Anno XX, n. 224
ottobre 2024
 
La cultura, probabilmente
L’accoglienza e l’inserimento nell’Italia
del Sud dei migranti che chiedono asilo
in una ricerca sociologica dell’Unical
L’analisi di un problema complesso in tre regioni del Meridione
che rappresentano agli occhi dei rifugiati il sogno della salvezza
di Bonaventura Scalercio
Come comportarsi rispetto a problemi tanto complessi quale quello dei rifugiati, termine col quale si vuol indicare quello spostamento disperato e disorganizzato di un numero impressionante di uomini per le vie del mondo alla ricerca di un po’ di sicurezza? Quali risposte riescono a dare i governi, quali le religioni? La sensazione è che quanto più il problema sia incalzante, tanto più anche la ricerca di una soluzione diventa non razionale, sospinta da motivazioni che traggono sostanza da quei moti profondi, le paure, che rivelano l’inadeguatezza del pensiero occidentale, che tuttavia qualcuno ritiene, facendone il perno di uno scontro di civiltà, il più avanzato della terra.
Nei fatti, la deriva va verso una chiusura a riccio: ci si nasconde dietro il mito dell’identità, nazionale o religiosa, ma in questo modo si preferisce chiudere gli occhi e non guardare l’onda che potrebbe sommergerci. Affrontare l’onda, quando le barriere o, peggio ancora, i manganelli risultano strumenti barbari non all’altezza dei tempi (ma lo sono mai stati?), significa oggi predisporre tutte quelle forze, intellettuali e non solo, capaci di analizzare, per quanto possibile, il problema e permettere alle comunità che affrontano la questione di decidere l’adozione di una propria e autonoma politica (che nessuno può dire adeguata prima di averne visto la sperimentazione).
La ricerca che sta alla base di Asylumisland. Accoglienza ed inserimento socio-economico di rifugiati e richiedenti asilo nelle regioni del Sud Italia (Rubbettino, pp. 296, € 22,00), curato da Ada Cavazzani, professoressa di Sociologia urbana e rurale presso l’Università della Calabria, è un tentativo serio proprio in tal senso.
La ricerca si è mossa nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della cosiddetta “Bossi-Fini”, ossia della legge n. 189 del luglio 2002, la quale, prevedendo misure restrittive circa l’immigrazione regolare, ha spinto molti migranti ad aggirare le restrizioni stesse ricorrendo a domande d’ingresso quali la richiesta d’asilo. La conseguenza è stata un’applicazione rigida delle procedure previste per la concessione dello status di rifugiato.
Firmata da Cavazzani anche l’Introduzione che sintetizza l’iter della ricerca. Evidenziati dalla sociologa i tanti limiti che i ricercatori hanno incontrato nella loro attività; in primo luogo, la difficoltà di accesso alle strutture di accoglienza dei rifugiati: tali limiti, ovviamente, hanno causato un impoverimento della ricerca stessa, cosicché qua e là traspare nel libro un rancore (scientifico, s’intende) contro la disorganizzazione palesata delle questure e dalle amministrazioni locali. Con riferimento a questi ultimi, pesante è il giudizio dell’autrice: «I responsabili del Comune di Isola Capo Rizzuto e dell’Assessorato Emigrazione Immigrazione della Regione Calabria che sono stati coinvolti nella ricerca hanno invece mostrato nelle loro dichiarazioni una scarsa informazione sulle politiche indirizzate specificatamente ai richiedenti asilo e una disponibilità approssimativa nell’approfondire le questioni che concernono l’intervento delle istituzioni locali nell’inserimento sociale ed economico dei rifugiati».
Una curiosità: nell’elenco degli enti e soggetti che hanno fornito dati ed informazioni per le ricerche, raccolti a livello centrale da Cavazzani e da Giordano Sivini, anche la presenza, tra l’Acnur (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e l’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), della Federazione chiese evangeliche.

I limiti reali degli interventi istituzionali
La ricerca si è svolta nel periodo tra il 2002 e il 2005, nell’ambito di un progetto comunitario europeo, col fine di analizzare, a livello locale, i problemi relativi all’accoglienza e alle prospettive di inserimento dei rifugiati nell’Italia del Sud. Il primo incontro operativo tra i partner del progetto (che vanno dalle amministrazioni pubbliche all’Università cosentina fino alle associazioni locali) è avvenuto nel 2002, l’attività di rilevazione dei dati si è conclusa nel 2003, l’elaborazione degli stessi nel 2004 e la loro pubblicazione nel 2005: un ritmo annuale rispettato dunque perfettamente.
La prima parte del libro tratta delle strutture di accoglienza per i richiedenti asilo presenti in tre regioni meridionali: Calabria, Puglia e Sicilia.
Della Calabria si sono occupati Luigi Commisso e Mirella De Franco, che descrivono la situazione dei migranti nella provincia di Crotone. Della Puglia ha scritto Ercole Giap Parini, soffermandosi sul territorio di Lecce. Della Sicilia, infine, si è occupato Antonino Campennì, la cui penna ha descritto il caso della provincia di Agrigento. Dopo aver analizzato i dati relativi al Centro di prima accoglienza “Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto, operativo dal 1999, Commisso e De Franco giungono a conclusioni amare: «Quella che inizialmente sembrava essere una politica di accoglienza, col tempo […] ha finito per trasformarsi in politica di contenimento». I due studiosi lamentano il mancato coinvolgimento delle associazioni con finalità educative e di animazione, segnalando, d’altro lato, una consistente presenza delle associazioni di protezione civile. Anche i centri di seconda accoglienza vengono considerati fallimentari dal momento che essi non hanno saputo scongiurare «l’isolamento o il mancato inserimento dei profughi».
Descrivendo il Centro di prima accoglienza “Lorizzonte” nel leccese, Parini mette in risalto la funzione fondamentale dell’assistenza legale. Lo stile di scrittura dello studioso però è discutibile: «Tra le attività più significative vi è l’identificazione delle persone meritevoli di assistenza», laddove forse voleva fare riferimento al bisogno delle persone stesse. Ma il punto cruciale, lo studioso lo centra appieno: «Accade […] spesso che vengano destinati […] all’espulsione immigrati che potrebbero fare la richiesta di asilo politico». Accanto alla preoccupazione per i migranti c’è in Parini anche quella per gli avvocati che li tutelano: «Il servizio di assistenza legale agli immigrati trova uno dei limiti nel fatto che non garantisce livelli di reddito consoni al tipo di carriera a cui potenzialmente un avvocato potrebbe aspirare».
Campennì descrive invece l’evoluzione della realtà siciliana, nella quale il Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Agrigento ha nel tempo svolto un ruolo sostanzialmente di transito verso altri centri di accoglienza nell’Italia del Sud. Ma Campennì esprime soprattutto un giudizio positivo sulle potenzialità offerte dal territorio con riferimento al rapporto positivo che la popolazione potrebbe avere con i rifugiati: «Sulla carta esisterebbero tutte le condizioni non solo per allargare quest’azione ad un numero più cospicuo di rifugiati di quelli già coinvolti […], ma anche per sperimentare un insieme di “buone pratiche” in grado di far scuola ed essere recepite da altri territori e dalle stesse prassi istituzionali». Convincente è il sogno dello studioso di una «costruzione effettiva di percorsi virtuosi finalizzati all’integrazione dei rifugiati nella società locale».

Dall’analisi alla formulazione di alcune proposte
I tre capitoli che compongono la seconda parte del testo sono firmati da Elisabetta Della Corte. Complesso il suo discorso, ma chiaro. Le sue analisi sono volte ad accertare l’effettivo inserimento socioeconomico dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Calabria (in particolare, nelle province di Catanzaro e Crotone) e nelle altre due regioni sopra elencate (rispettivamente, come dicevamo, nella provincia di Lecce e in quella di Agrigento).
Della Corte mostra i limiti degli interventi istituzionali. Suggerisce una revisione delle politiche di intervento che tenga conto delle esigenze delle economie locali. Emblematico il caso di Santa Severina dove il sindaco e gli imprenditori agricoli si erano mostrati disponibili ad accogliere venti nuclei familiari (per un totale di cinquanta persone) per ripopolare il paese rispondendo in tal modo alla richiesta di forza-lavoro da parte di vari settori: ebbene, in questo caso l’assenza di informazioni sulle procedure da seguire per accogliere i rifugiati non ha permesso che si conseguisse l’obiettivo indicato. Rileviamo la qualità rivoluzionaria delle proposte avanzate dalla studiosa: «Sarebbe opportuno facilitare l’accesso agli studi superiori e universitari dei richiedenti asilo nel tempo che precede il riconoscimento dello status di rifugiato» eventualmente con borse di studio e un reddito di inserimento. Alla base delle argomentazioni della sociologa campana sta una filosofia che condividiamo: l’importanza dei luoghi, sedi naturali di una possibile democrazia radicale.

Bonaventura Scalercio

(direfarescrivere, anno III, n. 22, ottobre 2007)
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