Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
La cultura, probabilmente
L’apporto estremamente importante
nell’orizzonte sociologico italiano
di Gina Lombroso ed Ersilia Salerno
Continua l’analisi sulla “Questione femminile” con la necessità
di mostrare i ruoli ricoperti dalle donne nel contesto italiano
di Ivana Ferraro
In questo contributo continuiamo la trattazione riguardante la “Questione femminile”. Nell’articolo precedente, avevamo avuto modo di chiarire anche il contesto italiano. Si è fatto notare come, nel XIX secolo, le donne abbiano recitato ruoli da assolute protagoniste in quella serie di mutamenti che hanno coinvolto l’intero assetto societario (per leggere l’ultimo contributo visita questo link: http://www.bottegaeditoriale.it/lacultura.asp?id=246).
Approfondendo la questione si evidenzia che, mentre il salotto di Anna Kulishioff vantava di accogliere un’intricata rete di contatti e scambi nazionali e internazionali, fra le intellettuali italiane dell’epoca di spicco vi sono Sibilla Aleramo, Ada Negri, le sorelle Paola e Gina Lombroso e Laura Orvieto. Pertanto, in questo contesto si proseguirà la trattazione mostrando altri elementi peculiari che hanno connaturato la penisola italiana.

Gina Lombroso e il suo relativo attivismo sociale ambivalente
Fra le varie figure di indubbio valore, quella che si distinse maggiormente per gli studi e le ricerche condotte è stata Gina Elena Zefora Lombroso (1872 - 1944), divulgatrice scientifica, medico e scrittrice italiana.
La sua intensa attività pubblicistica, la militanza attiva nella vita politica e gli studi condotti sulla condizione femminile la resero nota nell’ambiente intellettuale italiano e internazionale dei primi anni del Novecento.
Tra di esse, Lombroso ingloba, nella sua esperienza biografica, intellettuale, scientifica e militante, riflessioni e posizioni ambivalenti sulla condizione delle donne in una società che stava profondamente e decisamente cambiando, maturate sia sulla base dell’approccio positivista ed empirista del padre, Cesare Lombroso, ma anche dell’educazione liberale e anticonformista ricevuta a Torino.
Sempre più interessata alle questioni sociali, frequenta circoli operai e si rappresenta come fine e attenta osservatrice, svolgendo indagini socio- statistiche fra gli operai della sua città. I suoi scritti sulla condizione operaia saranno pubblicati su riviste come Riforma sociale, fondata nel 1894 da Saverio Nitti e Luigi Roux, e sul periodico (già citato nei contributi precedenti) Critica sociale.
Nel 1896, Gina Lombroso pubblica la ricerca Sulle condizioni sociali economiche degli operai di un sobborgo di Torino, realizzata attraverso un questionario somministrato a cento famiglie operaie del quartiere Crocetta, da cui deriva un’analisi precisa, puntuale e significativa con informazioni su natalità, mortalità, composizione delle famiglie, abitazioni, istruzione, lavoro, salario, ore di lavoro, spese.
Dai dati raccolti, si evince un quadro deplorevole di difficoltà economiche e fatiche quotidiane della classe operaia torinese, reso più tollerabile dalla coesione familiare, dalla presenza consolatrice dei figli, dalla diffusa possibilità di leggere i quotidiani, dalla beneficenza e dal supporto reciproco: «Gli è anche che pél povero, specie pel più miserabile, la famiglia più che una zavorra che lo porta al fondo, è una zavorra che lo tiene in equilibrio» [1].

Le cause dell’analfabetismo
La riflessione sulla condizione degli svantaggiati continua attraverso la pubblicazione di vari contributi e con un articolo sul basso livello di istruzione della popolazione di tanta parte del Paese, dal titolo Sulle cause e sui rimedi dell’analfabetismo.
Attraverso l’impiego di dati denotativi e di realtà della situazione dell’istruzione sociale, Gina Lombroso dimostra che non è tanto il modesto investimento in istruzione nel bilancio italiano la causa dell’analfabetismo: non mancano cioè solo gli edifici scolastici o buoni maestri, ma è soprattutto l’assenza di motivazione di istruzione a venir meno.
Ovvero, l’analfabetismo non è tanto causa quanto effetto della mancanza di civiltà: «Si è creduto, vedendo all’estero andar di pari passo lo alfabetismo e le scuole, che bastasse piantare delle scuole per veder sradicata di botto l’ignoranza, come il selvaggio che colpito dall’effetto delle nostre armi da fuoco, crede che in esse sole risieda la virtù della vittoria, senza badare se altre condizioni sono preventivamente necessarie per renderle efficaci, così noi abbiamo piantato le scuole senza badare se altre piaghe reclamavano assolutamente la precedenza di cura» [2]. Nel passaggio di secolo, Gina Lombroso comincia a scrivere, in collaborazione con il padre e con Guglielmo Ferrero, che sposerà nel 1901, seguendolo prima Firenze e poi in Svizzera, condividendo l’esilio in fuga dalla persecuzione antifascista e antisemita. La collaborazione fra i tre si manifesta, in particolare, nella stesura del volume La donna normale, la prostituta e la donna delinquente, in cui viene fuori un approccio conservatore, intriso di molteplici stereotipi comuni del tempo nei confronti della donna. L’opera sarà poi editata per la quarta volta a cura della stessa Gina nel 1923 con l’aggiunta di 7 tavole e 15 figure nel testo.

La contrarietà alla concessione al voto
La studiosa diventerà poi attiva nell’ambiente fiorentino, fondando l’Associazione divulgatrice donne italiane (Addi). Nonostante l’impostazione progressista con cui conduce la sua vita e l’intenzione consapevole di restituire dignità sociale alla donna, considerata complementare e non inferiore all’uomo – allontanandosi così dalla visione del padre – sarà successivamente contraria alla concessione del voto delle donne.
Il motivo di tale rifiuto è riscontrabile in scritti come L’anima della donna e La donna nella società attuale, in cui Gina Lombroso eredita una visione positivista legata alle differenze biologiche tra uomo e donna che determinano il perché delle diverse attitudini e dei diversi compiti loro assegnati all’interno della società. Ben tuttavia, riconosce al femminismo il merito di aver portato alla ribalta la sofferenza e il dolore delle donne, sentimenti causati dalla tensione tra le proprie aspirazioni naturali e quelle biologiche, e quelle più attuali, legate all’ambire a posizioni sociali e pubbliche prettamente maschili.
La studiosa, infine, propone una raccolta di autobiografie ritenute documenti empirici essenziali per il suo studio, al fine di mostrare le molle che reggono e muovono le donne reali che si incontrano nella vita concreta, ovvero storie di madri, figlie, spose, non di scrittrici, stelle o regine dell’arte o dello schermo. In Nuove vite di donna, ella dà un nuovo impulso alla ricerca empirico-scientifico-sociologica con quattro storie raccolte nel volume mettendo in evidenza alcuni punti controversi nelle esperienze di donne appartenenti a diversi continenti, nazioni, classi e ambienti socio-culturali, sottolineando la complessità della questione femminile, non risolvibile con l’accesso agli studi e alla carriera professionale.

I primi anni del XX secolo: quali proposte sociologiche sono state affrontate? L’importante ruolo di Ersilia Salerno
Nei primi anni del secolo si manifestano contatti, convergenze, dibattiti e riflessioni tra donne laiche e cattoliche, esponenti del riformismo religioso e del femminismo cristiano, sulle tematiche della cittadinanza e sulle proposte sociali a favore delle donne: un’importante e significativa collaborazione si attua nel 1907, in occasione del convegno promosso dalla Federazione femminile creata da Adelaide Coari (1881 - 1966), maestra cattolica che ipotizza la costruzione di un Programma minimo femminista per impostare la collaborazione con le sorelle di svariate fedi.
Con Coari, Elena da Persico ed Elisa Salerno si propone un cattolicesimo femminista impegnato sul piano sociale ed ecclesiale. Elisa Salerno, in particolare, è una figura sui generis per il movimento di idee che porta avanti nella realtà periferica di Vicenza. Salerno si forma da autodidatta, imparando il latino, il francese e il tedesco, la teologia e la filosofia, maturando allo stesso tempo interesse verso l’impegno nell’associazionismo cattolico.
Nel passaggio tra un secolo e l’altro, nel pieno fervore dell’attività editoriale delle donne, Elisa Salerno inizia a scrivere testi di narrativa, per poi fondare, nel 1909 il giornale La Donna e il Lavoro, un grande strumento comunicativo, cassa di risonanza per riflessioni, idee, modi di raccontare la realtà da un punto di vista sociologico.
In occasione del primo numero del giornale, Salerno presenta una ricerca sulla condizione delle donne lavoratrici vicentine, pubblicata poi a puntate dal 1909 nella rubrica Inchiesta sul lavoro delle donne a Vicenza, seguendo una formula comunicativa molto à la page in quell’epoca. In soli due anni raccoglie una quantità ragguardevole di informazioni, di osservazioni, di interviste e di dati necessari e significativi per l’analisi delle condizioni lavorative in cinque setifici, un cotonificio, un’azienda metallurgica, un pastificio, numerose aziende orafe e un laboratorio per la lavorazione della pelle [3].
Uno spazio ragguardevole è rivolto anche ai contesti dell’artigianato, ovvero alle sarte, alle stiratrici e alle cucitrici. La ricerca, che ottiene l’approvazione dell’economista Giuseppe Toniolo, maestro della dottrina sociale della Chiesa, mette in rilievo non solamente le generiche difficoltà delle donne, ma anche minuziosamente i dettagli dello sfruttamento delle operaie, dei divari salariali, degli ambienti lavorativi insalubri e delle malattie derivanti anche da carichi insostenibili, dei contesti umani e delle prevaricazioni morali e sessuali.

I bisogni delle lavoratrici e la condanna alla Chiesa
La ricerca è finalizzata al riconoscimento dei bisogni delle lavoratrici con l’intento di riformare ed avanzare soluzioni più innovative e più eque sul fronte della contrattazione, degli orari, dei supporti all’inoccupazione, nonché per preservare una certa moriggeratezza nelle fabbriche.
Salerno sostiene che non sia bastevole la lotta sociale e sindacale, ma risulti altresì più efficace una battaglia culturale e un cambiamento di sistema di credenze, sostenendo la necessità di percorsi di accesso all’istruzione per permettere alle donne di emanciparsi (in merito vedi Spiller, di cui già summenzionato).
Salerno individua nella Chiesa, unica responsabile morale delle fasce più deboli e svantaggiate. Se la ricerca sull’operaismo vicentino l’aveva portata a riflettere sulle responsabilità della cultura cattolica nel mantenere la subalternità delle donne, dalle pagine del giornale la studiosa coglie l’occasione per denunciare l’antifemminismo della patristica e della scolastica.
Dopo la dura condanna della Chiesa locale e della Curia romana del giornale La Donna e il Lavoro, Salerno continua la sua opera di ricerca e divulgazione attraverso le pagine di Problemi femminili, che le procurerà una scomunica e la sua relativa uscita dalla sfera pubblica.
Dopo questo evento, Elisa Salerno si ritira a vita privata, pur continuando a scrivere volumi, note critiche ai Testi Sacri, lettere alla curia, ai vescovi, al Papa, nella ricerca indefessa di un’assoluzione, ma anche richiedendo una presa di coscienza da parte della Chiesa dei suoi errori.

Ivana Ferraro

[1] G. Lombroso, Sulle condizioni sociali economiche degli operai di un sobborgo di Torino, in Riforma Sociale,1896, anno III, vol. 6, p.138.
[2] G. Lombroso, Sulle cause e sui rimedi dell’analfabetismo in Italia, in Riforma Sociale,1898, anno V, vol. 8, p. 281.
[3] S. Spiller, Il giornale La donna e il lavoro e la condizione materiale delle lavoratrici, in A. Lombardo e D. Mottin (a cura di), Il mondo di Elisa Salerno femminista Cristiana, 2021, Gabrielli, Verona, p. 80.

(direfarescrivere, anno XX, n. 226, dicembre 2024)
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