«La solitudine è indipendenza: l’avevo desiderata e me l’ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri». Sono parole di Hermann Hesse. Sospeso tra un irrinunciabile desiderio di solitudine e il tentativo sempre più disperato di riconquistare il rapporto con il mondo e la realtà, lo scrittore tedesco diviene l’emblematico portavoce delle contraddizioni di un’epoca che, tramontate le fascinazioni ottocentesche, si avviava fatalmente verso il primo conflitto mondiale.
Hermann Hesse. L’estetica del tentativo, edito da Città del sole (pp. 159, € 10,00) è un libro dedicato al grande scrittore tedesco.
L’autore, Francesco Idotta, giovane intellettuale calabrese e insegnante di scuola secondaria – nonché docente di Filosofia nel Corso di alta formazione docenti presso l’Università per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria e di Lingua italiana nello stesso ateneo – ripercorre la storia della scrittura di Hesse alla luce del motivo-guida (suggerito già dal titolo del libro) del “tentativo”: tentativo che – scrive in proposito l’autore – mira al recupero della bellezza violentata dalla massificazione e dalla soffocante volontà di dominio dell’uomo, il quale non “vede” e non “sente”, ma si limita a “consumare”. Il recupero di questa chiave tematica ha consentito a Idotta di intraprendere un serrato confronto con le dinamiche più profonde dell’itinerario testuale di Hesse.
Intermittences du coeur
Il libro, strutturato in cinque capitoli, si caratterizza essenzialmente per la ricostruzione problematica della poetica hessiana, che torna sempre sulle contraddizioni e “intermittenze” dell’essere umano e della natura.
Il primo capitolo, non a caso, è interamente dedicato alle principali vicende biografiche dello scrittore tedesco che ne hanno condizionato la formazione e il pensiero. Come ci ricorda Idotta, Hesse può senza dubbio essere definito uno dei primi eredi dell’oltreuomo nietzschiano. Nello scritto intitolato emblematicamente Il ritorno di Zarathustra, lo scrittore di Montagnola è ormai consapevole che l’unico insegnamento del “vecchio maestro” sia quello di imparare a essere se stessi. All’ombra della lezione di Nietzsche, Hesse supera dunque la distinzione soggetto-oggetto tipica dell’età moderna e tenta di condurre l’uomo a riguadagnare il suo ruolo nell’unità. L’ontologia hessiana muove proprio dall’uomo: solo nella solitudine del singolo, infatti, è possibile cogliere l’essere nel suo incessante divenire. Afferma in proposito Hesse: «L’essere gettato, come l’odierna filosofia definisce la vita umana, non mi soddisfa, anzi è un nervoso-isterico ridondante paludamento dell’insufficiente nel simulacro del tragico. Allora anche un alto termine di apprezzamento come tragico perde ogni valore, e l’uomo, semplicemente perché è nato, e per la sua incapacità di trarre qualcosa di buono da questa nascita, diventa una specie di eroe».
Come suggerisce ancora Idotta, l’opera di Hesse può essere letta come ricerca artistica rivolta a trarre da ogni singolo sguardo una verità personale. L’arte, quindi, diventa la strada con molti tornanti che porta alla comprensione di sé e del proprio ruolo. Scrive ancora Hesse: «Noi siamo capaci di penetrare per alcuni istanti nel mistero dell’unità, ma la nostra capacità d’amore si fonda sulla nostra capacità di valutare soggettivamente: senza questa non c’è arte né amore».
In questa prospettiva, spiega ancora lo studioso, si colloca il “pensiero magico” hessiano: ovvero l’accettazione della contraddizione, o meglio il vivere nella contraddizione. Tale metodo gnoseologico ricorda l’idealismo magico di Novalis, che vede nell’inconscia attività produttiva dell’Io, generatrice del non Io, la vera magia.
Proseguendo su questa scia, il libro tocca inoltre il complesso ma importante legame di Hesse con la psicanalisi e Jung. Scrive Hesse nel saggio intitolato Gli artisti e la psicanalisi: «La psicanalisi insegna appunto insistentemente a ogni artista che ciò ch’egli, a volte, sa apprezzare solo come finzione, in realtà è un valore eccelso e gli ricorda in modo esplicito che ci sono delle esigenze psichiche fondamentali, e insieme quanto siano relativi tutti i metri e i giudizi autoritari. La psicanalisi convalida l’artista ai suoi stessi occhi».
Arte o “della cura dell’anima”
L’arte per Hesse è catarsi, rinnovamento: essa si colloca in una dimensione nuova, mai oltre la realtà, poiché l’artista – come scrive Idotta nel capitolo L’arte come cura dell’anima – «non è il folle che vive fuori dal mondo, ma occupa uno spazio fisico, ed è consapevole del suo ruolo, che si esplica nel tentativo di comunicare gli stati interiori e le singole Weltanshauungen [sic]» [1].
Come dichiara esplicitamente lo stesso Hesse, tutta la sua attività nasce dalla debolezza, dal dolore, «non da una qualche soddisfatta arroganza, come i profani talvolta suppongono dei poeti».
La creazione artistica, in questa sua valenza conoscitiva, è molto vicina per metodo alla psicanalisi. L’arte dunque diventa l’attività di ricerca che mira fondamentalmente a trovare un accordo tra le varie facce di cui ogni uomo è dotato. L’ultimo capitolo del libro offre infine una sintetica ricostruzione dei principali orientamenti critici di Hesse che – scrive Idotta – hanno tralasciato la strumentalizzata valenza sociologica per dare rilievo alla portata estetica del pensiero hessiano: un pensiero che ha origine da una visione disincantata della realtà e, nello stesso tempo, è tristemente consapevole che la società contemporanea è destinata a dirigersi verso una monocratica e statica vita da gregge.
Bartolo Calderone
[1] – Weltanschauungen, plurale di Weltanschaung: «Concezione, visione del mondo» (lo Zingarelli 2008, Zanichelli, Bologna)
(direfarescrivere, anno V, n. 48, dicembre 2009)
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