Affrontando il tema della libertà, di ciò che la costringe, ma anche delle responsabilità che da essa derivano, Benito Apollo, avvocato e cultore di mistica ebraica, dà la voce in prima persona a un personaggio dai tratti ecclettici e sorprendenti, che, a partire dal racconto della propria vita, rivela tutta la complessità delle ripercussioni di un indottrinamento frettoloso e approssimativo.
Il protagonista, nel giro di poche, dense, «cinematografiche» pagine, come le definisce Domenico Bilotti nella Prefazione al libro, ci immerge in una vita che diventa lotta continua, contro gli altri e contro se stessi alla ricerca spasmodica, ma sempre delusa, di verità appaganti e durature da indossare come maschere.
Con uno stile semplice e coinvolgente, Apertura alla francese (Pellegrini, pp. 152, € 15,00), il cui titolo ha già in sé i tratti talvolta vagamente ironici e giocosi che caratterizzano la storia, inquadra l’imprevedibilità di un’esistenza che non vuole adattarsi, ma opporsi, non vuole sopravvivere, ma viversi in tutta la propria ambiguità e indefinitezza.
Il lucido sguardo retrospettivo
In un clima di rigidità e restrizioni, il protagonista Zacharie, il cui nome biblico è già un programma che sembra voler essere solo disatteso, ci racconta la propria infanzia a Parigi, all’ombra dell’ingombrantissima madre che lo costringe a guardarsi attraverso la lente del restrittivo moralismo imposto da tradizioni ebraiche vissute con tenace inflessibilità.
Appartenente a una famiglia ricca e benestante, egli cade nei “tranelli” della madre che, per contrastare i suoi infantili, ma onesti, desideri, lo fa seguire da maestri privati e da psicologi, ricordandogli di volta in volta il suo essere inadatto. L’aspirazione di diventare attore viene soppiantata dall’aspettativa di avere un lavoro più “tradizionale”, una moglie e una famiglia.
Quello che potrebbe diventare un lamento alla Philip Roth, in cui la morbosità per la madre e per l’ebraismo costringono il protagonista a un circolo vizioso di traumi irrisolti e incompiutezza, è, invece, affrontato con scherzoso distacco da Zacharie che, ormai avanti con l’età, rimette in fila con lucidità i tasselli di un percorso lungo e dissestato che hanno portato allo sprigionarsi della sua vera essenza.
Il misticismo come chiave di volta
Oltre al clima sessantottino parigino, vissuto con immatura irrequietezza e forse scarsa consapevolezza, è l’arrivo di Luca, un maestro di eccezione, a porre i presupposti per una svolta esistenziale nella vita di Zacharie. Questa figura profetica e quasi messianica introduce il protagonista al misticismo e al suo fondamentale valore all’interno della spiritualità religiosa.
Luca è la guida che accompagna il protagonista nel viaggio verso il definitivo superamento di sé, delle sue ossessioni, delle costrizioni sociali e culturali di cui è soggetto, ma che, dopo avergli indicato la direzione, lascia Zacharie alle prese con una vita piena di tentazioni e scelte difficili da prendere in vista di un commuovente e onirico ricongiungimento finale, emblema e apoteosi dell’avvenuta catarsi. L’iniziale entusiasmo per l’atteggiamento spirituale mistico viene introiettato e vissuto con piena consapevolezza solo tramite un lungo viaggio attraverso la propria scoperta.
Le maschere e lo svelamento
La vita di Zacharie fra l’infanzia e il momento in cui “parla” al lettore rappresenta un coagulo dinamico e sorprendente di tentativi. Egli abbandona la famiglia in nome di una guerra religiosa, per la volontà di sentirsi partecipe attivamente a ciò in cui pensa di credere. Poi lascia il campo di battaglia e si muove nelle retrovie di guerra in qualità di agente segreto, ormai infurbito e avvezzo alla diplomazia di facciata.
Talvolta risulta essere quasi passivo davanti all’incredibile avvicendarsi di situazioni surreali in cui cerca di riadattarsi, ritrovandosi a indossare quelle che lui stesso definisce “maschere”. Solo un, come al solito, fortuito e obbligato trasferimento a Madrid lo mettono finalmente nelle condizioni di affrontare il sé più recondito che, nascosto dalle maschere, riemerge con grande consapevolezza trasformando colui che ha sempre recitato in un vero attore da palcoscenico, capace di interpretare ogni propria diversità.
Una parabola, dunque, altalenante, ma, per questo, più vera, per quanto certamente estrema, che segue gli avvenimenti storici di mezzo secolo per culminare in una liberatoria trasformazione e accettazione della propria umana fallibilità. Uno svelamento che passa attraverso sbagli e correzioni, oltre che a momenti di forte intensità che tramutano l’animo del personaggio in vista di una sua sublimazione stavolta realmente mistica.
Bianca De Peppo Cocco
(www.bottegascriptamanent.it, anno XVII, n. 192, settembre 2023) |