Com’è noto, il 25 luglio 1844, nove persone, tra cui gli ufficiali disertori della marina austriaca Attilio ed Emilio Bandiera, vennero fucilate nel vallone di Rovito, a pochi passi da Cosenza. Si trattò del tragico epilogo di una spedizione compiuta da giovani patrioti che, nel mese precedente, partendo dall’isola di Corfù, erano approdati nella terra calabrese.
L’obiettivo di quell’azione era accendere una miccia antiborbonica e dare il via a un’insurrezione capace di estendersi al punto da modificare totalmente l’aspetto socio-politico che contrassegnava la penisola italiana.
Il momento era percepito come propizio poiché la città dei Bruzi era scossa da una serie di azioni che avevano avuto un forte clamore non solo a livello locale. Infatti, una rivolta scoppiata nel mese di marzo era stata il culmine delle azioni liberali e patriottiche.
Pertanto, alla luce di questi avvenimenti, il gruppo di esuli si prospettava un coinvolgimento popolare tale da portarli a concretizzare quegli intenti unitari che muovevano le loro azioni. Così non fu. Le valutazioni erano inesatte: della sommossa non ne era rimasto niente e la risposta delle persone del posto fu pressoché nulla.
A discuterne in dettaglio, accanto ad altri numerosi aspetti atti a delineare al meglio le figure dei due patrioti italiani, è Luigi Tuoto nel volume I fratelli Bandiera. Racconto documentato. Così come si svolsero i fatti (Luigi Pellegrini editore, pp. 552, € 20,00).
Le vicende, che l’autore scandisce con tono scientifico, facendo sì che ogni considerazione possa reggersi su diverse documentazioni, formano quel «teatro storiografico realista» descritto da Antonello Savaglio nella Presentazione del testo in cui sono fondamentali le atmosfere entro le quali si concretizzarono le vicende dei fratelli veneziani.
La trasformazione del loro pensiero nella Venezia ottocentesca
Per contestualizzare nel migliore dei modi gli avvenimenti descritti nel libro, Tuoto evidenzia in primo luogo le condizioni socio-politiche della Venezia ottocentesca.
Per farlo, è risultato inevitabile mostrare come l’eco della Rivoluzione francese e la decapitazione di Luigi XVI avvenuta nel 1793 spinsero molti Stati a unirsi in modo tale da sopprimere i venti rivoluzionari. La replica alla coalizione fu vigorosa. Infatti, ne conseguì anche la campagna italiana condotta dall’allora ventisettenne Napoleone Bonaparte. In seguito a varie vicende si giunse alla conclusione dell’indipendenza della Serenissima nel 1797.
Ancora, in seguito, col congresso di Vienna del 1815, Venezia passò al Regno Lombardo-Veneto, tornando sotto la sfera di dominazione austriaca. Inquadrare le vicende di Attilio ed Emilio Bandiera – nati, rispettivamente, a Spalato nel 1810 e a Venezia nel 1819 – in un contesto più ampio, aiuta a comprendere a fondo cosa li spinse a prendere quelle decisioni che segnarono in maniera irreversibile le loro esistenze.
Di sicuro, Tuoto mostra la possibilità che i due fratelli ebbero di vivere in condizioni agiate, in una città, «senza particolari problemi e senza impegnativi assilli politici o fremiti patriottici».
Loro padre era il barone e ammiraglio Francesco Giulio Bandiera; sia Attilio che Emilio divennero ufficiali della Marina da guerra austriaca, la forza navale dell’impero austro-ungarico. Indirizzati a una rilevante carriera militare, il loro destino mutò in modo repentino.
Inevitabilmente, su questi aspetti Tuoto insiste molto, mostrando come quel grado di coscienza più alto che raggiunsero progressivamente mutò il loro pensiero al punto tale che i loro convincimenti finirono per cozzare con la divisa austriaca, ormai sentita come un peso da cui liberarsi.
In particolare, soffermandosi su Attilio Bandiera, Tuoto mette in risalto un anno decisivo nel quale avvenne questo suo mutamento, il 1831. La vista di alcune persone disposte a morire per non tradire la loro causa portò a condizionare la sua esistenza in maniera drammatica. Infatti da lì in avanti l’animo da patriota, che andò lentamente a formarsi, e le regole militari sancite dal giuramento di fedeltà all’Austria si scontrarono sempre più nelle azioni quotidiane al punto che il suo credo, ormai ben delineato, non poté più essere velato.
L’Esperia: una società segreta che mirava all’unità d’Italia
Nel 1840 Attilio ed Emilio Bandiera fondarono una società segreta, chiamata Esperia, il nome con cui in antichità i Greci solevano riferirsi alla penisola italiana. Lo scopo principale era quello di cospirare in chiave antiaustriaca. Ogni azione rivoluzionaria avrebbe dovuto avere un fine ultimo: l’unità e l’indipendenza dell’Italia.
Tuoto sottolinea come tra gli aspetti fondanti della società vi fosse l’obiettivo di creare una repubblica. Per farlo, si sarebbe potuti passare da una fase primaria di transizione, magari accettando anche l’idea di un regno guidato da un sovrano con poteri pur sempre limitati.
Si trattava di una possibilità da non escludere poiché gli altri stati monarchici europei, che rappresentavano le maggiori potenze dell’epoca, si sarebbero potuti opporre alla creazione di un nuovo stato repubblicano.
Di sicuro, il raggiungimento dell’unità nazionale era lo scopo principale dell’Esperia, mentre la forma attraverso cui realizzare questo intento era secondaria. L’affiliazione alla società era scrupolosa. La prudenza regnava su ogni sfaccettatura poiché il timore di «facili ricatti» era sempre dietro l’angolo.
Quanto occorre mettere in risalto è la fiducia smisurata che veniva riposta nell’azione spontanea del popolo. Fu una convinzione che, come messo in risalto in apertura, costò cara in seguito, quando si optò per lo sbarco in Calabria.
Lo stretto legame col pensiero mazziniano
Di sicuro, anche soltanto da quanto osservato fino a questo momento, si nota come i principi politici professati dai fratelli Bandiera e dall’Esperia combaciassero con quelli di Giuseppe Mazzini. Di più: nel testo che si sta presentando è sottolineato a più riprese come proprio le idee mazziniane furono decisive per l’attività politica in ottica repubblicana che regolava le azioni e i pensieri dei due giovani.
In merito, risulta importante riportare uno stralcio emblematico del libro in cui Tuoto afferma che: «L’Esperia dei fratelli Bandiera e la Giovine Italia di Mazzini, rappresentavano in quel momento due importanti e innovative organizzazioni politiche, due modi simili di intendere lo stesso problema in chiave cospirativa, che in pratica, avrebbero dovuto sostituire, in tutto e per tutto, i metodi fin lì utilizzati dalla vecchia Carboneria».
Del resto, ad avvalorare quanto affermato basta riportare che Mazzini apprezzò le idee degli esperidi al punto che ne divenne capo supremo. Così, Attilio ed Emilio Bandiera, insieme a Domenico Moro, anche lui processato e giustiziato nel vallone di Rovito, entrarono a far parte della Giovine Italia. Lo statuto prevedeva questa possibilità qualora gli appartenenti ad altre società mostrassero gli stessi obiettivi.
Anche per questo motivo, i fratelli Bandiera accrebbero sempre più i loro rapporti epistolari con vari patrioti che operavano nei luoghi più disparati, da Malta, passando per Parigi e Londra.
La vita da esuli e i drammi umani che causarono le loro scelte
Nonostante la prudenza, nell’autunno del 1843 Tito Vespasiano Micciarelli tradì l’Esperia. Agli affiliati non era concesso sapere tutti i nomi degli appartenenti alla società segreta. Pertanto, poterono essere riferiti soltanto i nomi dei cospiratori: i fratelli Bandiera.
Dopo questa denuncia la polizia austriaca avrebbe potuto agire arrestando i due consanguinei. Pertanto, ne conseguì una serie di azioni che portarono prima Attilio e poi anche Emilio a Corfù, luogo in cui si trovavano molti altri esuli, perlopiù affiliati alla Giovine Italia, che li accolsero come veri e propri fratelli.
A mettere in risalto i drammi umani che segnarono le due figure in quel preciso frangente sono le lettere che Tuoto non manca di riportare e commentare in modo dettagliato nel testo.
Proprio in quel momento risultarono chiare le possibilità di perdono tentate dal governo austriaco soprattutto tramite la madre dei due fratelli, Anna Maria Marsich. Dalle ricostruzioni accurate delle vicende ne emerge con più vigore la voglia di abbracciare totalmente, con una forza di volontà invidiabile, la causa italiana.
Scrive Tuoto in merito: «Niente era più importante, neanche la famiglia. Il sogno dei fratelli Bandiera di vivere in una Patria libera, unita e indipendente, era continuamente alimentato dal loro grande amore per essa. Amore e passione, sentimenti profusi liberamente per una vicenda vissuta fra enormi difficoltà e con grandi tribolazioni».
Cosenza: il luogo adatto per realizzare il sogno di una patria libera, unita e indipendente
Nel periodo in cui si svolsero le vicende che segnarono le esistenze dei fratelli Bandiera, Cosenza, provincia della Calabria Citra, apparteneva al Regno delle due Sicilie.
In merito, anche in questo caso, Tuoto include nel suo testo pagine inerenti alle dinamiche socio-politiche che coinvolsero non solo la Calabria, ma tutto il Meridione tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Optare per una scelta siffatta significa offrire diversi pungoli ai lettori atti ad approfondire ampiamente l’ambiente entro cui agirono i due patrioti.
Così, per esempio, l’autore si sofferma sul sogno repubblicano partenopeo del 1799, che durò soltanto cinque mesi e su tutta la serie di rilevanti avvenimenti strettamente correlati che segnarono i primi anni dell’Ottocento nel Sud della Penisola.
Nel volume non mancano nemmeno le analisi inerenti alle azioni carbonare e, ovviamente, al moto cosentino del 15 marzo 1844. Ne evince come «Cosenza, Reggio Calabria, Messina e altre città calabresi e siciliane rappresentavano i maggiori centri, in cui i movimenti di liberazione d’ispirazione mazziniana erano molto dinamici e organizzati».
Da qui, i lettori possono comprendere più a fondo i motivi che portarono i fratelli Bandiera a pensare con sempre più interesse a un progetto alternativo non appena i fondi necessari per finanziare l’intenzione di partire alla volta della Maremma furono insufficienti.
La scelta ricadde sulla Calabria. L’intento era quello di dare seguito proprio a quelle numerose notizie riguardanti gli insorti cosentini che si erano rifugiati sulle montagne.
A ben vedere, di questo non c’era la minima certezza, ma la convinzione era che gli esuli, una volta sbarcati nei pressi della foce del fiume Neto, seguendone il corso a ritroso, avrebbero potuto congiungersi a quelle persone e dare voce concreta alle loro intenzioni.
Sul tema Tuoto chiarisce come non tutto il gruppo era d’accordo. Le difficoltà di un’azione siffatta erano numerose. Sopra ogni altra cosa erano pochi sia gli uomini, sia i mezzi per realizzare quei loro propositi. Eppure, l’11 giugno «tutti i membri del gruppo si avviarono verso il luogo convenuto, pronti a imbarcarsi sul trabaccolo San Spiridione di Mauro Caputi».
Ritrovarsi in un contesto agli antipodi e perire nell’indifferenza
Dal momento dello sbarco fino al triste epilogo delle vicende che videro coinvolti i membri del gruppo partito da Corfù, Tuoto fa ampio riferimento al Memoriale di Marsiglia. Non potrebbe essere altrimenti, poiché si tratta di un resoconto rilasciato da una delle otto persone che riuscirono a scampare all’esecuzione capitale del 25 luglio. Inoltre, a questa esposizione, in un secondo momento, Giovanni Manessi, un altro esule di Corfù che apparteneva agli otto graziati, aggiunse numerosi altri aspetti.
Così, dai resoconti, dalle missive e dai vari documenti, alcuni dei quali riportati da Tuoto interamente nella ricca Appendice che chiude il volume, si comprende come le ventuno persone che si misero in marcia in direzione della Sila per incontrare al più presto altri patrioti avevano un unico obiettivo: scuotere le coscienze e intraprendere subitaneamente la via della rivoluzione.
Del resto, è quanto si legge apertamente nei due proclami che recano le firme dei Fratelli Bandiera e di Nicola Ricciotti. Eppure, sebbene la meta rimase sempre Cosenza, ben presto si capì che in quei luoghi non c’era nessuna voglia manifesta di insorgere. Gli esuli si trovarono «circondati dalla totale indifferenza», immersi in una condizione di isolamento.
La cattura, il processo e la morte
Tuoto mostra in modo evidente come gli aspetti dati per scontati furono completamente disattesi. Il popolo che abitava le campagne «sapeva poco di politica e molto di fatica per la sopravvivenza».
Così, l’autore si pone una domanda che riassume il fallimento dei propositi che mossero gli esuli da Corfù in Calabria: «Come poteva un intero popolo, condizionato per la maggior parte dall’ignoranza e dalla miseria, partecipare a quell’impresa senza averne avuto il tempo di comprenderne l’importanza, convincersene e valutarne la fattibilità?».
Inevitabilmente, nel volume vengono spiegati in dettaglio tutti i motivi della cattura. Così, si passa in rassegna lo sconto a fuoco di Petralonga, la sosta nel Lacòni e l’assalto da parte della guardia urbana nei pressi di San Giovanni in Fiore. È lì che il gruppo dovette difendersi da un attacco massiccio registrando una disfatta clamorosa. Infatti, gran parte di esso venne catturato e sul campo morirono Giuseppe Miller e Francesco Tesei.
Nell’accuratezza dei contenuti del libro di Tuoto non mancano diversi riferimenti all’operato di Giuseppe Meluso, unico calabrese del gruppo e guida dei fratelli Bandiera, oltre che la disamina dei vari momenti susseguenti all’arresto, fino ad arrivare, ovviamente, al funesto epilogo nel vallone di Rovito e all’enorme clamore che suscitò quell’avvenimento.
Nel complesso, il libro risulta essere uno strumento fondamentale per conservare nel migliore dei modi possibili la memoria di quei patrioti e comprendere con più acutezza i motivi che spinsero i fratelli Bandiera a morire per il sogno di vedere l’Italia finalmente unita.
Mario Saccomanno
(direfarescrivere, anno XVIII, n. 203, dicembre 2022)
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