Le rivoluzioni partono spesso dal basso, da quello stesso popolo che è stanco di dover abbassare la testa, mentre i propri diritti vengono brutalmente calpestati. Sembra impossibile eppure, nel 2021, nella civilissima Europa vi è ancora un dittatore che non ha alcuna intenzione di cedere innanzi alla voglia di libertà del proprio paese, ormai sfinito dal dover sentirsi da meno rispetto a tutti i propri vicini territoriali e non. Aleksandr Lukašenko, infatti, non solo è ancora al potere dopo le ultime elezioni falsate, ma sembrerebbe aver perso completamente la bussola della decenza.
Mentre tale articolo viene elaborato, infatti, è notizia assai fresca che, durante i giochi olimpici di Tokyo 2020, l’atleta Krystsina Tsimanouskaya sia stata costretta ad accettare un visto umanitario dalla Polonia dopo aver rischiato di essere rimpatriata forzatamente nel proprio paese. Non molto prima, inoltre, un volo Ryanair è stato fatto dirottare verso Minsk per poter arrestare il dissidente politico Roman Protasevich.
Stiamo parlando, dunque, della Belarus che, come afferma nella propria Nota metodologica Ekaterina Ziuziuk, è il nome ufficiale del paese dal 1991, mentre il termine italiano Bielorussia richiama fin troppo l’ormai defunta Unione Sovietica. Per solidarietà verso questa meravigliosa terra, dunque, definiremo tale stato con il nome che gli è proprio. Se c’è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi anni, infatti, è la potenza delle parole e attraverso di esse è possibile modificare la mentalità di una comunità e innalzarla verso l’inclusività e la considerazione verso l’altro, diverso da noi, ma pur sempre simile.
A inoltrarci in una situazione così delicata e spinosa ci pensa il testo Le donne di Minsk. La rivolta pacifica per la democrazia in Bielorussia (Infinito edizioni, pp. 112, € 14,00), scritto a quattro mani da Laura Boldrini e Lia Quartapelle e con numerosi interventi di notevole importanza.
Una nuova e attesa rivoluzione
Partiamo dai fatti. Durante le elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 viene rieletto per la sesta volta a capo del governo Lukašenko, al potere del paese dal 1994. Le proteste, però, erano iniziate già a maggio dello stesso anno, sia a causa della mancata protezione dei cittadini dal pericolo della pandemia, sia a causa dei numerosi arresti avvenuti ai danni degli oppositori politici. La corruzione, le intimidazioni e la campagna elettorale volta a eliminare con qualsiasi mezzo gli avversari hanno fatto il resto.
Nel testo, inoltre, si comprende perfettamente la gravità della situazione, infatti «le ragazze di Minsk che tanto avevano entusiasmato i fotografi oggi sono in carcere – ogni giorno, i tribunali del regime dispensano condanne a due, quattro, sei anni di prigione a semplici attivisti e manifestanti, e i detenuti politici si contano ormai a migliaia – oppure sono scappate dal loro Paese, per paura di venire incarcerate, picchiate, stuprate». Queste le parole della giornalista Anna Zafesova all’interno della Prefazione del testo.
Una condizione invivibile e che calpesta qualsiasi forma di diritti umani di cui, però, non si parla abbastanza. Inutile negare come la sopravvivenza del dittatore sia legata inscindibilmente dall’aiuto offerto da un altro oppressore, Vladimir Putin, anche se ormai le follie del primo stanno infastidendo il secondo.
Come non nominare allora il ruolo fondamentale di Svetlana Tikhanovskaya che, dopo l’arresto del marito Sjarhej Cichanoŭskij per motivi politici, si è candidata ella stessa alle presidenziali del proprio paese per poi ripiegare in Lituania per paura di essere arrestata anche lei. Da quel momento, però, l’attivista in questione è diventata uno dei simboli della protesta contro il regime e un’immancabile lottatrice per la conquista della libertà tanto agognata dai suoi connazionali.
L’importanza della storia
In Italia abbiamo davvero poca conoscenza della Belarus che, troppo spesso, tendiamo ad associare alla Russia senza darle la giusta importanza storica e culturale che, invece, meriterebbe ampiamente. Giulia Lami, docente di Storia dell’Europa orientale presso l’Università degli studi di Milano, cerca di colmare questa ignoranza attraverso un paragrafo che ripercorre la storia di un paese che dovrebbe essere studiato molto di più.
Dopo l’analisi delle vicende che dal Medioevo hanno contribuito a realizzare lo stato che conosciamo oggi, Lami non può far a meno di arrivare al culmine di tale processo che ha portato al potere il dittatore di cui stiamo trattando. Durante il Novecento, infatti, la Belarus divenne lo stato satellite più russificato e sovietizzato anche grazie alla forza del suo partito comunista. La crisi economica non permise un’immediata impostazione delle risorse democratiche e, alla fine dell’Urss, furono in molti a rimpiangere il vecchio regime a causa della situazione certamente non idilliaca. In tale contesto si affermò Lukašenko durante le elezione del 1994.
Ex militare e comunista, egli ebbe la capacità di presentarsi al popolo come l’uomo “nuovo” di cui la popolazione necessitava con la vana promessa di traghettare il paese verso la modernità e la liberalizzazione, cosa mai avvenuta, ovviamente.
In tutto questo, nell’arco di quasi un trentennio, l’uomo “forte” di mussoliniana memoria che si fonde in maniera tragica a una visione distorta del comunismo, ha imprigionato, ucciso, torturato, represso ed esiliato una quantità di attivisti e oppositori degni delle peggiori dittature di inizio Novecento. Il popolo, però, ha deciso di dire basta.
La manifestazione dei tempi che verranno
Il testo prosegue con un’interessante intervista di Riccardo Noury a Lia Quartapelle e Laura Boldrini che, durante l’estate 2020, sono state tra le prime a denunciare la situazione tragica della Belarus abbandonata, ancora una volta, nelle mani di un megalomane che, incapace di lasciare un potere ormai inesistente e anacronistico, aveva messo in atto una serie di repressioni crudelissime nei confronti dei propri avversari politici.
Boldrini, in particolare, sostiene che, inizialmente, Lukašenko non diede molta importanza alla candidatura di Tikhanovskaya in quanto donna. Il dittatore, infatti, è naturalmente misogino e considera le donne solo per la loro bellezza, credendole incapaci di qualsiasi funzione sociale e politica che considera propri solo del genere maschile. Appunto questa sua versione distorta ha permesso alla sua avversaria di raggiungere 435.000 firme necessarie alla propria candidatura. Ritenendo qualsiasi donna indegna di ricoprire un ruolo così importante, ha lasciato la sua avversaria continuare nel proprio cammino credendo di poterla distruggere facilmente durante i seggi e, allo stesso tempo, pensando di dare una visione democratica di sé e del paese all’estero. Inutile dire quanto abbia sbagliato i propri calcoli.
Ma ciò non avviene solo in Belarus. Infatti «la componente femminile è fondamentale, ma come spesso avviene nei media italiani, quando sono le donne a essere protagoniste quest’importanza non viene riconosciuta né restituita. Questo avviene a mio giudizio perché, purtroppo, nelle redazioni a comandare sono quasi sempre uomini ancora impastati di pregiudizi che impediscono loro di vedere la forza delle donne e i loro successi».
Inutile dire come le donne scese in piazza per i propri diritti e per la libertà del proprio popolo siano state spesso rappresentate e interiorizzate come belle donne da sfilata. Questa forma di sottovalutazione, però, non ha fermato una protesta che dura tuttora e che cerca di trainare verso la libertà un intero stato.
Si potrebbe dire, dunque, che le proteste e le lotte femminili siano state in grado di raggiungere livelli superiori proprio perché sottostimate, mentre la controparte maschile del movimento ribelle veniva repressa col carcere e col sangue in maniera sistematica.
I continui tentativi di repressione
Le violenze e le intimidazioni, però, non hanno cessato di esistere. In questa calda estate 2021, infatti, è stato trovato morto a Kiev Vitaly Shishov, responsabile della Casa bielorussa in Ucraina. Questa organizzazione no-profit, infatti, si occupa di dare sostegno ai rifugiati politici della Belarus. L’uomo aveva denunciato di venir seguito durante le sue corse per poi essere ritrovato impiccato nel parco della città vicino alla propria dimora.
La prima parte del testo, dunque, è un dialogo attivo con le deputate per poter comprendere al meglio una situazione di cui fin troppo spesso se ne tracciano in maniera superficiale i confini.
«Il candidato alla presidenza Viktor Babaryko è stato arrestato a Minsk mentre si recava, insieme al figlio Eduard, a consegnare al Comitato elettorale, l’ente che gestisce le elezioni in Bielorussia, le 426mila firme verificate raccolte a sostegno della propria candidatura. Un fatto apparentemente poco clamoroso, almeno nel contesto bielorusso, ha fatto scattare in me “il richiamo dell’attivista”: dovevo fare qualcosa, ma non sapevo che cosa e come».
Così apre la propria disamina Ekaterina Ziuziuk portavoce dell’Associazione Bielorussi in Italia “Supolka” e presidente di Articolo21 Trentino-Alto Adige. Quell’arresto fece comprendere immediatamente che le elezioni in Belarus non sarebbero state affatto democratiche come tanto si auspicava. Non era sicuramente la prima volta che le elezioni in tale paese si svolgevano alla luce di irregolarità, pressioni e minacce, ma questa volta il popolo ha deciso di reagire in maniera evidente. L’Associazione bielorussi in Italia “Supolka” ha visto la propria nascita il 22 giugno 2020 per sostenere il movimento popolare per la democrazia in Belarus e mettere sotto i riflettori una situazione pesantissima e a cui troppo spesso i media danno poca importanza.
La quantità di arresti e condanne nel paese ha raggiunto livelli inimmaginabili. Le accuse contro gli attivisti sono false, come lo sono i testimoni dai volti coperti chiamati a giustificare un’insensata repressione politica e sociale. Gli arresti sono del tutto arbitrari e la polizia è diventata violenta come non mai. Persino le case dei privati cittadini non sono più un luogo sicuro date le continue irruzioni nelle abitazioni civili.
Repressione dei media e lotta clandestina
Il numero delle testate giornalistiche chiuse è davvero molto alto. Un esempio è ciò che è accaduto il 18 maggio 2021. Le forze dell’ordine, infatti, sono arrivate negli uffici della storica testata indipendente tut.by, per poi dirigersi a casa della caporedattrice Maryna Zolatava. Quindici persone sono state quindi arrestate con la scusa di evasione fiscale, metodo molto utilizzato nel paese per reprimere i dissidenti.
Inoltre, ormai da tempo i siti internet dei media indipendenti vengono oscurati per reprimere ancora di più la libertà di stampa ormai del tutto inesistente. «Secondo i dati della Belarusian Association of Journalists (Baj), nel corso del 2020 sono stati 477 gli arresti ai danni di giornalisti, molto spesso con l’uso di violenza dalla parte delle forze dell’ordine, come per esempio nel caso di Anton Trofimovich, cronista di Radio Svaboda aggredito da sette agenti il 15 luglio 2020 mentre faceva un reportage».
Leggere tutto ciò è semplicemente agghiacciante. Intanto il numero degli arresti e delle torture contro gli addetti stampa aumenta per cercare di reprimere una rivolta che è ormai prossima all’esplosione della giusta e sentita umana rabbia.
Ecco perché è così importante continuare a parlare di una rivoluzione che, nonostante le dure coercizioni, si sta facendo avanti grazie allo sforzo comune di ogni compagine di un popolo che merita di autodeterminarsi. Il compito di chi, come noi, ha la fortuna di vivere in un luogo in cui la libertà di stampa e di opposizione è garantita è quello di dare voce a chi una voce non ha.
Libri come quello proposto sono indispensabili per dare una visione chiara su una vicenda che altrimenti passerebbe quasi inosservata perché lontana dal nostro sentire. La libertà di un popolo è sacra e compito dell’umanità è aiutare i propri simili con ogni mezzo per poter garantire quei diritti fondamentali che in troppi hanno il vizio di calpestare impunemente.
Rosita Mazzei
(direfarescrivere, anno XVII, n. 189, ottobre 2021)
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