«Cara mamma, aiutami! Non sono andata via di casa. So che mi cercate ma non posso dire dove sono, né con chi sono. Devo mantenere il silenzio. Posso solo dirvi che sono prigioniera contro la mia volontà e, per amor vostro, non farò nulla che possa farvi del male. Probabilmente non leggerete mai questa lettera. Voglio dirvi che voglio bene a tutti voi, a te, a papà e a mio fratello Marco. Dimenticatemi, Emanuela». Si tratta della prima di numerose lettere ingiallite ritrovate all’interno di una vecchia scatola di latta, quella che apre un mistero, una storia di violenza, su cui la polizia indaga, a Roma, nel quartiere San Lorenzo. È la trama del romanzo Una scatola di latta (Aracne, pp. 80, € 6,00) di Massimo Occhiuzzo, autore della “scuderia” dell’agenzia letteraria Bottega editoriale. Un giallo dal quale emergono i temi, ancora oggi tristemente attuali, del femminicidio e della violenza sulle donne.
Il mistero di un nome
Lucia Ascoli, un’anziana poetessa che scrive sui muri del suo appartamento romano, sta andando a buttare la spazzatura; esce dal palazzo abitato da soli anziani, tra i quali la sua unica conoscente è la signora Elide, e si avvicina al cassonetto. Una scatola di latta colorata, un vecchio contenitore di biscotti, è lì davanti e Lucia, curiosa come una bambina ormai adulta che ritrova un oggetto misterioso, simbolo di un passato rimpianto, decide di portarsela a casa, mentre qualcuno, da lontano senza essere visto, la osserva. Una volta rientrata, Lucia apre la scatola e trova all’interno alcune lettere dal contenuto molto grave, tutte risalenti al maggio del 1978. La signora Lucia si reca al vicino commissariato di polizia; l’indagine sarà aperta dalla commissaria Elena Giusti, che in quel nome – Emanuela – legge i casi della misteriosa scomparsa di tre donne: Emanuela Orlandini, Emanuela Giorgi ed Emanuela Liguori.
Tanti destini ricongiunti
«Elide, sono Lucia. Aprimi. Devo parlarti», l’anziana donna vuole raccontare tutto alla sua amica. Insieme le due decidono di fare una passeggiata, per provare a raccogliere informazioni: «Il quartiere di San Lorenzo, teatro della vita della signora Lucia, è un quartiere frequentato dagli studenti della vicina Università degli Studi di Roma La Sapienza. Il massiccio afflusso di studenti ha portato un rilevante incremento della vita notturna nella zona, con la conseguente apertura di ristoranti, pizzerie, pub e club. Luogo d’incontro principale è piazza dell’Immacolata, che ogni notte viene invasa da centinaia di ragazzi. Animato da numerosi pub, ristoranti, birrerie e associazioni culturali, ha perso via via la fisionomia schiettamente popolare che aveva assunto nel dopoguerra. Ma, più che altro, è un quartiere che ospita tra i suoi abitanti artisti, artigiani, scrittori e intellettuali, nonché noti esponenti del mondo cinematografico. In quel quartiere viveva la signora Lucia che aveva trovato un nuovo interesse: indagare su chi avesse messo quella scatola davanti al cassonetto. Forse era stata messa lì apposta per farla trovare. Doveva pensare. Lei era sempre vissuta in quella zona e conosceva quasi tutti, anche se negli ultimi tempi erano subentrate famiglie giovani». Entrano così in scena Alfio, il meccanico innamorato da giovane di Lucia, e Andrea, scrittore che conosce una donna misteriosa su Facebook: «Aveva trovato in lei un alter ego con cui parlare tutte le sere in chat; lì sfogava emozioni e condivideva pensieri e parole. Riusciva a immaginarla fisicamente solo nei suoi sogni. Capelli biondi su un volto sfocato dai contorni indefiniti, forse un fantasma. Più volte le aveva chiesto delle foto, ma lei sempre con una scusa o l’altra gliele aveva negate». Nonostante questo rifiuto, il loro scambio di email diventa quotidiano e importante per Andrea, il quale un giorno decide di lasciarle il numero del suo cellulare, sperando che lei lo chiami. In quegli stessi giorni, su Facebook, uno sconosciuto comincia a mandargli messaggi intimidatori in cui lo invita a lasciar perdere la donna. Le indagini proseguono e la soluzione, imprevedibile e sconvolgente, vedrà coinvolti, con ruoli differenti, tutti i personaggi del racconto.
Una storia di violenza e follia
«La commissaria Elena se ne era appena andata. Le spiegazioni di ciò che era accaduto sollevarono in lei grandi emozioni e il dolore del racconto di quella donna servì a ricordarle la difficoltà della condizione femminile in un mondo che non sembrava cambiare mai. […] Adesso lei sapeva che la felicità non era un ostacolo, doveva solo prenderla al volo. Era pronta per affrontare tutto, soprattutto se stessa. Andrea la stava aspettando. Guardò alla finestra e la sua immagine si rifletté. Quello che vide forse le piaceva ancora. Per troppo tempo aveva combattuto la follia: era forse la parola giusta per indicare lo stato d’animo in cui si era trovata e non vedeva l’ora di andare via da quel luogo. Ormai non aveva alcun senso restare lì. Il mosaico si era ricomposto e tutti i frammenti erano tornati al loro posto».
Una lettura scorrevolissima, quella che ci regala qui Occhiuzzo. Unendo i loro destini attraverso un unico filo, disegna un attento ritratto dei personaggi del romanzo, li rende vivi e dimostra di riuscire a dipingerne sia gli aspetti ideologici che quelli più concreti. Un romanzo giallo, insomma, che raccontando la frustrazione, la violenza dell’uomo che ancora si scaglia ferocemente sulla donna, e un rapimento dettato da un rapporto morboso, stupisce il lettore, tenendolo sapientemente incollato al testo.
Federica Lento
(direfarescrivere, anno XI, n. 113, maggio 2015) |