Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La recensione libraria
Un paese di pietra e persiane animate,
un’antica maledizione e legami saffici:
un intreccio complesso e pericoloso…
Due delitti e un ispettore alla ricerca di se stesso
e della verità, in un romanzo di Edizioni Creativa
di Annalisa Pontieri
C’è qualcuno che sostiene che la vita di provincia è una vera noia e qualcuno che è convinto del contrario, cioè che vivere in luoghi a volte quasi del tutto privi di strutture di ricreazione dia maggiori possibilità di forgiare una comunità coesa, capace di produrre le occasioni di svago e di inventarsi passatempi, soprattutto di natura culturale.
In un certo senso il romanzo La maledizione dei cerchiai (Edizioni Creativa, pp. 196, € 13,00), di Gianni Brunacci – vignettista satirico e scrittore di “dialoghi aretini” per passione –, conferma la tesi di una provincia italiana focolaio di attività, tesi confermata anche dalla cronaca nera di tutti i giorni.

Una pittoresca galleria di personaggi
Un piccolo borgo di pietra, Raggiolo (in provincia di Arezzo), con una brutta reputazione – l’attitudine al coltello facile –, due cadaveri senza colpevole e strani indizi.
Sul filone di Montalbano, ecco un altro ispettore, Gianluca Bacci, «prigioniero della propria contorsione mentale» alla ricerca di se stesso e inseguito dal crimine fin nel suo soggiorno di ristoro in un piccolo centro abitato di sole 70 anime dimenticato da Dio e dai ripetitori di telefonia mobile, ma animato da persiane piene di vita. Tanti i personaggi che vorticano in questo romanzo, da Giovanni detto “il Mutino”, cresciuto da una madre sola e abbandonata, a Pazzo, poliziotto salernitano dal piglio sardonico; da don Carlo, prete di colore, al Chiusino che, rammentando l’antica leggenda della maledizione dei cerchiai, darà una mano a Bacci nel rimettere ordine nel puzzle; dalla professoressa di Storia delle religioni Allasio Mistretta, domina ludi della Congrega delle Figlie di Ishtar, a Silvia, detta “Marchesina Rossa”, amica della prima vittima, Maria Pia, e caratterizzata dall’assurdo vezzo di fingere la erre moscia e – senza voler anticipare nulla – rappresentante la chiave di volta di tutta la trama, in grado anche di sedurre il povero Bacci.
E infine Pietro Zoncolan, detto “il Bidellino”. Venuto da Padova, pur vivendo a Raggiolo da più di dieci anni, non era divenuto ancora parte di loro, forse anche a causa della sua pesante cadenza veneta, e come scrive Brunacci «cercava di compensare la sua debolezza sforzandosi di leggere quella Divina Commedia che qualcuno in paese recitava a memoria». Solo alla fine del romanzo, che non sveleremo, con un’unica battuta finalmente si affrancherà da questa illegittimità, diventando, senza gloria, «un raggiolatto a tutti gli effetti».
C’è dunque un po’ di tutto, personaggi di ogni risma, alcuni alticci e altri seriosi. Anche una chicca: per chi non lo sapesse “Cappuccetto Rosso” dalle parti di Raggiolo era quella donna – madre o sposa, sorella o zia – che “faceva la spogliola”, andava cioè a portare agli operai i maccheroni e un fiasco di vino in una cesta.

Crimini e stregonerie
Il delitto sopraggiunge nel mezzo di una partita a briscola bagnata da un fiasco di vino. Al vecchio mulino Bacci rinviene cadavere la raggiolatta più giovane, Maria Pia, morta per overdose di eroina e straziata nel giovane corpo. Il giorno dopo, sotto una pioggia battente, Pazzo incespica in un cadavere con la testa spaccata, quella enorme del Mutino. Lasciata incustodita, la salma viene sottratta e spostata sotto la casa della Marchesina.
Sarà proprio lei a fornire i primi indizi a Bacci verso l’oscuro mondo della stregoneria, la soluzione però non sta a Raggiolo, ma in un antico castello a Galbino. Su tutto campeggia la leggenda della maledizione dei cerchiai che riecheggia pericolosamente nella scena del primo delitto del romanzo: in una famiglia numerosa di cerchiai, Astarte, una giovane sposa, viene ingiustamente accusata dai cognati di aver rubato dei soldi, e per questo offesa e uccisa. Il fratello di lei ne ritrova il cadavere accanto alla vasca del Mulino – dove Bacci troverà Maria Pia – e reclama vendetta, versando il sangue di tutta la famiglia dei cerchiai.
Il mulino ultramillenario è il centro dell’azione: lì viene ritrovato il cadavere della giovane e sempre lì la Congrega si riunisce e compie i suoi riti.

…ma anche problematiche esistenziali e/o sociali
Non voglio dire di più sull’epilogo, ma spendere piuttosto qualche parola su alcuni temi: il primo è l’omosessualità. L’amore “saffico” è il legame principale all’interno della Congrega, ma si può parlare anche di una sorta di plagio esercitato dall’insegnante sulle due giovani amiche, Maria Pia e Silvia, che per lei entreranno in competizione d’amore.
Secondo tema: la stregoneria, spesso al centro della cronaca nera, in quanto estremizzata nelle sue aberrazioni tinge di sangue le mani di visionari che alla fine, dietro strani simboli e riti, nascondono vizi comuni quali la droga, l’alcol, il sesso e lo sballo in generale.
Altro tema è la perdita di un figlio e le emozioni contrastanti che investono i genitori che restano a questo mondo. Gina e Mario devono fare i conti con l’immagine della loro figlia, Maria Pia, squarciata nella propria intimità; e Rosa con la solitudine totale cui la spinge la morte dell’unico figlio, il Mutino.
Momenti ed emozioni che sono ben difficili da descrivere ma che l’autore riesce a rendere attraverso dialoghi stentati, incoerenti e attraverso silenzi. I dialoghi, proprio quelli, sono il punto di forza del romanzo, vigorosi nei momenti di leggerezza, con spunti di ironia sardonica, e incerti e penosi nei momenti di dolore. E Raggiolo resta lì fermo e immoto mentre le sue pietre millenarie continuano a riecheggiare i passi strascicati dei vecchi come tonfi sordi.

Annalisa Pontieri

A. P., esperta di Storia dell’arte, è collaboratrice della rivista www.scriptamanent.net (della quale è responsabile delle sezioni Letteratura ed Editoria varia) nonché coordinatrice della rivista Rnotes. Socia di Bottega editoriale Srl, ne coordina i progetti.

(direfarescrivere, anno II, n. 8, ottobre 2006)
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