Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La recensione libraria
Realismo e magia si intrecciano
nella lotta tra nuovo e tradizione
in un paese immaginario
Il primo romanzo storico di Pantaleone Sergi:
da Pellegrini Editore, un unicum letterario
di Maria Chiara Paone
«La sventura di un popolo può iniziare anche con piccole cose».
Una frase concisa eppure estremamente evocativa nella sua semplicità, un presagio funesto che attira marcatamente l’attenzione: è così che Pantaleone Sergi avrebbe potuto dar inizio al suo romanzo. Ma il giornalista e saggista per il suo esordio nella letteratura ha preferito condurre il lettore gradualmente nella trama, attendendo, pagina dopo pagina, che questa si dispiegasse. Come lo fa? Attraverso un caleidoscopio di personaggi, situazioni e immagini sospesi tra il realistico e l’immaginario.
Liberandisdòmini (Pellegrini Editore, pp. 204, € 16,99) – di cui Bottega editoriale ha gestito il percorso editoriale – è un romanzo storico: lo dimostra l’Introduzione che porge omaggio a quella manzoniana de I promessi sposi, sia per l’artificio del manoscritto ritrovato, sia per l’attenzione riportata all’aspetto linguistico, qui tradotta in una fusione perfetta tra italiano ed espressioni dialettali.

La grande Storia al servizio degli eventi quotidiani
Gli anni trattati nel romanzo sono i primi del ’900, in un Regno d’Italia ancora nuovo, segnato dall’emigrazione, in cui il divario tra Nord e Sud è molto accentuato – senza che lo stato riesca in alcun modo a sopprimerlo –, un racconto ambientato a Mambrici, paese immaginario dell’entroterra calabrese. In un clima politico incerto vanno a intrecciarsi le vicende personali del sindaco, don Florindo Belforte che, cerca di sopravvivere con il suo status e la sua autorità intatti, avvalendosi dell’aiuto del nipote Federico, da poco tornato in paese, con l’intenzione di renderlo suo successore alle prossime elezioni. Tutto però sembra ostacolare i suoi piani, primo tra tutti l’altro potenziale candidato, don Mimì Lupò, delinquente di professione e rappresentante della cosiddetta maffia, dramma ancora oggi presente nella regione; tuttavia il peggior nemico di don Florindo è proprio egli stesso, ancorato alle idee di un mondo che ormai non esiste più.

Due realtà contrapposte
Fondamentale per comprendere appieno questo punto è il dialogo che don Florindo instaura proprio con il nipote: «“Mio caro Federico sappi che i ricchi sono fatti e i poveri pure. Il destino non si cambia a piacimento” fece notare don Florindo. “Fino a quando il popolo non si ribella e chiede giustizia… Ma non perché i poveri ci sono sempre stati dobbiamo arrenderci e stare a guardare come pigliamosche, senza nemmeno tentare di cambiare qualcosa” avvertì a botta Federico, costringendo lo zio a riflettervi su».
Federico Belforte così investe il ruolo del perfetto contraltare di Florindo: questi fiero della sua nobiltà e legato alla corona; il nipote invece socialista, di mentalità più aperta grazie alla sua esperienza in America del Sud e, nonostante le sue origini, dalla parte del popolo. Federico è il prototipo dell’uomo moderno, che si avvale delle sue capacità per tentare di cambiare il proprio paese.

Ulteriori omaggi
Il rapporto in contrasto tra zio e nipote, l’ombra del cambiamento sempre più vicina dovuta agli eventi storici… i più attenti potrebbero ritrovare in questi fattori degli elementi in comune con un altro classico della letteratura italiana: Il Gattopardo, ambientato grossomodo nello stesso periodo: chi, nel leggere il punto di vista di don Florindo, non ritrova un pizzico della figura del principe Fabrizio, accomunandoli anche per la loro, seppur diversa, ma rispettiva importanza nell’ambiente in cui operano?
Oppure c’è chi, soffermandosi sulla storia d’amore di Federico con la bella Caterina, ha ritrovato accenni di quella tra Tancredi e Angelica; tuttavia l’elemento di novità e, perché no, di freschezza che Sergi dona ai suoi personaggi è quello di basare l’unione su un affetto sincero tra i due giovani, ovviamente incoraggiati a frequentarsi, e non solo pensando a una possibile alleanza tra le rispettive famiglie per fare fronte unico contro i comuni nemici. Anche il periodo storico, leggermente spostato in avanti per quanto riguarda l’opera, è importante ai fini della storia e degli eventi che si susseguiranno, mostrando anche una triste verità; ovvero che, nonostante fossero passati quarant’anni dall’Italia unita, questo evento si rivelava essere un cambiamento pro forma, soprattutto per il Sud e per i progressi che non erano riusciti ancora a valicare quel confine invisibile ma ben tracciato dai mezzi e dalla mentalità dei meridionali.

Una nuova Macondo?
Tuttavia protagonista indiscussa della storia è senza dubbio la stessa Mambrici; chiusa nel suo microcosmo, si ritrova ad affrontare, nel secolo appena giunto, ogni sorta di stranezza tra misteriose morti e nascite di “bambini-scimmia”: un luogo in cui la magia e l’occulto sono elementi culturali importanti e hanno strumenti capaci di battere persino la scienza. Durante la lettura vengono presentati una lunga sequela di personaggi, più o meno caratterizzati e che presentano anche elementi non scontati o comunque non soggetti alla censura; ad esempio don Andrea, il parroco del paese che non si nega assolutamente i piaceri della carne.
Per molti elementi – che si preferisce non rivelare in toto, per permettere di mantenere inalterata nel lettore la sorpresa – questo paese immaginario può essere considerato degno erede della Macondo di Marquez, nello scontro eterno tra arcaicità e progresso.
Che Mambrici incappi nello stesso destino della cittadina sudamericana non si può però dirlo: spetterà ai lettori scoprirlo, iniziando questo appassionante viaggio!

Maria Chiara Paone

(direfarescrivere, anno XIII, n. 139, agosto 2017)
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