perdite. Per il poeta una scomparsa significativa è stata quella di sua madre. Strazianti e pieni di pathos sono i seguenti versi: «Le lacrime sono iniziate a scorrere./Non ho sentito bussare./Non ho sentito la voce./Solo il suono del silenzio nel corridoio». Nel componimento si ricorda che la madre svegliava il figlio ogni mattina. Dopo la sua scomparsa, è proprio la mattina uno dei momenti più difficili per il poeta. Un conflitto bellico, inoltre, porta la perdita della propria coscienza, e dunque ci si chiede quale sia la propria identità, i nuovi desideri e le passioni. Su questo tema si concentra la poesia Chi sono io. In tre versi in particolare riecheggia al massimo questo clima di smarrimento totale, che si ripercuote in ogni componimento di questa raccolta: «Dove la strada, i piedi, mi portano?/Lo chiedo alla mia ombra./Rumore di passi, silenzio, non c’è risposta».
Nel quadro generale la raccolta è costruita per dare sfogo ai propri stati d’animo, assolutamente personali ma ha anche uno scopo paideutico, in quanto può aiutare, attraverso la guerra e i suoi strascichi, a riflettere sulla propria esistenza e a fornire, in modo deciso, una chiave universale sul dolore e la perdita che contraddistinguono la vita di tutti.
Giuseppe Chielli
(direfarescrivere, anno XV, n. 160, maggio 2019)
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