Un libro che parla di cinema, capace di stimolare una riflessione più acuta sulla settima arte e di fornire gli strumenti utili a interpretare e decodificare ciò che troppo spesso viene “digerito” con leggerezza e approssimazione. È quello curato dal giovane giornalista cinematografico, Simone Isola, che ha voluto fermare sulla carta alcune importanti osservazioni sul cinema italiano, traghettando il lettore in unexcursus volto ad accendere un faro su ciò che negli ultimi dieci anni ha conquistato la ribalta nazionale. Ne è scaturito un testo quanto mai interessante, dal significativo titolo Cinegomorra (Sovera edizioni, pp. 190, € 15,00), destinato ad appassionare non solo i cosiddetti cinefili, ovvero i più incalliti cultori dell’arte cinematografica, ma anche gli spettatori più distratti e svogliati. Una sorta di vademecum da affidare al fruitore per spiegare che è dietro i volti fotogenici degli attori che va rintracciata l’origine di ogni singolo progetto.
Un cinema da scoprire
Il libro curato da Simone Isola è un riuscitissimo patchwork saggistico. Suddiviso in più capitoli – ciascuno affidato a un autore diverso –, fornisce una panoramica acuta e “ariosa” sul cinema italiano dell’ultimo decennio, segnalando l’esistenza di una proposta artistica fervente e interessante, che troppo spesso non riesce a raggiungere il buio delle sale. In questo modo, i tanti autori di Cinegomorra (concertati dal redattore della rivista telematica Close-up) spalancano una finestra su nomi e progetti rimasti sconosciuti alla massa, scandagliando i meccanismi produttivi e distributivi che decretano il successo di un film nel nostro paese. È in queste pagine che Cinegomorra si carica di sfumature più polemiche per denunciare la miopia di un sistema poco coraggioso. «Mancano i cosiddetti giovani della produzione – si legge in un passaggio del libro –, coloro che scovano, sostengono e costruiscono i nuovi talenti, consigliandoli e lasciandosi consigliare. […] Quei produttori che rinunciano al volto o al nome di sicuro appeal, in favore di un attore meno conosciuto, ma capace di dare maggiore qualità alla recitazione. Produttori capaci di entrare in sintonia col proprio regista e felici di partecipare e contribuire alla creazione di un qualcosa che arricchisce intellettualmente e culturalmente».
Matteo Garrone e il fascino dell’essenziale
Ma al di là delle denunce, utili a far comprendere ai “profani” la difficoltà di emergere tra “cinepanettoni” e commedie giovanilistiche, Cinegomorra è soprattutto una “carrellata” intensa su film, registi, attori, tecnici che nell’ultimo decennio hanno segnato la storia del nostro cinema, incoraggiando a sperare che la lezione dei grandi del passato non sia andata del tutto persa. Pur nella sostanziale distanza dai prodotti magistralmente firmati da De Sica, Fellini, Germi, Monicelli, Petri (solo per citarne alcuni), registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino hanno avuto il merito di riaccendere una luce sul cinema del Belpaese, dimostrando che la qualità e la ricerca stilistica possono incassare lauti guadagni e ottenere consensi internazionali. Ed è proprio al fortunatissimo film di Matteo Garrone, Gomorra, che il testo si rifà a partire dal titolo, con l’intento di tributare alla pellicola il giusto riconoscimento, ma anche di instillare nel lettore il tarlo di un sistema cinematografico che molto spesso – come la Gomorra di Roberto Saviano rivisitata da Garrone – deve fare i conti con meccanismi atavicamente ammorbati. A Matteo Garrone è dedicato un intero capitolo del libro: lo spazio indispensabile per certificarne qualità e coraggio. «Non c’è spazio in Garrone per un gusto barocco – annota il giornalista Salvatore Salviano Miceli – o per soluzioni in grado di colmare un certo narcisismo. Tutto quello che accade nei suoi film e come accade e in che modo ci viene mostrato è essenziale». Una cifra stilistica (legata a doppio filo con la sua esperienza di documentarista) che lo ha portato a dipingere una realtà scomoda e spigolosa, popolata da «personalità disturbate e disturbanti». Fino al capolavoro di Gomorra, definito da Miceli «un macigno contro cui è inutile lottare».
Paolo Sorrentino: lo schermo come un palcoscenico
All’essenzialità di Garrone, che ama concentrarsi su storie di irrimediabile marginalità, fa da controcanto la “teatralità” di Paolo Sorrentino. Il regista napoletano ha, infatti, dimostrato negli anni di concepire lo schermo come un palcoscenico, «dove tutti gli elementi che compongono l’immagine vengono messi in risalto da una luce particolare». Ma se lo stile che contraddistingue il linguaggio filmico di Sorrentino è marcatamente distante da quello di Garrone, i due registi mostrano invece grande assonanza sulla visione (mai consolatoria) del mondo. «La sconfitta e l’amara accettazione di dover concludere la propria esistenza nella maniera in cui l’hanno condotta fino a quel momento – scrive Luca Lardieri a proposito dei personaggi di Sorrentino –, il prendere coscienza di non poter diventare altro da ciò che sono e sono sempre stati, è la costante principale del cinema del cineasta partenopeo». Una galassia di figure rassegnate, ma non rinunciatarie, raccontate attraverso immagini cariche di colori e di luci che, in una riuscita schizofrenia, mettono a fuoco il grigiore di esistenze inevitabilmente compromesse. Come nel caso de Il Divo, il film su Giulio Andreotti: «Vista la complessità del personaggio, dell’argomento e delle tante tematiche che stanno al suo interno – spiega lo stesso Sorrentino in un’intervista raccolta da Simone Isola – credo di aver messo in scena uno stile che rispetti questa complessità. Che di volta in volta si fa realistico, onirico, grottesco e comico». E ancora: «Volevo raccontare i meccanismi del potere che sono la solitudine, l’arroganza, la tendenza ad istaurare una vita basata esclusivamente sui rapporti di forza. È una cultura che appartiene a chiunque eserciti il potere».
Spettatori più consapevoli
Accanto a questi due enfant prodige del cinema italiano, trovano asilo nelle pagine diCinegomorra molti altri registi e operatori che dall’inizio del Duemila hanno contribuito a scrivere la storia del grande schermo nazionale. Autori distanti per linguaggi e visioni, che raccontano di un’eterogeneità dai rimandi sociologici: da Daniele Vicari a Vincenzo Marra, da Edoardo Winspeare a Emanuele Crialese. Fino ai cineasti “sommersi”, coloro che annaspano nel mare magnum della distribuzione confortati solo dalla qualità dei loro prodotti. Cinegomorra, in definitiva, è un racconto dettagliato e affettuoso del cinema contemporaneo; uno sguardo acuto su incanti e disillusioni; la cronaca aggiornata di cosa accade dietro la macchina da presa, dove registi, maestranze e interpreti si incontrano per dare vita a un progetto condiviso. Una guida preziosa da consultare per diventare spettatori più consapevoli e maturi e per approcciarsi in modo più rispettoso a un cinema fatto di fatica e passione.
Maria Saporito
(direfarescrivere, anno VIII, n. 74, febbraio 2012)
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