Da domani smetto di scrivere. È stato il mio primo pensiero dopo aver chiuso il romanzo di Mariarosaria Murmura. Perché il primo pensiero è stato quello di chi prova e riprova per trovare il senso e il non-senso, perché di “silenzio” ho tanto scritto pure io, come fosse naturale raccontare le proprie emozioni o come se potessero in qualche modo essere utili a qualche lettore sconosciuto, oltre che a me stesso.
Alice, protagonista di Ho quasi quarant’anni. Un’anamnesi sentimentale (Città del sole edizioni, pp. 72, € 9,00), tutte queste cose mica se le domanda. L’autrice ascolta canzoni che vorrebbero passare leggere, ma che leggere non sono. Sono canzoni che si intrecciano alla sua vita come se chi le pensò le avesse immaginate addosso a lei. Così Alice prende la rincorsa attraversando l’adolescenza come milioni di altri esseri umani, ma lei, ad un certo punto, decide che una pista non è fatta solamente per correrci intorno e, calcolando la traiettoria del vento, decolla verso l’alto. Curiosamente però non è il cielo ad avvolgerla, bensì il mare conosciuto e raccontato.
Alice si inabissa volando e, cambiando le regole dell’universo creato, dopo aver sistemato nel cuore il cielo stellato e le sue coordinate sul fondo del mare, si immerge nella sua stessa anima.
Alice parla di amore e lo fa senza parlarne. Forse perché tutto risulta avvitarsi, inevitabilmente, intorno a quel sentimento. Perché la bellezza rischia di diventare una parola abusata e maltrattata, mentre se la si considera come un metro di misura della vita, l’esistenza stessa appare, d’incanto, meno scontata.
L’incontro con l’autrice attraverso le sue parole
Giocando il gioco dell’immaginazione questo libro è una lampadina, il suo filamento ha impercettibili intermittenze che non disturbano l’intensità della luce. I reperti contenuti nelle pagine sono frequenze che rimandano fotogrammi contemporanei e raccontano semplicemente la trasformazione di qualche frammento di felicità consapevole. C’è bisogno di tempo per maturarne un’impressione che non sia banale.
Quando leggo un libro, solitamente, cerco di figurarmi i personaggi, di dar loro persino un tono di voce particolare, una gestualità che nasce dal mio immaginario che non trae origine necessariamente dalla descrizione dell’autore. È il mio modo di partecipare attivamente alla lettura e non incarnare unicamente il ruolo dello spettatore passivo. Con questo libro – raro evento – questa strana alchimia non si è rivelata una esigenza. Conoscevo bene Alice, i suoi luoghi vicini e distanti, le pulsioni vitali che la muovevano. Ho incontrato più di una Alice, ma soprattutto ho incontrato l’autrice, e questo privilegio mi ha consentito di non restare immobile sulle mie inclinazioni: che meraviglia è lasciarsi travolgere dalle belle persone che incontriamo sulla nostra via, che meraviglia rileggerne le vite, le sensibilità e le storie che possono scaturire annusando l’odore della carta.
Non posso fare a meno di consigliare la lettura del libro di Mariarosaria Murmura, magari in un tiepido pomeriggio d’autunno, seduti su una panchina. Quello che, al massimo, potrebbe capitare è di sentirsi pervasi dal desiderio di attraversare lo spazio temporale che ci ha condotti sino ad oggi rendendoci conto, così, che i sentimenti e l’età hanno poco da dirsi. Non esistono effetti collaterali alla lettura, al massimo ci si sentirà leggermente diversi e divertiti degli spostamenti dell’anima che la lettura di questo libro avrà proposto. Lasciatevi avvolgere, non opponete resistenza, non giudicate nulla perché nulla vale la pena di essere giudicato.
Quando la lettura diventa un’esperienza sensoriale
Pur sapendo che le parole annodate e rilegate sono una composizione di chimica, cellulosa e altri impiastri utili a solleticare i nostri sensi, se siamo fortunati possiamo trovarci dentro i suoni immaginati da Mariarosaria Murmura, come si trattasse di una conchiglia. Quando ciò accade siamo portati a pensare che si tratti di un miracolo, invece nulla di tutto questo è magico.
Se più persone tornassero a dare il giusto spazio ai propri pensieri, al proprio sentire, alla propria storia, alla fortuna di essere presenti a se stessi, troverebbero naturale incrociare i propri battiti con quelli di una trama, di un’avventura leggera come leggera è la vita.
Aspetto il vento, che di fronte al nostro mare è un compagno costante, lo aspetto con questo piccolo libro in mano, sperando che l’autrice abbia una buona scorta di carta e parecchio inchiostro per raccontarci ancora la meraviglia e lo stupore dell’amore.
E ora permettetemi di includere un messaggio diretto all’autrice che spero possa essere fonte d’ispirazione: cara Mari, tu sai che mi piace ancora saltare da un pensiero ad un altro, che i sentimenti li attraverso come fossero panorami visti dal finestrino di un treno. Un po’ come Alice, un po’ come te. Grazie al tuo libro da domani ricomincio a scrivere. Promesso.
Antonio Bisceglia
(direfarescrivere, anno X, n. 108, dicembre 2014) |