Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La recensione libraria
Il fascino di epoche lontane
in una raccolta di racconti
che fonde il bene e il male
Da Edizioni la rondine, la musicalità di prose
che evocano lo stile narrativo dei cantastorie
di Maristella Occhionero
«…Io che sono il mezzo Dio ed introduco lo scritto, dopo averlo in parte creato non vi lambisco più col mio bianco fiato…
Tolgo perciò dalla penna il gran fastidio e do spazio invero con poca voglia al mezzo Diavolo che ripudio».
Con queste parole ha inizio la silloge di Francesco Caroleo, giovane scrittore che si è dedicato alla stesura di poesie e racconti, componendo una prima pubblicazione dal titolo L’alba delle tenebre. Il suo secondo testo, La Rosa Alata. Di mezzo Dio e di mezzo Diavolo (Edizioni la rondine, pp. 168, € 10,00), consiste in una raccolta di brani che difficilmente si possono definire appartenenti ad un preciso stile letterario. Si tratta, infatti, di racconti arcaici, di personaggi al limite tra realtà e fantasia e di storie narrate con un linguaggio inusuale, spesso in rima, che ricorda quello dei cantastorie medievali di palazzo.
Le parole di Caroleo hanno un qualcosa di musicale e riescono a trasportare il lettore in atmosfere lontane e a volte non appartenenti a questo mondo. Preparatevi, quindi, a immergervi in sensazioni distanti dalla nostra epoca, a sentirvi circondati dalla fredda pietra di castelli, da dame e signorotti e dal calore di un enorme camino, illuminati solo dalla luce di qualche candela, in attesa che il cantastorie cominci a narrare…

Di mezzo Dio e di mezzo Diavolo
Questo particolare sottotitolo viene esplicitato meglio in un brano omonimo nel quale si parla di questo individuo creato da un dottore malvagio: «Una creatura da laboratorio battezzata con i crismi di Cristo e creata nell’officina di Satana, il quale la preparava a ricetta e la friggeva nella sua padella con una certa perversa fretta: era il soldato del Dio civile…».
Parole spesso complicate da comprendere, storie intricate e affascinanti dove le figure di Dio e del Diavolo compaiono di frequente, in un intreccio tra bene e male. A volte si distinguono e altre convivono in una figura ibrida e spaventosa.
Per esempio nel brano La donna demonio, la figura del Diavolo ritorna incastonata nel corpo di una donna che alla fine della sua vita, invece, si rivela essere il contrario e che addirittura viene definita «l’angelo di Dio». Ancora una volta, quindi, bene e male si fondono e, allo stesso tempo, confondono.

Strani personaggi
Ogni storia è dedicata a un personaggio, e sono molti ad alternarsi tra le pagine del libro di Caroleo. È il caso del racconto Il Signor Freddo, in cui il protagonista cerca di suicidarsi dopo aver perso moglie e figlia, ma che viene spedito da una qualche entità superiore in una landa gelida, da dove riesce comunque a mandare tutto il suo amore alle due donne lontane: «Nonostante il male abbia reciso la forza della sua mano, il Signor Freddo da quel luogo mandava amore verso sua moglie, verso sua figlia e ancora più lontano… Fino a poterle tenere per mano!».
Oppure del brano L’uomo dei fiori, nel quale si parla di un piccolo uomo che passa tutto il tempo a curare il suo giardino; la sua è una storia triste nata da un padre violento, da figli malati e che non ricambiano le sue fatiche con l’amore: «L’uomo dei fiori nel corso degl’anni era diventato distratto, nel suo giardino si ritraeva a mezzo lucifero e a mezzo figlio divino. Aveva incertezze circa il credo e anche circa il suo destino, ma stava lì di stagione in stagione a piantare questo o quel fiorellino».
O ancora del protagonista di Il paranoia, un uomo pieno di ossessioni e compulsioni che lo hanno portato ad essere prigioniero della sua stessa casa e dei suoi stessi pensieri: «Così l’isolato, l’asociale e da se stesso esiliato, viveva internato in una mente che dal suo essere i contatti e la spina aveva staccato, per comprenderlo bisognava guardarlo dalla cima dei piedi fin dentro la pianta del cervello… Dove la cresta dei galli non era la diga di quei pensieri vomitati senza intervalli».

La Rosa Alata
Omonimo al titolo della silloge è un brano posto verso la fine del volume, in cui Caroleo parla di questo meraviglioso fiore che in realtà è una figura misteriosa, tinta di magia. Essa gli viene descritta prima da uno spirito che ne delinea anche dei tratti inquietanti («Piuttosto egli mi dice che la rosa alata era di un cuore la divoratrice e che ad un certo lume di candela lei nasceva, sbocciava e poi volava… Portando via con sé quel cuore che adorava!») e poi da un lombrico che invece la adora.
Alla fine quest’oggetto misterioso appare davanti agli occhi dell’autore in tutto il suo splendore. Criptico, come anche negli altri racconti, Caroleo ci descrive la rosa con quel tocco di poesia di cui è pregno l’intero testo. Non si riesce a comprendere pienamente di cosa si tratti, ma se ne percepiscono i contorni e le sensazioni sprigionate in chi la vede: «Fattasi una certa ora vidi proprio con i miei occhi la rosa alata scendere sulla terra come se fosse una fata, il lombrico timorato si infilò ancora più in giù nel solco fatto dall’aratro, ma la rosa alata senza scomporsi lo fece uscire fuori e lo portò in mondi privi di rancori».

Maristella Occhionero

(direfarescrivere, anno XI, n. 114, giugno 2015)
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