Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La cultura, probabilmente
La lezione di Lelio Basso: l’importanza
di preservare e ampliare la democrazia
se si aspira a modificare il capitalismo
Il libro di Enrico Marino ripropone il socialismo antiburocratico
di uno dei padri fondatori della storia della nostra Repubblica
di Giuseppe Licandro
Il 22 dicembre del 1947, dopo un lungo ma prolifico confronto fra le forze antifasciste, fu approvata la Costituzione italiana, che entrò in vigore il 1º gennaio del 1948. Tra i padri fondatori della Prima Repubblica ci fu anche Lelio Basso (1903-1978), che faceva parte del gruppo di deputati socialisti eletti all’Assemblea Costituente. Il suo nome è stato per molto tempo dimenticato, anche per la crisi che ha colpito il movimento operaio e il mondo socialista negli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. Oggi, tuttavia, si assiste a un rinnovato interesse, almeno nell’ambito degli studiosi marxisti, per le teorie politiche di questo pensatore sui generis, che provò a coniugare le istanze rivoluzionarie con la tradizione democratica del socialismo.

Un socialista massimalista
Iscrittosi fin da giovane al Partito socialista italiano, Basso aderì ben presto alla sua corrente massimalista. Fu un attivo antifascista e trascorse negli anni Trenta un lungo periodo di detenzione al confino. Nel 1943 fondò il “Movimento di unità proletaria”, confluito nello stesso anno nel Partito socialista di unità proletaria (che nel 1946 riassunse il vecchio nome di Partito socialista italiano), partecipando alla Resistenza. Nel 1946 fu eletto deputato all’Assemblea Costituente e, fra il 1947 e il 1949, occupò la carica di segretario del Psi. Negli anni seguenti, tuttavia, si oppose alla svolta politica impressa al suo partito da Pietro Nenni, che nei primi anni Sessanta contribuì alla formazione dei governi di centro-sinistra.
Nel 1964 Basso fu tra i protagonisti ¬– insieme a Vittorio Foa, Emilio Lussu e Tullio Vecchietti – della scissione che segnò la breve rinascita del Partito socialista di unità proletaria. Nel 1972 fu eletto senatore ed entrò a far parte del gruppo parlamentare della “Sinistra indipendente”, rimanendo in carica fino alla morte. Egli svolse proficuamente anche la professione giornalistica e pubblicò vari saggi, tra cui ricordiamo: Il principe senza scettro (Feltrinelli); Neocapitalismo e sinistra europea (Laterza); Socialismo e rivoluzione (Feltrinelli).

L’educazione politica di Basso
Il recente saggio di Enrico Marino, dottore in Filosofia, Democrazia e rivoluzione socialista nel pensiero di Lelio Basso (Rubbettino, pp. 196, € 16,00) ha riproposto le idee del pensatore socialista, approfondendo in particolare, come spiega lo stesso autore nell’Introduzione, «il rapporto che sussiste nella elaborazione teorica di Basso fra la teoria della rivoluzione socialista e i fondamenti politici e costituzionali della democrazia».
Nel primo capitolo del libro viene descritta l’educazione politica di Basso, che si formò attraverso lo studio degli scritti di Karl Marx e di Antonio Labriola, ma anche grazie agli insegnamenti di Ugo Guido Mondolfo (fratello del filosofo Rodolfo Mondolfo), suo professore liceale. Fondamentale fu per lui la lettura delle opere di Rosa Luxemburg, le sue critiche alla teoria leninista del partito servirono a Basso per allontanarsi dagli aspetti più burocratici e autoritari del bolscevismo, incarnati dallo stalinismo.
Marino, inoltre, mette in rilievo un aspetto peculiare della personalità di Basso, che nutrì, pur da posizioni laiche, grande interesse e profondo rispetto per il cristianesimo protestante e per le riflessioni etico-religiose di Fëdor Dostoevskij, in cui intravedeva la valorizzazione della coscienza individuale e una critica radicale della società moderna. Il pensatore socialista pubblicò numerosi saggi di argomento religioso, poi raccolti nel volume Scritti sul cristianesimo (a cura di Giuseppe Alberigo, Marietti), provando ad accostare sul piano etico il marxismo e il cristianesimo più autentico.

La distinzione fra liberalismo e democrazia
Nel secondo capitolo, Marino esamina le teorie dei più importanti esponenti del liberalismo italiano (Benedetto Croce, Ernesto De Ruggiero, Luigi Einaudi) e dei cosiddetti “liberal-socialisti” (Piero Gobetti, Carlo Rosselli), riportando le critiche bassiane: il pensatore socialista, infatti, contestò la tradizione liberale, partendo dall’assunto che la democrazia fosse più consona al socialismo anziché al capitalismo e non derivasse dall’evoluzione spontanea del liberalismo, bensì dalle lotte emancipatrici della classe operaia, intraprese a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Ne Il principe senza scettro (Feltrinelli), scritto nel 1958, egli sostenne che il liberalismo e la democrazia si fondassero su presupposti ideologici contrapposti, sintetizzando così il suo punto di vista: «Principio individuale contro principio sociale, Stato liberale contro stato democratico, eguaglianza giuridica contro eguaglianza reale».
La democrazia, a parere di Basso, veniva a stento tollerata dai capitalisti finché non minacciava seriamente i loro interessi economici: a riprova di ciò, egli portò come esempio l’avvento in Italia del fascismo, che aveva trovato il pieno sostegno del capitale oligopolistico.

Un’originale lettura di Marx
Marino, nel terzo capitolo, espone le riflessioni di Basso su Marx, confrontandole con quelle dei maggiori marxisti del Novecento: Antonio Gramsci, Karl Kautsky, Lenin, Cesare Luporini, Rosa Luxemburg, Palmiro Togliatti.
Ne scaturisce un’originale e, per certi versi, inedita lettura del pensiero politico marxiano: secondo Basso, infatti, a partire dal 1872, Marx riconobbe la possibilità di una transizione pacifica al socialismo, almeno nei paesi industrialmente più avanzati (come il Regno Unito di Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America), grazie all’introduzione del suffragio elettorale quasi universale. A tal proposito, nell’articolo Marxismo e democrazia (in Problemi del socialismo, n. 9, 1978), Basso sostenne che: «Mi pare evidente quindi che il marxismo lungi dal respingere i mezzi pacifici come via alla conquista del potere, lungi dall’essere fautore esclusivamente di violenza, è aperto a tutte le possibilità; esso crede che il proletariato debba partecipare in tutte le forme alla lotta politica nella presente società per acquistare maggiore esperienza, capacità e potere in vista dei compiti di futura classe dirigente».
A suo avviso, fu Rosa Luxemburg (insieme a Gramsci) ad aver meglio compreso tra i marxisti la dialettica storica e l’interrelazione che unisce la sfera economica alle rivendicazioni politiche della classe operaia. Infatti, opponendosi al riformismo di Eduard Bernstein e al determinismo di Kautsky, la marxista polacca rivalutò l’importanza dell’elemento soggettivo nella trasformazione del capitalismo, mettendo in risalto la centralità del proletariato nell’azione rivoluzionaria e impostando in senso democratico il suo legame con le “avanguardie politiche”.
Basso – pur riconoscendo a Lenin il merito di aver saputo adeguare la politica dei bolscevichi alle condizioni storiche arretrate della Russia zarista – condivise le posizioni antiburocratiche della rivoluzionaria polacca, tanto da affermare in un suo scritto che: «La rivoluzione non può essere vista semplicemente come la conquista del potere da parte del proletariato, e, ancor meno, da parte di un’avanguardia costituita in partito [...], secondo quella che fu la concezione leninista» (Per conoscere Rosa Luxemburg, a cura di Lelio Basso, Mondadori).

Le obiezioni di Bobbio
Gli ultimi due capitoli del saggio di Marino sono dedicati al raffronto fra Basso e Norberto Bobbio e all’analisi della categoria di “sovranità popolare”.
Bobbio, noto esponente del “liberal-socialismo”, rivolse acute obiezioni al pensiero politico di Marx, contenute soprattutto nella raccolta di saggi del 1976 Quale socialismo? (Einaudi), a cui rimproverò di non aver saputo elaborare un’idonea teoria dello stato, senza indicare con precisione le articolazioni istituzionali della democrazia socialista. Questo vuoto di prospettiva, imputabile all’ingenua previsione marxiana secondo cui lo stato socialista si sarebbe gradualmente estinto, implicava per il filosofo torinese una conseguenza molto negativa, da lui così espressa: «Se il nuovo stato è uno stato di transizione, e quindi un fenomeno effimero, il problema del suo migliore funzionamento diventa molto meno importante».
Elevando la Comune di Parigi del 1971 quale modello del futuro stato socialista, Marx – secondo Bobbio – fece assurgere a emblema universale un avvenimento storico contingente, per di più circoscritto a una dimensione cittadina, trascurando il pluralismo politico e il consolidamento dei diritti individuali. Il filosofo liberal-socialista, pertanto, dichiarò in Quale socialismo? che non esistevano alternative plausibili alla democrazia rappresentativa: la società socialista, volendo assicurare l’effettiva emancipazione dei lavoratori, non poteva realizzarsi in forma autocratica (come in Urss), ma secondo le indicazioni politiche del liberalismo.
Marino, riprendendo le valutazioni critiche fatte a suo tempo proprio da Basso, giudica ingenerose le obiezioni di Bobbio, il quale non considerò che «il punto limite della democrazia, cioè la gestione collettiva del potere, comporta il riassorbimento delle funzioni dello stato [...] da parte della società». Marx, in sostanza, auspicando «la partecipazione permanente del cittadino all’esercizio del potere politico», sottintese sempre la piena realizzazione delle libertà individuali.
Bobbio, secondo Marino, privilegiò una visione puramente “procedurale” della democrazia, che garantiva pari diritti a tutti i cittadini, senza però prevedere forme di partecipazione diretta e autogestione del potere (per esempio, attraverso la rotazione degli incarichi o il mandato vincolante e revocabile dei rappresentanti).

La sovranità popolare
L’autore, nella parte conclusiva del suo libro, espone l’originale teoria di Basso secondo cui «la sovranità popolare non può [...] che essere la sovranità di ciascuno, ciascuno avendo eguali diritti a far pesare la propria volontà, la propria situazione, i propri interessi nella formazione di una volontà collettiva». Ciò comporta l’abbandono della nozione astratta di sovranità, attribuita genericamente al corpo sociale, in nome di una sua diversa versione, in base a cui «essa sia frazionata in tante piccole porzioni, quanti sono i cittadini che compongono la comunità».
Tutti i cittadini, perciò, devono esercitare la sovranità senza separare «titolarità» ed «esercizio delle funzioni sovrane», cioè senza delegare affatto il potere a rappresentanti svincolati da ogni efficace forma di controllo. Da evitare per Basso, tuttavia, è anche la «democrazia plebiscitaria», nella quale le masse, irretite da abili demagoghi, attribuiscono ogni potere a un capo o a un’oligarchia, sopprimendo di fatto le istituzioni democratiche.
Nella società capitalistica, lo strumento più idoneo per realizzare la partecipazione delle masse e ampliare la democrazia rimane il «partito delle classi subalterne», che deve coordinare l’antagonismo dei lavoratori finalizzandolo alla trasformazione del sistema: questo processo si potrà attuare anche in forma pacifica e legale, attraverso radicali riforme strutturali che eliminino le differenze di classe e portino alla socializzazione dei mezzi di produzione.

La lezione di Basso
Le teorie bassiane possono risultare alquanto utopiche o anacronistiche, in una fase storica come quella attuale, caratterizzata dal prevalere della globalizzazione neoliberista, quando la maggior parte delle formazioni politiche d’ispirazione socialista ha ormai abbandonato ogni prospettiva rivoluzionaria.
Tuttavia, la lezione di Basso può risultare ancora feconda per la cosiddetta “sinistra radicale” – che non accetta lo status quo e non rinuncia alle lotte anticapitaliste – in quanto serve a scongiurare l’interpretazione autoritaria e burocratica del socialismo, nonché la visione meccanicistica dei processi storici, che portano inesorabilmente a vanificare le lotte dei lavoratori e conducono al fallimento ogni progetto di trasformazione dell’esistente.

Giuseppe Licandro

(direfarescrivere, anno III, n. 17, 1 luglio 2007)
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