Nel corso dei secoli il pane ha avuto un ruolo fondamentale nella vita dell’umanità, decretandone letteralmente la vita o la morte a seconda della sua presenza o assenza. Le varie epidemie, poi, si sono intrecciate in maniera indissolubile a questa forma di cibo. Il pane, però, non ha mai solamente rappresentato mero sostentamento.
Papa Innocenzo III, infatti, in occasione del dodicesimo concilio ecumenico, quarto del Laterano, aperto l’11 novembre del 1215, approvò «la “transustanziazione”, cioè la presenza del corpo reale di Cristo nel pane eucaristico, cioè l’ostia».
Di questo, e molto altro, ci parla lo storico Zeffiro Ciuffoletti all’interno del suo libro Il Pane fra Sacro e Umano dal Medioevo cristiano al Novecento (Le Lettere, pp. 204, € 15,00).
Il valore sacro del pane
Nel 1264, papa Urbano IV, con la bolla Transiturus, fece in modo che fosse estesa a tutti i cristiani la festa del “Corpus Domini”. Questa tipologia di solennità riscosse un enorme successo tra i fedeli di tutta Europa. Il pane, dunque, divenne una presenza costante in un continente martoriato dalle continue guerre, carestie ed epidemie. Verso la fine dell’XI secolo, infatti, si diffuse la lebbra che, all’interno del fanatismo religioso, sembrava volesse rappresentare all’esterno i peccati dell’anima impura del malato. Ecco perché i lebbrosi vennero allontanati dalla comunità sociale con il benestare della Chiesa. A subire le conseguenze di tutto ciò furono, purtroppo, le minoranze religiose tra cui ebrei e musulmani che, spesso, vennero arsi vivi.
Nel secolo successivo, la lebbra lasciò il proprio indegno posto alla peste che uccise un terzo della popolazione europea. In questa situazione così tragica la percezione del pane era sempre più oscillante tra chi vedeva in esso il corpo di Cristo e chi no. Il pane, dunque, divenne il centro dell’umanità, sia per la sua rappresentanza religiosa sia per via della fame che divorava gli ultimi della società durante le carestie frequenti.
L’ostia cattolica, al contrario del pane usato nelle funzioni ortodosse, venne fatta con pane non lievitato che, per diventare realmente corpo di Cristo, aveva bisogno di essere consacrata dal prete. Il pane, però, costringeva la società contadina a una dura repressione e ogni rivolta veniva stroncata nel sangue, causando una penuria che permeava tra tutte le classi sociali.
Il pane come profano
Molti iniziarono a dubitare della natura divina del pane anche tra i più colti, come l’umanista Erasmo da Rotterdam. Inoltre, il mondo protestante iniziò a interrogarsi sulla vera natura del pane. Intanto il ciclo infernale, che vedeva l’alternarsi di guerre, fame e carestie, sembrava non voler avere fine. Con la scoperta dell’America, inoltre, ci informa il nostro autore, i reali di Spagna importarono una grande quantità di metalli preziosi in Europa. I ricchi divennero più ricchi, i poveri sempre più poveri e l’inflazione sembrava non volersi fermare. I nuovi capri espiatori divennero le streghe e furono tantissime le donne che furono accusate di essere in combutta con il demonio per poi essere torturate e uccise.
Il sacro e il profano si amalgamarono anche all’interno dell’arte attraverso le varie rappresentazioni del Cenacolo con Cristo che distribuiva il pane, suo stesso corpo, tra i suoi discepoli. Il pane, ancora una volta, esprimeva la vita e la morte, legandosi indissolubilmente alla religione sfociando, spesso, nel superstizione.
In questo periodo, però, nacquero anche numerosi istituti il cui compito era quello di sfamare gli indigenti e curare gli ammalati. La Chiesa riconosceva questi come suoi doveri inalienabili, specialmente durante le numerose carestie. Altrove si adottarono differenti strategie. Lutero, per esempio, condannò l’accattonaggio cercando di distinguere, inutilmente, tra poveri meritevoli e non meritevoli. Vi è da dire che anche nel mondo cattolico molti si ritrovarono a contestare l’eccessiva carità verso determinate categorie per evitare che le malattie proliferassero in maniera sconsiderata, andando contro le idee che fondavano gli ordini dei mendicanti.
Il pane come la politica
Furono in molti i politici e i regnanti che approfittarono della fame perenne del popolo per ingraziarselo tramite l’elargizione di pane. Le continue pestilenze mietevano vittime tra la popolazione che era sempre più sofferente. Ciuffoletti ha il merito di accompagnarci in un excursus storico che ha solide basi, dimostrando la sua capacità non solo narrativa, ma anche argomentativa. Le varie situazioni vengono calate nel proprio contesto e vengono mostrate in tutta la loro interezza e complessità. Nonostante il tema assai complesso e articolato, l’autore è in grado di accompagnare il lettore lungo un saggio meritevole di nota. Anche le fonti citate all’interno di questo testo sono delle più ragguardevoli, uno fra tutti il noto scrittore Alessandro Manzoni, nominato più volte data la sua importante ricerca storica correlata alla altisonante produzione letteraria.
Si viene così trasportati lungo il corso dei secoli in cui il ruolo del pane non viene mai realmente scalfito data la sua importanza in più campi. Alla fine del XVI secolo Milano, Bologna, Parma e non solo furono colpite dalla peste barocca con conseguenze disastrose per la popolazione. Il male, però, non rimase circoscritto all’Italia, ma all’inizio del secolo successivo si propagò anche nel resto d’Europa.
Ben presto vi fu la guerra dei Trent’anni, la ribellione del Portogallo e quella catalana che accompagnarono il XVII secolo insieme alle innumerevoli carestie. Le parole di Ciuffoletti esprimono chiaramente questo concetto: «La guerra non fu che il grande acceleratore della pestilenza, proprio per il transito delle truppe, i saccheggi dei raccolti e delle derrate alimentari, gli spostamenti delle popolazioni rurali verso le città, il peggioramento delle condizioni alimentari e di quelle igieniche».
Il pane nel tempo
Ciuffoletti ci fa notare come ancora nel XVIII secolo il pane rappresentasse circa l’80% delle calorie giornaliere della popolazione, sia nelle zone rurali che in quelle cittadine. Durante le carestie, però, esso non veniva prodotto solo con il grano, ma anche con farine alternative provenienti da ghiande, castagne e persino rape, cosa che portava a evidenti fenomeni di malnutrizione. In ogni caso, in molte zone, ancora una volta i contadini e le zone rurali venivano depredati della loro farina a favore delle popolazioni cittadine.
Il compito di questo saggio, dunque, è mostrare al lettore come non vi sia una carestia, o un’epidemia, peggiore rispetto a un’altra. Tale opera vuole, invece, evidenziare come il ciclo infernale sia sempre in circolo poiché carestie, guerre e pestilenze si alimentano a vicenda. Queste disgrazie hanno da sempre attraversato la storia dell’umanità, percorrendo interi secoli con brevi e fruttuose pause.
Anche il XX secolo ne venne colpito in maniera disastrosa, basti pensare alla Prima guerra mondiale dove agli orrori della belligeranza si sommarono quelli della fame e dell’epidemia di tifo e, in seguito, di spagnola. Il pane, anche qui, recuperò la sua doppia valenza sacra e profana dando sostentamento ai soldati al fronte e, quindi, alla patria.
Un testo impegnato a sviscerare un argomento non sempre al centro delle ricerche storiche, ma che si basa su solidissime basi come attesta il corposo apparato di note messo alla fine dello stesso. Un’inchiesta impegnata che merita una lettura approfondita per comprendere meglio i retaggi del passato e la voglia di vivere dell’umanità.
Rosita Mazzei
(direfarescrivere, anno XVII, n. 186-187, luglio-agosto 2021)
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