La scrittrice e giornalista salernitana Maria Cristina Folino ritorna nel panorama letterario con un’opera da lei stessa denominata «saggio pop», che sta per “popolare”, ma che possiede a tutti gli effetti i requisiti di una piccola pedagogia. Il suo elaborato, intitolato appunto Tim Burton e il catalogo delle Meraviglie. Un saggio “pop” tra letteratura e cinema (Edizioni Dialoghi, pp. 80, € 12,00) prende le mosse dalla fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie, analizzando il personaggio della piccola Alice di Lewis Carroll, che diventa adolescente nella trasposizione cinematografica di Tim Burton Alice in Wonderland, offrendo così una comparazione multimediale.
Il parallelismo fra il linguaggio letterario e filmico è sempre originale, un legame antico e senza tempo. Molto originali anche i disegni inseriti fra le pagine, che rafforzano il senso di un ricordo che rivive e sopravvive fino a oggi.
La narrazione cinematografica
Una storia simbolica, quella di Carroll: a ben guardare dentro la morfologia delle ambientazioni, nella struttura dei dialoghi o nel sostrato psicologico dei protagonisti, si ravvisa una vera e propria allegoria di una società in divenire, per l’epoca, con tutti i suoi cambiamenti fisiologici. L’autrice del saggio, con il suo raffronto, ha messo in luce le connessioni anche con la società in cui viviamo, che ha solo potenziato i suoi mezzi, per arrivare ai medesimi scopi. Forse siamo più vicini alla narrazione burtoniana, ma è innegabile la straordinaria attualità di questo romanzo tra il nonsense e il fantastico.
Una lettura scorrevole, dal lessico forbito ma non ampolloso, ricca di approfondimenti che denotano una grande competenza della materia. A cominciare dall’analisi dei personaggi, trasposti nella modernità e che, quindi, adattano a essa quei valori che erano prima considerati universali. Senz’altro Alice è la pioniera: non è più la bambina confusa che è entrata nel Paese delle Meraviglie, ma una ragazza pienamente cosciente, che porta avanti la propria volontà, come quando rifiuta la proposta di matrimonio avanzata da Lord Hamish Ascot, durante la festa in cui viene presentata in società.
Un invito sommesso (ma neanche tanto) alla disobbedienza per le donne di domani. La chiave femminista individuata dall’autrice è come una mano di fresco sul personaggio disneyano, un amarcord per le generazioni passate che rinnova l’ispirazione per quelle future.
Metafore del cambiamento
A seguire, la Regina Rossa e quella Bianca, da considerare metafore del potere tirannico e democratico, assurgendo alla consueta rappresentazione manicheista Bene/Male. Infine, la presenza forse più affascinante del mondo carrolliano, ed esaltata anche dal regista gotico, ovvero quella del Cappellaio Matto. La sua follia buona rappresenta la vitalità del pensiero divergente che si appiattisce quando incontra il pensiero dominante, che è un po’ «lo specchio dei sogni e dei pensieri di Alice» così come scritto da Maria Cristina Folino.
Altro concetto cardine è il cambiamento, espresso con la metafora della pubertà, e il bisogno dei giovani di imparare a riconoscere le proprie emozioni e comunicarle, per dare un senso alla propria esperienza di vita. Per spiegare questo delicato periodo della vita viene in aiuto un efficace espediente letterario: l’uso della magia, che nella storia si materializza nell’Oraculum. Una scappatoia di cui si serve anche Burton e che dà una soluzione di continuità a quel grande mistero che è l’adolescenza, lasciato invece un po’ sospeso dallo scrittore ottocentesco.
Scenari e neologismi
Molto interessante l’interpretazione e descrizione degli scenari della storia, appartenenti sia al libro che al film, che rimandano anche ad altre pellicole Disney. Tra essi la Rocca Tetra e la Scacchiera, in cui i pedoni si muovono ordinatamente.
Sicuramente, l’elemento più innovativo che conferisce l’accezione di “popolarità” al saggio è l’analisi dei neologismi e delle parole arcane. Il Sottomondo, che rappresenta l’anticonvenzionale, deve avere un proprio codice di comunicazione per creare nuovi significati di una dimensione al contrario. Sono parole apparentemente nonsense, come la famosa deliranza, una danza liberatoria che invita a infischiarsene delle imposizioni sociali, e che alla fine di Alice in Wonderland diventa una sorta di ballo trionfale sul malvagio Ciciarampa.
Un libro godibile, leggero ma non banale, che appassiona per la qualità e originalità dei suoi spunti di riflessione e la sua capacità di portarci in un mondo che, almeno una volta nella vita, vorremmo visitare.
Grazia De Gennaro
(direfarescrivere, anno XIX, n. 206, marzo 2023) |