Questo settembre Ruth Bader Ginsburg, giudice liberale e icona pop, seconda donna della storia americana a far parte della Corte Suprema, (dopo Sandra Day O’Connor) è morta all’età di 87 anni, per complicazioni legate al cancro al pancreas. Ginsburg è stata prima di tutto un’architetta legale capace di trasformare negli anni Settanta la lotta per l’emancipazione femminile in qualcosa di più strutturato e meno urlato di una rivendicazione.
Diceva spesso che era diventata avvocata quando le donne non erano desiderate nella professione legale, riuscì nell’impresa di far equiparare a discriminazione razziale a quella sessuale, aprendo la strada a un lungo dibattito legale e prima ancora sociale.
Ora il libro Le donne lo fanno meglio di Valeria Gangemi (Città del sole Edizioni, pp. 120, € 10,00), manager impegnata nel sociale, condivide questo spirito. Questa raccolta di racconti non è un libro urlato, ma nemmeno da leggere sottovoce. È qualcosa a metà tra un diario e una galleria di ritratti. Ci sono narrazioni declinate sull’attualità e l’immediatezza, dove il dialogo gioca una parte preponderante.
L’uomo, gli uomini, è inutile dirlo, ne escono piuttosto malconci, a cominciare dalla Prefazione, che cita Simone de Beauvoir, e anche nei Ringraziamenti.
Proprio la Prefazione di Mariateresa Marino e i Ringraziamenti finali svolgono un ruolo non secondario in questo libro di esordio letterario dell’autrice.
La prima perché smarca il volume da ingombranti precedenti letterari, invocando per i ventidue racconti che compongono la raccolta una leggerezza da sketch teatrale e un gusto per il calembour (talvolta comunque un po’ troppo compiaciuto e fine a se stesso) che sono senza dubbio la cifra principale di quasi tutti i testi.
I secondi perché finalizzano l’esistenza del volume a uno scopo assai importante e concreto in quanto il ricavato del libro verrà devoluto alla Fondazione “Marisa Bellisario”. E qui la carrellata di grandi figure femminili non può non considerare il profilo della stessa Bellisario, prima grande donna manager italiana, guarda caso della stessa identica generazione della Bader Ginsburg. Il volumetto infatti si presta a nostro giudizio anche ad un’altra chiave di lettura.
La cultura imprenditoriale e manageriale femminile contro il mismanagement
La scrittrice, come già accennato, è anche un’affermata manager. Dettaglio certamente non trascurabile poiché, svolgendo tale professione da tempo, sa che alla fine non esistono molti tipi di management. Certo i nomi, gli stili e le sfumature cambiano nel tempo, ma fondamentalmente ne esistono solo due categorie: quello buono e quello cattivo. Ed è proprio quando si tocca questo ambito che con tutta probabilità, abbandonando per una volta il gioco di parole e le pennellate a volte monocordi nel definire l’inettitudine e la dabbenaggine maschile, il libro ci restituisce il meglio di sé.
Come nel racconto Tagli: «Ecco come in cinque minuti si chiude una questione di extra revenue. Risolvo il problema della Commessa che va bene e produce utile tagliando i costi sempre e solo con una ricetta basata su un unico ingrediente. Il personale. Taglio tre dipendenti che costano tanto perché hanno un contratto a tempo indeterminato (…) Tu insisti e gli fai notare: 1. il problema, se esiste, non lo risolvi ma lo stai trasformando in qualcosa di diverso che però continua a sussistere. Le tre dipendenti entrano, si trattengono con dignità (…) A prescindere, tranne me e le interessate, sembra che nessuno si renda conto del dramma». In questo racconto il capo-uomo utilizza una trita ricetta antica quanto efficace ma solo nel breve termine, licenziare. Tuttavia egli non tiene adeguatamente conto di ciò che il libro sottende e forse avrebbe potuto esprimere anche più apertamente e spregiudicatamente; ovvero che oggi non si tratta più di affrontare i problemi che affrontava la generazione della Bader Ginsburg (dove la questione era che le donne non erano nemmeno ascoltate), ma piuttosto quelli più sottili connessi all’apprezzamento della ricchezza connessa alla diversità del loro approccio. Dalla lettura del volume in questo senso emerge che la leadership al femminile è spesso capace di dare un contributo decisivo e di lungo respiro al buon management aziendale, come accade anche nel mondo imprenditoriale dove si è ormai acclarata una particolare abilità da parte delle imprenditrici di gestire in modo creativo e condiviso le situazioni di crisi.
Ma il volume mette opportunamente in luce anche dell’altro.
I lati inediti (e pericolosi) di un mondo spesso troppo declinato al maschile
Un altro racconto di impatto, stilisticamente molto simile a quello citato precedentemente è Cuore, per certi versi il più riuscito e bilanciato della raccolta. «Ma se si infartua il cuore delle donne come lo curano? Come quello di un uomo? Non mi dire che la parità la applicano quando non devono. Ma la diversità di genere intesa come fisici diversi non merita cure diverse? Ora capisco che diverso può presagire scenari degenerati ma giuro son seria, i farmaci e le dosi sono uguali a chi è diverso fisicamente da noi?».
L’inizio disorienta e invoglia a leggere. Così si scopre una insospettata e insospettabile miopia della capacità terapeutica della nostra medicina.
«E dopo una vita di stenti e noia, l’infarto può arrivare lo stesso. La differenza è che non sanno come curarci. Già, perché – assurdo ma vero – studi recenti sul tema hanno aperto il “vaso di Pandora”, scoprendo che alcune branche della medicina sottovalutano o non tengono conto delle condizioni di vita delle donne nella determinazione della diagnosi e del protocollo di cura. Per l’ischemia cardiaca, per esempio, le radiografie e i test sotto stress usati per la diagnosi sono “tarati” sul modello maschile e sono meno efficaci per le diagnosi nelle donne. Ancora, gli strumenti chirurgici come by-pass e angioplastica coronaria sono gli stessi di quelli usati per gli uomini e si presta poca attenzione al fatto che le donne hanno coronarie e vasi sanguigni più piccoli».
Vasi sanguigni più piccoli ma un grande cuore e una mente diversi ma di certo indispensabili e complementari, non sostituivi, a quelli maschili nella gestione di una realtà, quale quella odierna, di certo complessa e articolata. Alla fine, c’è da augurarsi, come in un certo senso fa l’autrice concludendo il suo volume con una spiazzante Ode agli uomini crediamo sentita e niente affatto ironica, che “il pensiero lungo rette parallele” che divide a volte i sessi alla fine converga. Se come dice la Gangemi, gli uomini migliori sono “i più”, non possiamo che augurarci di unire le forze “trovandoci” l’un l’altro, in un futuro che offra a tutti, uomini e donne, elementi di sinergia e intesa nella diversità per certi versi analoghi al vissuto personale della de Beauvoir, che pure ebbe il sodalizio intellettuale ed emotivo più forte della sua vita con un uomo così controverso come Jean-Paul Sartre e a quello della giudice Bader, la quale diceva che il marito e compagno di una vita Marty Ginsburg era l’unico uomo al quale importava davvero che lei avesse un cervello.
Massimiliano Bellavista
(direfarescrivere, anno XVI, n. 178, novembre 2020)
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