«Non avevo idee precise, sapevo solo che volevo viaggiare. In famiglia eravamo cinque e le nostre vacanze si riducevano a tornare in Marocco, cosa che non era male. Ma avevo voglia di attraversare l’Atlantico, il Pacifico, visitare l’Asia, l’Africa, per cui a volte pensavo che avrei fatto l’antropologa o l’hostess… Ma un giorno dissi a mio padre che avrei voluto fare l’hostess e lui mi rispose: “In realtà vuoi fare la cameriera sospesa per aria”», così risponde Saphia Azzedine, attrice, sceneggiatrice, scrittrice ed ex tagliatrice di diamanti, quando in un’intervista per Marie Claire.it le viene chiesto cosa sognava di fare da grande quando era ancora una bambina. Risposta illuminante, poiché è il finale sul quale poggia il suo secondo romanzo, Mio padre fa la donna delle pulizie (Giulio Perrone editore, pp. 118, € 10,00) di cui aspettiamo la trasposizione cinematografica a breve in Italia. Saphia Azzedine, infatti, non è solo autrice del libro, ma anche la regista del lungometraggio omonimo che vede tra gli attori protagonisti una simpaticissima Nanou Garcia nei panni della madre di Paul.
Foto di famiglia
Paul è un adolescente bianco che vive con la famiglia in un quartiere periferico di Parigi popolato di immigrati dall’Africa e dal Maghreb, laddove il français de souche è una minoranza della banlieu parigina e spesso vive in condizioni ancora più disagiate degli stessi immigrati. Polo – così lo chiama affettuosamente il padre – ha un carattere forte, una mente vivace e un linguaggio tagliente che lo portano a raccontarsi in maniera veloce e sarcastica, sdrammatizzando spesso su situazioni claustrofobiche e aprendosi varchi e possibilità in una vita chiusa fatta di lavoro e povertà.
La madre è paralizzata e brutta, dice lui, o meglio imbruttita dal suo modo di reagire alla disgrazia che le è capitata quando Polo aveva solo sette anni, limita il suo ruolo ad una pettinata di capelli e per il resto si perde tra trasmissioni televisive, sudoku con la soluzione in fondo, riviste frivole e cronaca nera. «Eppure la vasca da bagno è bassa», fa notare Polo, come se chi l’ha realizzata avesse calcolato che una madre paralizzata dovesse comunque lavare il proprio bambino. Polo si lava da solo, dimentica sempre di insaponarsi dietro le orecchie, ma profuma di aloe vera.
Polo, forse, non sarà bellissimo, non ha molta stima del suo aspetto fisico, infatti, ma la sua mente brillante cerca di illuminare ogni cosa che vede, ogni situazione che vive, anche le conversazioni con la sorella che, al contrario del fratello, ha un vocabolario estremamente limitato, così come le sue idee riguardo al futuro. Pietosamente francese al 100%, lei, che avrebbe voluto essere nera, è carina, ma solo per caso, entra ed esce da concorsi di bellezza nella speranza di poter un giorno definitivamente uscire dal ghetto ed entrare finalmente in una vita bella, mentre forse ad attenderla c’è solo la “bella vita”. Eppure il fratello insiste a rimanere a tavola con lei, vuole una parvenza di vita familiare, cerca di salvare il salvabile: Polo vuole la foto di famiglia. Una foto dalla quale poter tagliare via la testa dello zio materno, colui che ha abusato di Polo bambino più volte in cantina. «Non ho mai parlato della cantina. Volevo essere come gli altri, che il mio culo fosse exit only. Mio padre mi avrebbe creduto. Mia madre probabilmente no. Mio padre l’avrebbe ucciso e mi sarei ritrovato a vivere da solo con mia madre».
Quando è il padre a fare le pulizie
«“Polo cosa fa un asino al sole?”
“Non lo so.”
“Ombra.”
Scoppiamo a ridere tutti e due. Mi dimentico del mio culo e mi riaddormento serenamente».
Polo vorrebbe vergognarsi del padre, ma in fondo lo adora. Vorrebbe vergognarsi di un padre che fa il mestiere di una donna, che è costretto a ingoiare i bocconi amari che la vita gli presenta sul piatto ogni giorno perché non può permettersi di reagire, visto che ha una famiglia intera da mantenere. Per quanto tutto ciò pesi enormemente sulla dignità del ragazzo, questi capisce la situazione e forse è più arrabbiato col sistema e con il fatto di essere costretto a vedere e capire troppo per uno della sua età. È dunque forte il bisogno di fare ricadere la sua insoddisfazione sulla figura paterna anche se il tentativo di odiarlo fallisce; il ragazzino coglie invece la grandezza di un piccolo uomo che gli ha insegnato il segreto di sdrammatizzare anche i momenti più bui, di non perdere la forza, di andare avanti per non diventare come lui.
«“Cosa vuol dire finire come te papà?”
“Vuol dire che guardi più spesso in terra che il cielo, ma questo comunque non t’impedisce di calpestare la merda…”
Di nascosto mi sono sputato addosso. Mio padre è intelligente».
Ecco perché Polo lo aiuta nonostante sia solo un ragazzino e vada ancora a scuola. Suo padre fa la donna delle pulizie e lui, spesso, dopo la scuola, va a dargli una mano. Perché così tornano a casa prima e anche perché è suo padre. Polo lucida, pulisce e strofina, piccolo com’è s’infila dappertutto, ma impara anche. La biblioteca comunale non è lì solo per essere pulita, una volta sgombrati i tappi di penna smangiucchiati, i foglietti scarabocchiati e i bianchetti dimenticati, lui trova il tempo per sbirciare un libro o un dizionario e non tradire così la propria tabella di marcia: imparare una parola nuova alla settimana.
L’amore di banlieu è un Babybel
Le parole che Polo scopre in modo disordinato servono per distinguerlo dagli altri e per far colpo su ragazze come Priscilla, gentile e non pretenziosa, bella e piuttosto benestante. La sua presenza vale più di una storiella. Priscilla lo ammira e questo lo rende forte.
«Di me le piace tutto quello che non trova negli altri ragazzi. Mi fa venire ancora più voglia di acculturarmi e avere pensieri personali e sfumati. […] L’ho conosciuta al supermercato l’anno scorso. Faceva la spesa con i suoi. Avevano un carrello. Io la facevo con mio padre. Avevamo le braccia».
Priscilla capisce il linguaggio muto tra padre e figlio e cosa non potrà mai rientrare nella loro lista della spesa.
«Priscilla aveva visto tutto. All’uscita del supermercato mi è corsa incontro e ha infilato i Babybel nel mio sacchetto di plastica».
Polo ama Priscilla, ma ha capito che è la ragazza a decidere quando uno può fare il galletto. «Non siamo noi. Siamo solo adolescenti e devo ancora superare delle prove perché lei voglia andare lontano con me. Forse. Un giorno. Priscilla ne vale la pena».
Elena Montemaggi
(direfarescrivere, anno VIII, n. 73, gennaio 2012)
|