Portare con sé un’idea, una storia e un’emozione. È lo spirito che anima la collana pubblicata da Terre di Mezzo Editore, sui Percorsi. Nata per far conoscere tracciati ricchi di cultura e tradizioni, storia e costume, essa promuove anche modi e stili di viaggio “leggeri” e alla portata di tutti. Una delle ultime pubblicazioni, Guida alla Via Francigena. 900 chilometri a piedi sulle strade del pellegrinaggio verso Roma (pp. 208, € 17,00), è scritta da Monica D’Atti e Franco Cinti, pellegrini compostellani in cammino, alla ricerca del percorso «unico, vero e fattibile» che porti anima e corpo a Roma.
La Guida è per coloro i quali amano camminare dentro lo spirito, sulle tracce di una ricerca umana o di una vicenda collettiva, tra luoghi silenziosi e naturali. E la Via Francigena può dare passione e tradizione perché è una delle strade di pellegrinaggio, insieme alle tre peregrinationes maiores, Roma, Santiago, Gerusalemme, che conducono a Roma, con strutture che si sono arricchite nel corso della storia. Monasteri, abbazie e chiese hanno reso il percorso importante. La Via Francigena o Francesca è detta così perché proveniente dalle Francie. Dal Monginevro a Roma è il percorso. Una quarantina le tappe da affrontare con un equipaggiamento leggero ma essenziale.
Il percorso, provato e testato non solo dagli autori ma anche dal più vasto gruppo della Confraternita di San Jacopo di Compostella, muove proprio da esigenze e priorità tipiche del pellegrinaggio di tipo compostellano, traducendosi così in giornate di cammino fra itinerari storici e sacri. Il tutto per soddisfare, come scriveranno gli autori nella presentazione, «il difficile equilibrio tra lunghezza, piacevolezza e sicurezza».
I riti e i simboli storici di un lungo cammino di fede
La guida è anche un buon libro di storia e un’eccellente antropologia dell’uomo viandante. La Via Francigena è sinonimo di homo viator. Molti pellegrini sin dalla nascita della chiesa si mettevano in viaggio lasciando famiglia e testamento per raggiungere Roma. A cavallo o a piedi, senza alternativa. Si arrivava alla meta soprattutto negli Anni santi o giubilari.
Si diventava pellegrino osservando una specifica pratica liturgica che si manteneva attraverso comportamenti, stili di vita e riti in uso ancora oggi. Il primo passo era l’Investitura, rito piuttosto semplice che consisteva nella benedizione da parte di un sacerdote di alcuni oggetti (signum peregrinationis) che sarebbero poi risultati utili per il viaggio, oltre che avere un valore simbolico. Uno di questi è la bisaccia «costituita da uno stretto sacchetto di pelle d’animale, sempre aperto sulla bocca, non chiuso da legacci». Alto il valore simbolico: mortificazione della carne che si disseta a piccole gocce e generosità che viene dall’elemosinare l’acqua, fonte di vita, confidando nella Provvidenza di Dio. Nasce già da questo elemento la configurazione del pellegrino “povero”. Egli, infatti, deve essere povero dal momento che il suo pellegrinare deve essere esclusivamente mortificante, a vantaggio del corpo e dello spirito.
Altro elemento che caratterizza un viator è il bordone: il bastone da viaggio. Esso è un utile appoggio, «il terzo piede» che simbolicamente richiama alla santissima Trinità. Ci sono poi altri oggetti, il petaso, cappello a larghe tese per ripararsi dalla pioggia o dal sole, e la pellegrina, una sorta di mantello che serve a proteggere le spalle, sui quali un tempo venivano cucite le insegne del pellegrinaggio con tutti i luoghi visitati. La conchiglia era il simbolo di Santiago de Compostela, la palma, invece, era l’emblema di chi si era recato a Gerusalemme, mentre le chiavi di S. Pietro erano l’immagine di Roma.
Grazie ad alcuni documenti si è a conoscenza di come viveva un pellegrino. Chi partiva era cosciente che sarebbe potuto non tornare. Molti, infatti, erano coloro che facevano testamento; molti coloro che morivano a causa del freddo, della fame e della sete o vittime di banditi e assassini. Lungo il cammino bisognava seguire tutta una serie di regole e obblighi, come viaggiare di giorno e dormire di notte o sostare nello stesso luogo ove riposare per un periodo massimo di due giorni. Solo a causa di malattie comprovate il pellegrino poteva trattenersi per cinque dì, trascorsi i quali doveva riprendere il cammino interrotto: ciò contribuiva a mantenere salda la fede in Dio e nella carità cristiana.
Tappe, tempi e difficoltà
Le tappe proposte non vogliono essere un percorso obbligato, ma un suggerimento del cammino giornaliero. La percorrenza media consigliata è di 25 km al dì per un totale di 915 km. Il viaggio è stato suddiviso in tratti per agevolare un eventuale pernottamento. «Quello che vogliamo recuperare con la Guida – sostengono gli autori – è uno “sguardo d’insieme”: ogni tappa è un frammento di un cammino più grande». All’inizio della guida è possibile avere un quadro generale del percorso con una cartografia del tragitto su scala 1:800.000 per un totale di sette tavole. Ogni tappa, poi, fornisce i km che mancano per raggiungere Roma, la sua lunghezza, il tempo impiegato e la difficoltà che essa comporta. Inoltre, vengono anche indicati i centri di ospitalità.
Un consiglio dato dagli autori è quello di non chiedere informazioni lungo il percorso a chi è del luogo, ma di attenersi alle cartine geografiche. «Si rischia di avere indicazioni scorrette. Infatti, ormai, tutti sono abituati a spostarsi in automobile e, se chiediamo indicazioni per un luogo, ci indicheranno la strada da loro conosciuta e per loro più diretta per raggiungerla in auto; se si vuole chiedere informazioni la tecnica suggerita è di instaurare un vero dialogo con il soggetto che abbiamo individuato come informatore e farsi indicare, magari cartina alla mano, la strada per il luogo più prossimo che sta sul nostro percorso, mai la strada per la destinazione finale, o comunque, mai per il luogo più distante».
La Guida alla Via Francigena è corredata di splendide fotografie scattate dagli stessi autori e da Riccardo Carnovalini. Molto interessante è la sezione dal titolo Visitandum est dedicata alla bibliografia con suggerimenti ai luoghi da visitare, alcuni di tipo storico, artistico e diaristico, altri ricchi di religiosità.
È un’occasione per camminare, a passo più o meno lento, a seconda delle passioni e dei giorni, alla ricerca del proprio senso della vita. Alla ricerca di un piccolo alito di eternità.
Caterina Provenzano
C. P. è docente di Lettere. Svolge anche un'intensa attività culturale e giornalistica nei settori artistici e religiosi oltre che, ovviamente, letterari.
(direfarescrivere, anno II, n. 7, settembre 2006) |