Cercare di comprendere nel migliore dei modi quali siano le caratteristiche peculiari della mafia, ricostruirne con lucidità la storia e cercare di chiarire l’influenza esercitata nei nodi storici fondamentali (italiani e non) risulta essere un lavoro davvero complesso. Ancor di più se a un’attenta analisi si lega il bisogno di analizzare la mafia, intesa non solo come associazione criminale, ma come fenomeno ad ampio raggio, a una pronta e imparziale autocritica. Capire il legame che sussiste tra la mafia e la politica, spingersi fino alla delucidazione di tutte i rami tentacolari che presenta tutt’oggi significa andare incontro a enormi buchi neri presenti nella storia fatti di assordanti silenzi che condizionano inevitabilmente ancora oggi la realtà.
Questi elementi appena evidenziati sono solo alcuni dei temi presenti nel volume Mafia e antimafia. Dai personaggi alle persone (Mohicani edizioni, pp. 368, €18,00) di Pippo Di Vita. L’autore manifesta l’urgenza di percorrere ogni traccia, di analizzare fonti di svariata natura, in modo da accrescere il bisogno di coltivare la memoria e diffondere uno spirito collettivo più ampio che si leghi a quello di tutte le persone che nel corso dei decenni hanno avuto il coraggio e la forza di contrastare la mafia.
Il bisogno di comprendere per non dimenticare
Uno dei temi portanti che emergono dalla lettura del testo è il ruolo che l’autore assegna alla memoria. Del resto, fin dalla Prefazione al volume firmata dal giornalista Sandro Provvisionato, è giustamente messo in evidenza proprio il tema della conservazione della memoria. L’attenzione è riposta sul valore sociale che può assumere, su cosa voglia dire davvero ricordare e sull’insegnamento che è possibile trarre dagli avvenimenti storici. Tramite la comprensione degli eventi è possibile tramutare il passato in un avvenimento davvero lontano, in qualcosa che non lascia tracce indelebili che continuano a connaturare inevitabilmente – consciamente e non – il presente.
Il libro in esame, per tutti gli elementi che si passeranno brevemente in rassegna, diventa una testimonianza preziosa, una riflessione oculata di che cosa voglia dire oggi il termine mafia e di cosa comporti lottare contro questo fenomeno, opporsi fino al punto di mettere in discussione ogni certezza e, spesso, fino a sgretolare ogni speranza che si è potuta a fatica costruire. Nel volume, l’autore riflette sulla storia e sul ruolo esercitato nel tempo dalla mafia. Nel farlo, non offre solo un mero resoconto delle vicende accadute, ma ne cerca le cause, ne indica a gran voce alcune dinamiche storiche che hanno spinto gli eventi a delinearsi in un modo piuttosto che un altro. Non mancano le critiche e, si vedrà, in particolare, le autocritiche. Analizzato globalmente, il tema fondamentale che traspare dalle pagine del testo è sicuramente il bisogno impellente di comprendere poiché, come sottolineato giustamente da Provvisionato, «le cose che non si capiscono si dimenticano».
Un fenomeno riconducibile non solo alla Sicilia
Il saggio prende le mosse dall’esigenza di raccontare, di discutere e, in particolare, di riflettere sulla mafia intesa come «fenomeno delittuoso e rovinoso per la Sicilia e l’Italia tutta». Nel soddisfare questo intento è forte l’urgenza che mostra l’autore in tutto il volume di descrivere la «reale natura» della mafia. Con questo modo d’agire Di Vita può giungere a soddisfare il suo proposito che è quello di rinfocolare la memoria delle troppe vittime di mafia.
L’urgenza di scrivere sul tema è alimentata anche dalle vicende vissute in prima persona. Infatti, l’autore ha visto scaraventarsi addosso la violenza mafiosa e colpire Vito Ievolella, il Maresciallo Maggiore dei Carabinieri, padre della fidanzata, che poi sarebbe divenuta sua moglie. È importante chiarire come l’autore stesso tenga a informare in molti punti delle sue riflessioni come le argomentazioni presenti nel testo non hanno come intento quello di formare un resoconto storico sulla mafia, né sentono alcun bisogno di offrire interpretazioni politiche. La ricerca di Di Vita è finalizzata a far notare a gran voce il volto attuale della mafia. Per questo motivo, le esperienze vissute in prima persona, le interviste e tutte le vicende che vengono descritte accuratamente nel testo mirano a formare a tutti gli effetti una nuova coscienza in grado di formare una comprensione più alta che possa in qualche modo inquadrare il «volto attuale» che presenta la mafia.
Uno dei punti fondanti intorno cui Di Vita costruisce le sue riflessioni è l’urlare a gran voce che la mafiosità, che spesso si vuole esclusiva dei siciliani, non è assolutamente una prerogativa dell’isola, ma, al contrario «è sottesa, ramificata e connaturata in tutto il popolo italiano». Da questa conclusione, il problema assume una conformazione completamente differente rispetto al sentire quasi usuale che è riscontrabile troppo spesso con facilità. Nelle analisi dell’autore la mafia diventa «un fatto italiano addossato e caricato sulle spalle della Sicilia e dei siciliani».
Di sicuro, le conclusioni che l’autore propone nel testo poggiano sul bisogno impellente di capire a fondo il problema, di rovistare tra i documenti disponibili, di cercare le fonti più disparate. Dalle riflessioni di Di Vita emerge come, nel momento in cui si toccano temi inerenti alla mafia, gli aspetti che spesso vengono accantonati o analizzati con sufficienza sono ancora oggi molteplici.
Molto più di un’associazione criminale
Cercando di offrire una definizione di mafia, Di Vita sottolinea come definire quest’ultima come associazione criminale sia molto riduttivo. La storia della mafia è talmente lunga da caratterizzare negativamente almeno due secoli. La sua capacità camaleontica di adattarsi al mutare dei contesti economici, politici e sociali si basa su un intreccio stabile e duraturo di poteri occulti.
In particolare, nel testo è dato largo spazio al legame mafia-politica, non solo inerente al contesto siciliano, ma globale. Sia chiaro: la Sicilia per l’autore riveste un ruolo fondamentale nelle discussioni sulla mafia, ma risulta evidente che tanto la conformazione della mafia, quanto la capacità di sopravvivere nei secoli, ne fa un problema che presenta radici profonde in un contesto che non può essere solo locale, né tantomeno regionale. Inoltre, l’autore offre lucide spiegazioni che fanno comprendere come la mafia presenti una configurazione organica, strutturata e articolata in maniera tale da garantirne una forza vitale tutt’oggi capace di espandere il territorio di interesse ben oltre la Sicilia.
Di Vita analizza come la mafia abbia svolto un ruolo primario nell’Unità d’Italia e in altri snodi storici fondamentali. Per questo motivo, afferma l’autore: «Questo rapporto tra Stato e mafia è tanto antico e radicato da condizionare tutta la vita pubblica, economica e finanziaria, ancora ai nostri giorni». Di conseguenza, senza il resto d’Italia, la mafia non sarebbe mai nata in Sicilia.
Inoltre, nel testo viene data molta importanza alla continua confusione che contrassegna anche lo stesso termine mafia. È un aspetto contro cui Di Vita sente l’urgenza di soffermarsi a lungo poiché la confusione allontana dalla verità e dalla realtà, i termini con cui è possibile riassumere il lavoro compiuto dall’autore.
Un altro degli aspetti su cui Di Vita si sofferma a lungo è il bisogno di comprendere come la mafia, sin dai suoi albori, abbia sempre mostrato una ferrea volontà di fare in modo che quanto si presenti intorno non decolli mai, sia che si parli di sviluppo sociale, sia che si parli di sviluppo economico. Quanto detto accomuna tutto il Meridione italiano.
Questo processo avviene, afferma Di Vita, «in quanto è fondamentale, per la vita della mafia, mantenere i siciliani nel sottosviluppo e nel degrado sociale e culturale». Infatti, le classi più povere sono sempre più propense ad avvalersi dei favori dei politici. Ecco perché la crescita è sempre malvista, mentre il ristagno in una condizione di miseria è ben augurante, necessaria per far in modo che la mafia continui a esercitare con molta più facilità la sua forza, che faccia in modo che si presenti un cambiamento che, gattopardianamente, riporti sempre a un punto di partenza contrassegnato da povertà e miseria.
La capacità tentacolare della mafia
Nelle lunghe e articolate riflessioni dell’autore non mancano le pungenti analisi in merito a uno stretto legame tra la Sicilia e la mafia. Infatti, senza questa correlazione non si capirebbe il perché del radicarsi in Sicilia della mafia come fenomeno criminale o lo svilupparsi in quella terra, pur essendo un fenomeno, come visto in precedenza, da collocare in un contesto molto più ampio che supera di molto i confini dell’isola siciliana. Nel testo si analizza come la Sicilia pulluli, per svariati motivi interni, di contraddittorie diversità. In questa mescolanza di contrasti è da inserire anche la contrapposizione mafia/antimafia. Inoltre, nel pessimismo che troppo spesso ancora dilaga è da includere anche l’accettazione spesso passiva della sofferenza.
Di Vita analizza le condizioni speciali che presenta l’agricoltura, il ruolo nevralgico dell’acqua in Sicilia, tutti aspetti che hanno permesso alla mafia di alimentare a dismisura il proprio potere. Di conseguenza, ci sono diversi fattori, alcuni anche culturali, che spingono quasi a delineare una sorta di volontà di sottosviluppo che porta all’impossibilità di accrescersi oltre un determinato limite. La fortuna della mafia fu anche, e forse soprattutto, quella di contare sulle ricchezze offerte sia dalla terra, sia dal mare.
Spesso la data di nascita della mafia è stata collocata subito dopo l’Unità d’Italia. Di conseguenza, il fenomeno è stato spesso indicato come una derivazione del brigantaggio. Eppure, Di Vita sottolinea come il brigantaggio, gli sgherri o i bravi fossero già presenti da secoli nella penisola italica. La differenza sostanziale che questi fenomeni vennero sempre debellati, mentre in Sicilia ciò non avvenne. Il malcostume e la criminalità erano presenti in ogni luogo italiano, ma la mafia emerse e si consolidò in Sicilia. Di Vita afferma che il consolidarsi nel territorio siciliano è da rinvenire nelle condizioni favorevoli createsi. In questo, un ruolo di primordine è assegnato alla politica. Infatti, l’autore evidenzia come al governo sabaudo convenisse appoggiare i malavitosi che tenevano a bada le masse popolari per evitare sommosse e ribellioni.
Nel testo viene delineato anche il modus operandi della mafia, nonché la struttura che presenta. Molta attenzione viene risposta verso gli elementi peculiari, la segretezza e la gerarchizzazione, che fin dai primi tempi hanno portato a classificare la mafia come una società, piuttosto che come un’associazione, che ha sempre cercato quello stretto legame col potere poc’anzi analizzato.
Fare antimafia significa vedere, giudicare e agire
Nella seconda parte del libro Di Vita discute sull’antimafia. In primo luogo precisa cosa bisogna intendere col termine affermando che l’antimafia sono tutte le azioni antagoniste «all’agire mafioso e alla mafia come organizzazione, intraprese da cittadini, uomini delle istituzioni, delle forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori, professionisti, ecc.». Con questa definizione, si può affermare che l’antimafia nasca con la mafia stessa anche se i risvolti sono numerosissimi ed è di fondamentale importanza conoscerli.
Anche in questo caso l’autore passa in rassegna molteplici aspetti per offrire in maniera dettagliata la conformazione dell’antimafia avuta nel corso del tempo. Fare antimafia, nella definizione di Di Vita significa «affrontare, nella quotidianità, nel proprio posto, là dove si vive, con forza e senza mai indietreggiare di fronte al sopruso, all’arroganza, alla mafiosità di chi si crede il più forte, e senza omertà e giri di parole denunciare qualunque tipo di ingiustizia sociale, soprattutto quella politica e istituzionale». L’autore ammette che la vera antimafia è fatta di uomini che principalmente hanno scelto di rinunciare alle loro carriere e, proprio per questo motivo, «non ha luci scintillanti, ma il semplice compimento ed adempimento del proprio lavoro, con onestà e concretezza, anche nel silenzio, senza alcuna appariscenza».
Di Vita analizza come a un certo punto si sia cominciato a dire con forza no alla mafia e alla politica mafiosa, iniziando a usare senza alcun timore anche la stessa parola mafia. Nel testo vengono elencate tutte le varie associazioni, gli enti e le fondazioni che sono diventate nel corso del tempo punti di riferimento per la lotta alla mafia. È un elenco prezioso che viene offerto al lettore che fa comprendere la conformazione di tutte le molteplici realtà impegnate quotidianamente in questa lotta. Di Vita contrasta l’idea che ci siano «vittime di mafia di serie A, di serie B, talora anche di serie C». Anche in quest’ottica è da leggere l’elenco delle persone, uomini e donne, che hanno combattuto per la liberazione dalla mafia fino a perdere il bene più prezioso che ognuno possiede: la vita.
Nel libro è possibile leggere anche le preziose testimonianze dei familiari delle vittime di mafia intervistati dagli alunni dell’IC “Bastia 1” di Bastia Umbra. Le testimonianze si legano all’intento che manifesta l’intero volume, quello di ricordare affinché si possa lottare e costruire. Il libro è a tutti gli effetti un mezzo prezioso attraverso cui raggiungere un grado di consapevolezza più ampio da manifestare in ogni azione quotidiana.
Mario Saccomanno
(direfarescrivere, anno XVII, n. 182, marzo 2021)
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