Il mondo negli ultimi decenni è cambiato in maniera radicale, specialmente quando lo si pensa in termini digitali. All’inizio della sua espansione, erano in molti a considerare l’universo digitale come un qualcosa di lontano e totalmente estraneo a quello culturale, specialmente quello più elevato.
Negli ultimi anni, però, si è fatta strada una nuova idea di sapienza, in grado di raggiungere sempre più persone attraverso il mondo telematico e non solo. Una barriera, quella presente tra cultura e digitalizzazione, che sembra dover cadere inevitabilmente innanzi alle molteplici opportunità che il secondo soggetto della presente critica può offrire al primo.
Di tutto questo, e molto altro, ci parla Maria Elena Colombo, laureata in Conservazione dei beni culturali con un master in Museologia, museografia e gestione dei beni culturali. All’interno della sua opera Musei e cultura digitale. Fra narrativa, pratiche e testimonianze (Editrice Bibliografica, pp. 240, € 23,00) affronta, infatti, con appigli culturali, filosofici ed etici, un argomento molto spesso dibattuto e considerato controverso a causa delle sue illimitate sfaccettature.
Un incontro tra mondi distanti
All’inizio di questa era digitale, non sono stati pochi coloro che serbavano grosse riserve sull’utilizzo delle nuove tecnologie per ampliare i paradigmi culturali, sia nel campo sociale che in quello puramente accademico. I problemi ci sono, naturalmente, come ricorda all’interno della propria Premessa l’economista Pier Luigi Sacco, ma bisogna ricordare che occorre «affrontare le tematiche connesse al digitale nella sfera culturale, nella loro ramificazione sempre più complessa, con mente aperta, con curiosità, e soprattutto con una gran voglia di documentarsi e fare riferimento alla riflessione e alla ricerca recente, che è ovviamente in piena fioritura e offre spunti ricchissimi a chi vuole provare a capire meglio».
Un terreno incolto che si apre alla sperimentazione, dunque, e che ha bisogno di essere analizzato nei dettagli, sia nei pregi che nei difetti, per permettere alla cultura di servirsi al meglio degli strumenti, quelli digitali e tecnologici, che possono diventare davvero proficui in più di un’occasione. L’utilizzo corretto delle varie prospettive e dei vari mezzi deve essere il nuovo modo di approcciarsi a una questione che risulta ancora oggi spinosa. La tecnica, dal greco τέχνη, infatti, è il “saper fare”, ma anche un’“arte” ed è stata data agli uomini dagli dèi per sopperire alle proprie mancanze.
La ricerca di legami
Il dubbio come metodo di ricerca, dunque, che aiuta a porsi nuove domande laddove si percepiscono limiti. Il dubbio per superare quegli stessi limiti che paiono invalicabili, ma che meritano risposte adeguate. Proprio per questo motivo l’autrice ha deciso di approfondire un argomento che, troppo spesso, è rimasto in superficialità all’interno dei vari dibattiti culturali, nella intimità del settore museale e non solo.
La nascita della rubrica Musei e digitale per Artribune è stato il primo tassello che ha portato Colombo all’interno di una questione di ampio respiro. La controversia, infatti, risulta assai importante: il mondo del digitale ha aperto la cultura al pubblico in maniera vera, alternativa e diversa rispetto alla sua fisicità concretamente presente tra le pareti dei musei di tutto il globo. La realtà digitale, infatti, risulta autentica e provoca delle conseguenze tangibili anche nell’universo accademico, il quale non può far finta di non vedere un legame all’apparenza superficiale, ma sempre più profondo e bisognoso di risposte adeguate.
Una pacifica ostilità
Quello che tiene a sottolineare sin dalle prime pagine Colombo è che spesso all’interno dell’ambito culturale mancano i termini opportuni per approcciarsi a un nuovo modo di fare formazione. Sovente, infatti, chi ha gli strumenti adeguati in mano non ha peso accademico e viceversa, lasciando che si ci approcci in maniera assai arcaica al mondo del digitale. Come afferma l’autrice, infatti, manca «una riflessione critica e sistematica sul tema» in grado di allacciare un legame tra l’universo del digitale e quello della sapienza.
L’esperienza all’interno del museo, si legge ancora, non vede la propria origine e il proprio termine all’interno dei limiti della sola visita fisica. Il fruitore, infatti, inizia a informarsi molto prima su ciò che andrà a vedere durante una mostra ed è proprio quello il punto di partenza sancito all’interno dei confini culturali. Il museo, dunque, non deve apparire come “altro” rispetto al visitatore che lo percorre. Proprio per questo motivo non si deve avere il timore di diffondere le immagini in maniera digitale come se queste ultime potessero togliere effettivi visitatori all’incontro fisico con l’opera rappresentata.
Un modo di pensare che si deve sconnettere dai rigurgiti della diffidenza passata e che deve anzi provare ad allacciare nuovi legami con quello che, inutilmente, è stato percepito per troppo tempo come un nemico: il digitale.
Meravigliarsi innanzi al divenire
Quando si parla del mondo digitale, non si può non storcere il naso innanzi a una visione quasi arida dello stesso. Quest’ultimo, infatti, viene sovente rappresentato come alienante e generatore di esperienze momentanee, di poco valore e di dubbio gusto. Colombo, infatti, sottolinea come spesso all’interno del panorama culturale italiano ci sia ancora una forte resistenza verso un universo colmo di difetti, ma ricco di opportunità.
Da sempre, però, le novità tecnologiche sono state accolte con non poco terrore. La paura dell’ignoto, la caducità del tempo, il terrore di non essere all’altezza dei nuovi parametri strumentali e tecnici, infatti, ha spesso impietrito anche chi si è fatto portavoce dell’avanguardia culturale.
La resistenza al “nuovo”, invero, appartiene alla sfera emotiva umana che, in qualche modo, ha paura di abbandonare la comfort zone credendo di non essere all’altezza delle nuove frontiere raggiunte. L’arte, però, come sempre, è un riflesso della società in cui elabora e, allo stesso tempo, compie un lavoro di divinazione mostrando al volgo quanto avverrà di seguito. Di fronte a ciò, dunque, non può esservi un’angoscia irrazionale che divida in maniera sistematica l’arte dalla cultura del digitale.
Tutto ciò è evidente anche nel modo in cui l’Italia abbia aperto il mondo dell’accademia all’universo tecnologico. Non essendovi stata alcuna riflessione adeguata a riguardo, essa è avvenuta senza prima la creazione, e dunque l’applicazione, di forme regolamentari che potessero essere valide per i diversi contesti artistici e non. Da qui le domande a fini etici e deontologici si fanno sempre più forti e impellenti, segno di un maggiore riguardo anche sotto questo punto di vista all’interno del rapporto tra digitale e mondo culturale. I giornalisti, per esempio, sono tenuti ad avere un comportamento degno e consono anche all’interno dei propri profili social, segno evidente che il digitale sia ormai una realtà parallela di cui tenere conto in ogni ambiente. Il digitale, dunque, non è un nemico, non è un corpo estraneo, ma è ormai un’estensione della realtà concreta in cui siamo soliti vivere e muoverci.
L’arte come collegamento alla socialità
All’interno di questo libro non mancano i riferimenti a vicende realmente accadute, a opere letterarie e a circostanze in grado di segnare il legame continuo e costante tra arte e digitale. Un esempio può essere il fatto che, nel momento del riconoscimento dei diritti delle coppie Lgbt nel 2015, negli Usa, i musei di tale Paese abbiano rivestito i propri profili social con i colori della bandiera arcobaleno in segno di apprezzamento per tale passo avanti all’interno della propria comunità. Tali situazioni, infatti, sono la prova tangibile che oramai il mondo della cultura non possa in alcun modo negare il proprio legame con il digitale.
Restano tanti i punti interrogativi all’interno di un dibattito che, sottolinea più volte Colombo, non è stato affinato abbastanza e con la giusta attenzione. Primo fra tutti come far approcciare al mondo digitale le fasce più fragili della nostra società, quelle dei bambini e degli adolescenti. Gli strumenti emotivi nelle loro mani, infatti, non risultano adeguati ad approcciarsi in maniera critica a un universo così vasto e ricco di pericoli come quello tecnologico. Fattore che si lega, inevitabilmente, all’ambito culturale, dove, a dover avere tali strumenti emotivi e tecnici dovrebbero essere gli adulti anche se spesso ciò non accade.
Un testo, dunque, che analizza il mondo digitale e il suo rapporto con il reparto accademico sotto vari punti di vista e che merita una lettura approfondita per poter scorgere domande non ancora poste, ma degne di essere sviscerate. Un testo volto a fare il punto della situazione e che non vuole affatto essere un punto di arrivo, bensì di partenza per questo tipo di dibattito.
Rosita Mazzei
(direfarescrivere, anno XVIII, n. 200, settembre 2022)
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