Anno XX, n. 224
ottobre 2024
 
La cultura, probabilmente
L’educazione dei tedeschi negli anni ’30:
l’efficacia dei metodi nazionalsocialisti
per generare il suddito-guerriero ideale
Il romanzo-reportage di un giornalista che in quei tragici anni
visitò degli istituti di formazione nazisti. Edito da Città aperta
di Clementina Gatto
«America, America, / terra d’ebrei [...]. / Credi d’esser chissà che, / un grasso porco, ecco quel che sei. / [...] Sei marcia e putrida fino alle ossa / [...]. La nuova Germania chiama; cretina che sei, / la democrazia va in malora». Ci sono scuole in cui si insegnano la Storia e la Filosofia, ce ne sono altre in cui i giovani hanno appreso queste parole, le hanno ripetute una dopo l’altra, chi sa quante volte, chi sa con quali pensieri in testa. Questi versi sono riportati nel libro Educazione alla morte. Come si crea un nazista (a cura di Bruno Maida, che insegna Storia contemporanea all’Università di Torino, Città aperta edizioni, € 15,00, pp. 184), che Gregor Ziemer scrisse in seguito alla sua permanenza a Berlino nel decennio precedente alla Seconda guerra mondiale. Lì l’autore, americano di nascita, fondò e diresse la Scuola americana e, nello stesso tempo, fu corrispondente per alcune testate statunitensi e britanniche. Egli descrisse minuziosamente il modello educativo dei giovani tedeschi negli anni ’30 sotto il controllo del Terzo Reich, poiché riuscì a visitare molti luoghi in cui i bambini e gli adolescenti venivano addestrati a diventare dei perfetti nazisti.
Di fatto, negli anni che seguirono il 1934, in Germania si assistette a una profonda trasformazione della scuola, che assunse caratteri totalitari e fu subordinata alla dimensione militarista del regime. In quell’anno, il Führer elesse nuovo ministro per la Scienza, l’Educazione e la Cultura popolare Bernhard Rust, che stabilì un duplice obiettivo per la gioventù tedesca: i ragazzi dovevano diventare soldati e le ragazze dovevano essere indottrinate per procreare tedeschi esemplari ed essere mogli esemplari (inutile dire che non realizzare questo programma era “vietato”).
Il libro è scritto attraverso i suoi occhi di osservatore; è un reportage minuzioso e tuttavia a tratti romanzato, di quanto accadeva nella vita quotidiana dei tedeschi, in particolare dei metodi di formazione, nei confronti dei quali (per fortuna) è dichiaratamente avverso.

La selezione innaturale: i segreti della razza perfetta
«La terra appartiene ai forti, / essi soli comandano al mondo. / [...] Tutto quel che è vecchio deve perire, / tutto quel che è debole deve marcire [...]».
Uno dei principali obiettivi del Partito nazista era il perfezionamento della “razza”, entità ben più importante dei singoli individui. A tal fine, la pratica dell’eutanasia era uno degli strumenti di cui si avvaleva per perseguire la politica cosiddetta “eugenetica”, che negli anni ’30 sfiorò il parossismo. Quando, nel 1940, iniziarono le visite di Ziemer negli istituti deputati all’educazione, egli scoprì che i fanciulli deboli di mente nella Germania nazista avevano tutti più di sette anni. E non era un caso se proprio da sette anni era in vigore la legge per la salute ereditaria, che prevedeva la soppressione dei disabili.
Ma il Partito cominciava a interessarsi del bambino tedesco «prima del suo concepimento». Accanto alla legge sopra citata, infatti, si diffuse la pratica della sterilizzazione (coatta, neanche a dirlo) delle donne considerate deboli, che veniva regolata da una legge e praticata in appositi ospedali ginecologici. Nel corso di una visita a un nosocomio femminile, così racconta Ziemer: «per più di un’ora vidi donne arrivare con la culla della vita intatta, e ripartire gusci vuoti». Come se ciò non fosse bastato, nel 1935, la legge sulla prevenzione delle tare ereditarie rese legale l’aborto eugenetico.
Naturale coronamento di ciò era l’addestramento delle Jungmädel (letteralmente “giovani vergini”, ragazze tedesche dai dieci ai quattordici anni) ad ottemperare all’unico compito cui erano destinate: procreare figli sani per il Reich, attraverso il «matrimonio biologico». Il Partito, tra l’altro, aveva creato le “case di maternità” che si prendevano cura delle donne con figli illegittimi in grembo (purché avessero padre ariano) perché esse «meritavano una lode speciale e cure speciali, per avere voluto arricchire lo Stato con un figlio».

Come creare un docile criminale
Dopo la nascita, i bambini venivano allevati per Hitler finché le scuole non ne assumevano la responsabilità. Il Partito predisponeva asili destinati ai figli sani di genitori ariani che, a loro volta, lasciavano la loro prole sotto la giurisdizione esclusiva del Reich. I piccoli erano educati all’ideologia nazista attraverso la disciplina e l’adorazione per il Führer e condizionati attraverso giochi di guerra e soldatini, carte militari, tamburi e bandiere con i colori del nazionalsocialismo, preghiere che si concludevano con il saluto a Hitler, considerato il salvatore della Germania.
Dopo l’asilo, i bambini vestivano già in divisa e gli veniva assegnato un libretto che riportava, anno per anno, i progressi fisici e lo sviluppo ideologico finché, a dieci anni, dopo un esame rigidissimo, erano promossi a Jungvolk, organizzazione giovanile di partito che inquadrava i giovani fino ai quattordici anni. Il decreto ministeriale del 27 marzo 1935 riguardante le scuole superiori, infatti, recitava che la selezione dei giovani doveva avvenire sulla base delle «attitudini fisiche, caratteriali, intellettuali ed etniche».
Sulle fondamenta ideologiche così poste, i ragazzi tedeschi entravano a far parte della “Gioventù hitleriana” (Hitlerjugend), vero e proprio esercito ausiliario, pronto a morire, ma innanzitutto pronto a combattere, con uniformi simili a quelle delle Guardie d’assalto regolari. La Hitlerjugend era la principale portatrice della nuova educazione e a essa spettavano l’organizzazione di tutta la gioventù e l’erosione delle istituzioni educative tradizionali, vale a dire la casa paterna e la scuola.

Il condizionamento come involuzione umana
«Nostro Führer, ti ringraziamo per la tua munificenza [...], a te dedichiamo tutte le nostre forze; a te dedichiamo la vita nostra e quella dei nostri figli!».
Sembra incredibile, eppure si arrivò a tal punto.
In un decreto ministeriale del Reich per la riforma delle scuole superiori redatto nel 1938, si legge: «il sistema educativo nazionalsocialista non è un’opera della pianificazione pedagogica, ma della lotta politica e delle sue leggi».
Attualmente, le istituzioni impegnate nella formazione sono ispirate da valori chiaramente diversi, che puntano all’evoluzione della personalità dell’individuo, in armonia con i principi morali e culturali della società; allo sviluppo armonioso delle potenzialità che, peculiarmente, ciascuno manifesta.
La scuola tedesca del Reich, invece, era subordinata all’ideologia nazionalsocialista, da ingoiare come una pillola, tutta d’un fiato, senza possibilità di scegliere, senza alcun pensiero critico (non voglia sembrare che la nostra posizione ammette una possibilità: sappiamo bene che nella feccia non c’è niente da analizzare); in altre parole, un condizionamento. Attraverso il sistema formativo, erano state gettate le fondamenta per un nuovo “stato di minorità” da cui si era usciti con l’Illuminismo. L’unica via per sradicare la consapevolezza e privare degli individui da un momento all’altro della capacità di discernere, era quella di condizionare un’intera generazione, tararla, infornarla (ci scusiamo per l’infelice metafora) in piccole accademie totalitarie travestite da scuole, invadendo tutti gli aspetti della vita quotidiana con l’ideologia del Reich.
Per concludere, a testimoniare ulteriormente il disastroso potere che ebbero i condizionamenti inculcati nelle giovani menti da tali modelli di formazione, riportiamo ancora alcuni versi cantati da ragazzini tedeschi: «Adolf Hitler è il redentore, l’eroe nostro, / è l’essere più nobile di tutto il vasto mondo».

Clementina Gatto

(direfarescrivere, anno III, n. 23, novembre 2007)
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