Le sociologhe intellettuali europee
che determinano nascita e sviluppo
dello studio dei fenomeni sociali
Nella “questione femminile”, l’apporto delle donne nel campo
sociologico con un focus sul territorio europeo
di Ivana Ferraro
Prosegue l’analisi incentrata sulla questione femminile. Nei contributi precedenti avevamo analizzato la storia moderna del femminismo. Le varie dissertazioni ci avevano portato a concludere che soffermarsi sul genere e sul ruolo sociale della donna presupponga che si tengano sempre in forte considerazione diversi fattori.
Per questo motivo, in un primo momento, si era posto in evidenza la sfera culturale, storica ed economica (per leggere l’articolo clicca qui: www.bottegaeditoriale.it/laculturaprobabilmente.asp?id=239). Colte questa sfumature, l’analisi è proseguita mettendo in evidenza le sfumature sociali (in questo caso, l’articolo si può leggere visitando questolink: http://www.bottegaeditoriale.it/lacultura.asp?id=240).
Soffermarsi su queste tematiche ha sempre avuto un unico fine: dare al lettore gli strumenti adatti per potersi destreggiare fra le innumerevoli sfumature che connaturano una tematica così ampia. Sotto questa lente si possono leggere gli altri due articoli dove, infatti, si fa notare come l’emancipazione femminile abbia portato le donne a imporsi sulla scena pubblica, diventando “soggetto” della sociologia (l’articolo è consultabile a questo link: http://www.bottegaeditoriale.it/lacultura.asp?id=241) e di come il contesto americano si sia tinto di precipue caratteristiche (per leggere il contributo clicca qui:
http://www.bottegaeditoriale.it/laculturaprobabilmente.asp?id=242).
In questo contesto si proseguirà l’approfondimento facendo notare come, molto spesso, la reticenza “magnanima” con cui si è evoluta la terminologia per definire la persona, donna, di genere femminile numero plurale – numero plurale per l’intrinseca semantica che lo stesso nome porta in sé – ne ha marcatamente e volutamente definita la classe sociale di appartenenza: alle sole donne della classe borghese medio-alta è stato dapprima permesso di “intelletualizzarsi”. La storia lo testimonia. E da qui l’uso del termine “donne intellettuali”.
La corroborante ascesa delle sociologhe europee e il notevole di Harriet Martineau
Simultaneamente alle proprie colleghe americane, le sociologhe europee iniziano la loro scalata affacciandosi a questi studi su collaborazioni scambievoli e continui, atti a promuovere riflessioni metodologiche e procedurali utili ai fini scientifici delle indagini. Ovvero, esse si sono poste nei confonti della ricerca attraverso l’oculata e raffinata speculazione scientifica.
Basti ricordare le famose visite di Jane Addams effettuate in Inghilterra ancor prima di ritornare a Chicago, da cui proveniva, e di mettere in piedi la Hull House, e le visite delle inglesi come Beatrice Potter e Sidney Webb, Marianne Schnitger e Max Weber presso la rinomata struttura.
Ben Tuttavia, il debutto dello studio della sociologia richiama il nome di Harriet Martineau (Norwich, 15 settembre 1802 – Ambleside, 27 maggio 1876), la cui lungimirante carriera è legata alla produzione di oltre settanta volumi, dozzine di articoli e più di duemila commenti giornalistici, i cui contenuti spaziano dall’economia alla sociologia e alla narrativa anche di natura autobiografica.
Nel 1853 pubblica una versione sintetica in lingua inglese dei volumi del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte, motivo per cui viene ricordata soprattutto come traduttrice di colui che conia per primo il termine “sociologia”.
In realtà, da oltre un ventennio, Martineau era già impegnata nella ricerca sociologica, a partire dal viaggio negli Usa, fase in cui sperimenta e struttura un metodo per condurre la ricerca sociale, pubblicando al ritorno Society in America, un testo in cui applica dichiaratamente l’approccio sociologico per l’analisi comparativa, seguito dal suo trattato di metodologia How to Observe Morals and Manner.
La finalità precipua di Martineau consiste nel confrontare i principi espressi nella Costituzione americana con le sue realizzazioni esplicite e concrete, mettendo in luce le inadempienze della democrazia statunitense e ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica la questione della schiavitù dei neri e della mancata cittadinanza politica delle donne come problemi democratici irrisolti.
Martineau, a un tempo, elabora delle riflessioni e delle considerazioni pubblicando il primo testo di metodologia, con specifiche indicazioni su come muoversi sociologicamente: come “il viaggiatore”. Inoltre, ella propone di incontrare ogni tipo di persona e contesto, attraverso un’osservazione diretta, imparziale e non pregiudiziale e alla ricerca di uniformità.
Il viaggio alla ricerca di osservazioni e informazioni rappresentano, pochi anni dopo, anche il lavoro della francese Flora Tristan (Parigi, 7 aprile 1803 – Bordeaux, 14 novembre 1844) che, durante quattro viaggi in Inghilterra, studia costumi e modi di vivere inglesi, scrivendo il volume The London Journal of Flora Tristan (1840), analisi di ispirazione sociologica sulle condizioni economiche e sociali della società in generale e della classe operaia, in particolare. Ella rileva e denuncia la drammatica povertà dei lavoratori inglesi, ancor peggio dello stato di schiavitù, presa in esame direttamente nelle città industriali di Birmingham, Manchester, Glasgow e Sheffield.
Una simile situazione, qualche anno dopo, fu rilevata da Engels: egli pone l’accento sulla condizione della working class in Inghilterra, caratterizzata da salari non dignitosi, vita in ambienti malsani e, di conseguenza, alti tassi di mortalità fra gli operai.
Tornando a Martineau, è importante ricordare anche la collaborazione con Florence Nightingale soprattutto sul fronte dell’impegno sulle questioni sociali connesse alla salute e alla pace.
Il ruolo determinante della figura di Beatrice Potter Webb
Altra figura di rilievo, nel contesto inglese, è la già citata Beatrice Potter sposata Webb (Gloucestershire, 22 gennaio 1858 – Liphook, 30 aprile 1943), antesignana delle metodologie qualitative, partecipative e nella conduzione di ricerche, fondamentali per la loro rilevanza sociopolitica in Inghilterra e, più in generale, in Europa.
Potter, proveniente dalla ricca borghesia inglese, inizia il suo percorso investigativo grazie all’amico di famiglia e darwinista sociale Herbert Spencer che la motiva a scrivere il suo primo articolo, ma da cui ben presto prenderà le dovute distanze, reputando Spencer non un ricercatore sociale, ma piuttosto un ricercatore di fatti sociali da adattare alla sua teoria evoluzionistica.
Un’altra esperienza caratterizzante il suo apprendistato sociologico è la partecipazione alla vasta ricerca sui poveri a Londra, condotta dal cugino Charles Booth, attraverso cui ella viene a conoscenza dell’inattesa realtà di miseria di un milione di poveri abitanti nella città più ricca del mondo.
In tal modo Potter, da un lato, apprende fattivamente la metodologia della ricerca sociale, attraverso la combinazione di tecniche qualitative e quantitative utilizzate in maniera complementare nell’analisi della struttura sociale, che, dall’altro lato, provoca in lei l’accrescimento consapevole di un comportamento critico verso la pratica filantropica come strumento di alleggerimento della povertà.
Dopo la partecipazione alla stesura del primo volume di Life and Labour of the People in London, confluito in seguito in una corposissima opera composta da diciassette volumi curata da Booth, si dedica autonomamente allo studio delle cooperative di consumatori e del movimento cooperativo nel Lancashire, attraverso l’applicazione dei mixed methods, esposto nella monografia The Cooperative Movement in Great Britain. Questa colossale opera è ritenuta la più autorevole tra quelle di Potter prima dell’inizio della lunga e proficua collaborazione con il marito Sydney Webb, venuto alla luce proprio in questo periodo storico.
Il lavoro dei coniugi Webb si incentra sulle disuguaglianze socio-economiche e sulle problematiche della classe operaia, prendendo in esame le tematiche sindacali, le relazioni industriali e lo sfruttamento lavorativo, all’interno del contesto socialista della Fabian Society a cui entrambi appartengono.
La fervida e proficua attività di ricerca scientifica e intellettuale, nonché il ruolo dominante nella Fabian Society, permettono ai coniugi Potter-Webb di inserirsi direttamente nel dibattito politico inglese, collaborando fattivamente nei comitati e presentando esposti su un’ampia gamma di temi, dalla disoccupazione alla povertà e alla tutela dei minori. D’altronde, i Webb intendono la ricerca sociale e la sociologia come un’impresa collettiva, dedita alle grandi questioni sociali dell’attualità.
Cosa succede in ambito tedesco?
Sul fronte tedesco, è notoria la posizione di Marianne Schnitger (Oerlinghausen, 2 agosto 1870 – Heidelberg, 12 marzo 1954) soprattutto per esser stata la moglie di Max Weber più che per il supporto alla ricerca sociologica. Prima di curare la pubblicazione dei testi del marito, tuttavia, scrive numerosi saggi di sociologia storica e del diritto, nonché opere frutto dello scambio e del dibattito che si sviluppa nei salotti e nei circoli intellettuali dell’epoca, che offrono alle donne preziose occasioni di incontro con gli accademici.
Dal 1860 numerose associazioni femminili iniziano il loro lavoro per promuovere i diritti delle donne, ma solo grazie all’Unione delle Organizzazioni Femministe Tedesche (Bdf, 1894-1933) si struttura un movimento che lavorerà con politici e intellettuali di spicco dell’epoca per promuovere la parità di genere. Tra queste donne, vi è anche Marianne Schnitger, presidente del Bdf nel 1919 e membro del Partito Democratico Tedesco (Ddp), con l’elezione nella Repubblica di Baden.
Dialogando e distanziandosi da Max, Marianne Schnitger introduce “una sociologia centrata sulla donna”. Marianne analizza inoltre il ruolo della donna da un punto di vista storico e giuridico, producendo saggi in grado di racchiudere preziose ricostruzioni della realtà tedesca, criticando la lettura essenzialistica della differenza fra i sessi proposta da Simmel, ricostruendo piuttosto i meccanismi storico-sociali, culturali e di disparità di potere che hanno impedito nei secoli la partecipazione della donna alla sfera pubblica e alla produzione della cultura oggettiva.
Sulla base di queste considerazioni, mette in piedi analisi storico-comparative accurate – si veda il testo Moglie e madre nello sviluppo della legge del 1907, apprezzato e recensito da Durkheim nel 1909 – tipi ideali come strumenti euristici della mutevole realtà femminile, considerando l’evoluzione dall’autorità all’autonomia nel matrimonio, la classificazione di diverse generazioni di studiose e la differenziazione tra donna tradizionale e moderna.
Cosa succede nel panorama francese?
Contemporaneamente, anche in ambito francese, gli studi di Hélène Charron identificano donne che intervengono sulla scena scientifica tra 1890 e 1914. Alcune seguono le tracce pionieristiche di Jenny P. d’Héricourt che già nel 1860, con il testo La femme affranchie, dibatteva con i contemporanei Comte, Proudhon e Michelet, rivendicando l’uguaglianza per le donne tramite riflessioni sociologiche. Fra le scienziate sociali, troviamo pensatrici che collaborano con alcuni enti specifici, tra cui la Società di Sociologia di Parigi aperta anche ai non accademici e non specialisti, e attive nella cosiddetta stampa militante.
Tra le giornaliste spicca Jane Misme, direttrice della rivista La Française, che in un testo del 1908 compara il “tipo ideale” della professoressa a quello della religiosa, evidenziandone somiglianze (quali la povertà, l’obbedienza e il nubilato) e disuguaglianze salariali.
Sulla rivista La Fronde, fondata e gestita da sole donne, compaiono gli studi quantitativi e qualitativi di Käethe Schirmacher sul lavoro delle donne, per le quali il doppio compito del lavoro salariato nello spazio pubblico e del lavoro gratuito in famiglia nuoce all’autonomia femminile.
Schirmacher, nata e cresciuta a Danzica, viaggiatrice e multilingue, europea cosmopolita, arriva a Parigi per la prima volta alla fine degli anni 1880 dell’Ottocento con un dottorato di ricerca conseguito a Zurigo: comparando le situazioni economiche delle lavoratrici in diversi paesi europei e negli Usa, mette in evidenza divari salariali enormi e degrado economico, a causa della condizione sociale, civica, politica di inferiorità di cui soffrono rispetto all’uomo.
Schirmacher parla inoltre apertamente della piaga della prostituzione, unendosi al dibattito internazionale sul tema, e si sofferma sulle cause economiche del problema, considerando le donne non esseri immorali, senza virtù o “criminali nate” (come avevano insistito il criminologo italiano Cesare Lombroso e altri), ma piuttosto donne povere afflitte dalla miseria materiale e vittime di un «ordine sociale deplorevolmente e dolorosamente difettoso», che alimenta la prostituzione nei porti e nelle città e il traffico di donne e minorenni, da affrontare come problema sociale e collettivo attraverso la sindacalizzazione, la formazione professionale e la legge.
Nel 1902, Schirmacher pubblica il suo studio Le travail de femmes en France, basato su un’analisi di fatti e dati sul lavoro delle donne in tutti i settori, considerando il carico extra di lavoro della lavoratrice, moglie e madre, che fa meritare alle donne che vivono in tali condizioni l’appellativo di “sesso forte”. In un articolo del 1904 sul lavoro domestico delle donne, Schirmacher contesta i teorici economici più convenzionali che giudicano il lavoro domestico come improduttivo e propone di considerare le casalinghe parte della popolazione attiva.
Queste e altre sociologhe francesi, secondo Charron, pur senza ottenere un riconoscimento intellettuale per la qualità scientifica del loro lavoro, compartecipano alla riconfigurazione degli oggetti di ricerca della sociologia.
Ivana Ferraro
(direfarescrivere, anno XX, n. 223, settembre 2024)