Vrai-bourg. Tradotto letteralmente: La città della verità. Una verità che, come suggerisce il titolo, è offuscata dalla nebbia. Ma la verità sa come districarsi, perfino nella nebbia sa apparire ed ergersi in tutta la sua dignità, anche quando si tenta di nasconderla. Se di verità si tratta: è la menzogna che resiste, si annida e prolifera nella nebbia in cui ama celarsi per confondersi e fondersi alla verità – quella creduta tale – dando vita a un gioco oscuro e intricato. La nebbia, accostata al nome “parlante” della città in cui la storia è ambientata, suggerisce immediatamente al lettore che sarà l’ambiguità il fil rouge di tutto il racconto, e preannuncia le atmosfere gotiche in cui il paese e i suoi abitanti sono immersi.
Le nebbie di Vraibourg (Mup editore, pp. 182, € 15,00) è l’opera prima di Veronica Elisa Conti, la giovane vincitrice della seconda edizione del Premio “Luigi Malerba”. Il concorso, istituito nel 2010 con la collaborazione, tra gli altri, del Comune di Berceto (Pr), luogo di nascita dello scrittore a cui è stato dedicato, è anche una lodevole iniziativa: permette, infatti, ai giovani talenti privi di contatti con il mondo editoriale di vedere pubblicato il proprio lavoro. L’unico requisito per concorrere al premio, cui può partecipare chiunque senza limiti di età o nazionalità, è scrivere un’opera in lingua italiana – ad anni alterni, sceneggiatura o narrativa. La talentuosa autrice di questo romanzo ha concorso e vinto nel 2011 la prima edizione del premio dedicata alla narrativa.
Vivere a Vraibourg
Un castello normanno, freddo, in tutti i sensi, dove i caminetti restano parsimoniosamente spenti per volere del padrone di casa che, con altrettanta oculatezza, dispensa i suoi sorrisi: si tratta di Tancrède Des Essarts, un nobile impettito e fiero, che divide le sue grigie giornate con il fedele e discreto maggiordomo, Dominic, e suo figlio, un ragazzo dalla personalità strana, complessa, più vicino al mondo delle bestie che a quello degli uomini. Il suo nome è Dorian, un giovane bellissimo e indecifrabile, con lo sguardo perennemente rivolto al bosco a cui sembra essere legato in modo misterioso. A rompere questo bizzarro equilibrio familiare è Etienne Dorin, un diciottenne cresciuto in orfanotrofio, assunto dal vecchio Des Essarts come istitutore per il ribelle Dorian.
Etienne è tendenzialmente ingenuo, ma intuisce subito che dovrà abituarsi a un’esistenza dalle sembianze di una prigione, visto il gravoso incarico che ha deciso di assumersi. Sembrerebbe una condanna senza via d’uscita, ma il giovane riesce a ritagliarsi i suoi piacevoli momenti di libertà grazie all’amicizia di una persona molto particolare: Ophélie De Clary, una donna diversa rispetto alle altre del paese, indifferente alle chiacchiere e ai pettegolezzi, ostile alle manifestazioni di finto buonismo e carità che sono, in realtà, malcelati atti di superiorità. Con lei, Etienne trascorre ore piacevoli, sentendosi libero di ridicolizzare le ipocrisie di Vraibourg e di parlare a cuore aperto delle proprie difficoltà ad adattarsi alle stranezze dei Des Essarts.
A movimentare le sue giornate arriva ben presto un’altra donna, la dolce e delicata Madeleine Muset, insieme alla quale il ragazzo abbandona la complicità disinvolta dei discorsi con Ophélie e inizia a sognare, perdendosi tra le ciocche chiare e ondulate dei suoi capelli e il colore limpido dei suoi occhi. Come Etienne, anche Madeleine non è cresciuta a Vraibourg, ma è arrivata da Parigi per occuparsi, come infermiera, della vecchia e bisbetica signora Rougon, una donna aspra, ruvida, perennemente pronta a “omaggiare” i santi con colorite espressioni, ma capace di dire – forse più e meglio di chiunque altro – la verità.
Tutto così rapisce il vento
«I principi son condannati al duro evento, / con tutti gli uomini ancora viventi, / siano seccati, nervosi e scontenti / tutto così rapisce il vento».
Questi versi appartengono alla Ballata in vecchia lingua di François Villon – poeta francese del ʼ400 – e introducono il Prologo del romanzo. Questi stessi versi saranno pronunciati nel corso dell’opera dall’inquieto e irrequieto Dorian. Una sentenza? Una maledizione? O forse, semplicemente, un’amara riflessione sulla caducità dell’uomo? Al lettore l’ardua sentenza.
Una chiave di lettura interessante la fornisce Margherita Heyer-Caput, docente di Italiano presso la University of California e autrice della Prefazione: «Il verso di Villon “tutto così rapisce il vento” non coglie soltanto l’effimero delle molteplici verità individuali e collettive che nutrono il congegno narrativo del romanzo, bensì anche la transitorietà e interscambiabilità dei modelli letterari che ne formano l’arabesco intertestuale».
Siamo infatti di fronte non a un semplice romanzo, bensì a un’opera dotta, ricca di continui rimandi a testi o personaggi letterari, alcuni palesi, altri abilmente nascosti: come non notare la somiglianza tra Dorian Des Essarts e Dorian Gray, entrambi portatori di una bellezza straordinaria e sventurata? Un nome, un destino. Ma quello di Dorian non è il solo nomen omen celato nella trama. Quello più sorprendente, clamoroso e insospettabile si scoprirà solo alla fine.
Ovviamente non vi anticipiamo nulla, vi invitiamo piuttosto alla lettura di questo avvincente romanzo, intriso di echi magnetici e irresistibili.
Maria Rosaria Stefanelli
(direfarescrivere, anno IX, n. 85, gennaio 2013)
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