Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La recensione libraria
Un viaggio intenso e immaginifico
alla riscoperta dell’intimo legame
che sussiste fra l’uomo e la natura
Da Arduino Sacco Editore, una storia che fonde
l’evasione alla riflessione sul nostro presente
di Stefania Ciavattini
Federico Carro, a soli 26 anni, è già conosciuto e apprezzato per il suo talento nel disegno e nella pittura e, ancor più, per le sue doti musicali, che spaziano dal rock al pop fino al jazz e al blues. Adesso, esordisce anche nel mondo letterario con il romanzo Il segreto del verziere (Arduino Sacco Editore, pp. 136, € 14,90): il giovane autore inizia così a esplorare nuovi itinerari artistici.
La sua nota vitalità espressiva si concreta nella forma letteraria che imprime al romanzo: né fantasy né epico, esso, sfuggendo a qualsivoglia tentativo di classificazione, si impone nella sua estrema originalità. Un libro inconsueto, che sfrutta un altrettanto originale linguaggio per essere, oltre che letto, ascoltato nella sua sonorità e osservato come se fosse dipinto su tela con sicure pennellate.

Un linguaggio creativo
Il linguaggio utilizzato ne Il segreto del verziere non ha precedenti. Il suono dal sapore antico che avvolge il racconto non viene ottenuto mediante l’uso di parole desuete, tratte dallo stile di autori del passato, ma, paradossalmente, attraverso neologismi capaci di antichizzare; con l’uso frequente di ossimori e iperboli, insieme al ricorso a una sintassi apparentemente sconnessa. Il risultato che si ottiene è quello di un incedere aulico, a tratti sacrale, che ben si addice alla vocazione “rivelatrice” del racconto.
Di sicuro, la lettura non è immediatamente scorrevole: il mancato ricorso alle regole della scrittura, la punteggiatura imprecisa per lunghi periodi, unitamente all’utilizzo meccanico degli schemi linguistici odierni, che ci inducono automaticamente alla ricerca di ogni probabile “errore”, ne rallentano all’inizio la fruizione.
Non bisogna però lasciarsi scoraggiare, perché, superato l’impatto con le prime pagine, si entra in confidenza con il nuovo lessico e il romanzo comincia a scorrere per essere gustato in tutta la sua musicalità.

L’ambientazione
L’autore afferma che la regione in cui è nato, la Liguria, ha influenzato l’ambientazione del Lido: si tratta infatti di una terra che raccoglie mare e campagna, boschi marittimi e vallate fiorite, frutti succosi e spiagge nude. La trasposizione poetica, comunque, rende il Lido un luogo sconosciuto e misterioso, dove convivono le vestigia di un antico splendore e la presenza di terre infruttuose e desolate.
Si intuisce che un tempo uomini e natura vivevano qui in un’osmosi continua, in un rispecchiamento amorevole che si è poi affievolito.
La natura sembra continuare a “vegliare” sugli uomini dei quali assume spesso le sembianze e percepisce i sentimenti.
Espressioni come «le stelle che danzavano di notte, ora erano sacrificate da nuvole luttuose e accigliate da un nero cherubino» o «lo scintillio dei lampi squarciava i nostri sguardi, disprezzati dalla volta celeste» e ancora «il cielo trasparente, privo di peccati» o «il canto degli uccelli in festa regalava note angeliche al lieto vivere» evocano una gradevole poesia che, sola, consente già di consigliare la lettura del romanzo.

Il racconto
Nella premessa e nel primo capitolo, si ricostruisce, con la voce del cantastorie Caldero e del contadino Corcelsio, la storia della felice monarchia, che aveva condotto il Lido verso la pace e la prosperità ideali, e il venir meno poi di queste fauste condizioni.
Il contadino e il cantastorie narrano le vicende a Virtuoso, un mite e fanciullesco prete di campagna, il quale apprende che a innescare il processo di depauperamento della natura e il progressivo incrinarsi della pacifica convivenza con essa, di cui godevano un tempo gli abitanti del Lido, è stato un tragico errore commesso dal monarca. I dettagli restano ignoti fino alla fine del romanzo: solo nell’epilogo verrà infatti svelata la natura dell’errore e la soluzione più consona a porvi rimedio.
Nel corso della narrazione, i personaggi si alternano nel raccontare leggende e storie inventate a danno altrui, alla ricerca di un colpevole anziché di una causa, di una vendetta anziché di un proposito riparatore.
Nella prima parte del libro è da segnalare, per la sua bellezza, la descrizione del percorso di Virtuoso al seguito di Corcelsio: sulla strada, inizialmente, Virtuoso non vede che «ciottoli malconci e pien di insana caligine, il grigiore era dipinto nelle case ricolme di abbandono», ma, mentre i due procedono verso l’abitazione del contadino, lo spettacolo cambia e Virtuoso può vedere che «oltre l’immagine deliziata della bellezza degli abeti, vi erano altri orti ammantati dalle più svariate piante e alberi ricolmi di una moltitudine di frutta, donata gentilmente dal cuor di madre natura».
Che Corcelsio sia un contadino un po’ particolare, lo si evince dal delizioso racconto degli scoiattoli che mangiano dalle sue mani e dalla descrizione della sua affettuosa famiglia, che induce Virtuoso, che mai ha conosciuto i suoi genitori, a versare lacrime per il rimpianto.
Nel mentre, inattesi scorci negativi si aprono sulle vicende di Corcelsio e di suo figlio Fiordilisio, lasciando presagire i lati oscuri e i tratti malevoli che verranno sviluppati nei capitoli successivi.
Un altro episodio, quello di un veliero dal perduto equipaggio che si «avventò in mezzo alle coltri nebbie, per poi placare la sua lenta e affannosa avanzata nel porto», suscitando panico e curiosità, sembra dare una spinta al destino che deve compiersi, al segreto che deve essere svelato.
Nei capitoli successivi, lo spazio viene occupato sempre più da storie che testimoniano la disgregazione sociale del borgo: figli perduti, amanti strappati al reciproco affetto, odio tra fratelli, processi e ferimenti, esecuzioni e suicidi. Anche i personaggi apparentemente positivi, mostrano il loro lato peggiore: Corcelsio e suo fratello Zeno impugnano le armi per uccidersi; Virtuoso viene processato per la morte di Michele; Fausto, ritenuto padre di Virtuoso, viene decapitato al suo posto, causando un enorme dolore a Melissa, suo amore d’un tempo.
Riaffiorano ricordi tragici di amori negati e odi sepolti sotto braci facilmente ravvivabili.
A dare una direzione alla rabbia montante dei paesani, che non vogliono rassegnarsi alla povertà, pensano il sindaco del Lido e Fiordilisio, mentre un inquietante personaggio, dalle braccia tatuate con simboli dorati, si aggira nei luoghi, testimone di patti infranti. Corcelsio viene così indicato come colui che non ha rispettato il patto stretto con il principe Lejack per frenare la caduta del Lido. Il dilagare dell’odio dei paesani, che organizzano una vendetta contro Corcelsio, culmina con la decisione di predisporre un’armata.
L’ autore rende perfettamente la furia della marcia dei compaesani verso la casa di Corcelsio, mentre incuranti falciano l’erba con gli stivali e sradicano le piante.

La fine del racconto e il segreto svelato
All’arrivo della folla inferocita, Corcelsio è tranquillo: sta sorseggiando un pregiato vino d’annata.
La vista del verziere intatto, nella sua regale bellezza, e l’apparire di un personaggio che sembra la materializzazione dei mali subiti dalla terra, immobilizzano la truppa rabbiosa.
Corcelsio, l’uomo che si rispecchiava nella natura svela il segreto: «La terra racchiude in sé un’anima florida e piena di radiose virtù, tale essenza è la suprema madre dell’esistenza. Un essere vivente gode di quell’istinto e di libero arbitrio». Una vitalità suprema che non andava dunque ostacolata mentre, purtroppo, il vecchio re si era macchiato proprio di questo errore. Il racconto del dono che la natura aveva fatto a re Mitra – trasformando una farfalla in uva e poi in libellula e poi di nuovo in vitigno – è un’altra delle preziosità del libro, tutta da gustare.
Il re, non volendo sostenere il peso di tale vitalità, aveva ordinato di interrare il vitigno, ma anche così la natura era riuscita a sopravvivere quando Miriam, la figlia del sovrano, aveva mangiato gli acini ormai rinsecchiti della pianta, dando avvio alla discendenza dalla quale sarebbe poi nato Corcelsio.
Il verziere, nel suo fulgore, sembra aver sempre saputo chi doveva essere il re predestinato di quelle terre.
La conclusione restituisce la speranza nella possibilità di una rinascita effettiva, a patto che ciascuno cominci a rispecchiarsi nuovamente nella natura: essa ha bisogno di cure affinché possa, a sua volta, prendersi cura di noi. La gente del Lido ora lo sa.
L’epilogo del romanzo assume così i tratti di un dono poetico, a consacrazione di un amore per la natura che il nostro paese merita di riscoprire.

Stefania Ciavattini

(direfarescrivere, anno XIII, n. 137 , giugno 2017)
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