«In quanto zingari, abbiamo il vantaggio di avere tutti quanti le stesse caratteristiche.[…] Stirpe di veggenti, streghe e bambini che non si ammalano mai. A noi le regole scientifiche che governano la realtà non si applicano».
Se la lotta al razzismo si combatte ormai da diverso tempo (già a inizio Novecento l’antropologo Franz Boas [1] negò il fondamento biologico al concetto di “razza umana”, cosa che in seguito è stata dimostrata anche dalla genetica e dall’antropologia molecolare: la specie umana, e non quindi razza, è una sola; i singoli geni sono presenti sostanzialmente in tutte le popolazioni umane, anche se con frequenza differente; un’elevata variabilità genetica si riscontra in misura di gran lunga maggiore fra un individuo e un altro, anziché fra un popolo e un altro), indubbiamente c’è ancora molto da fare se pensiamo, per esempio, alla permanenza del termine “razza” nei vari testi costituzionali.
In particolare, in tutto il mondo, e specialmente in Europa, persiste tuttora una forte discriminazione verso i cosiddetti “zingari”. Ma chi sono realmente? Le loro consuetudini hanno ragione di essere da noi reputate così strambe e deprecabili?
Valeriu Nicolae, in parte rom e in parte romeno, ha provato a fare chiarezza al riguardo scrivendo La mia esagerata famiglia rom (Rubbettino editore, pp. 194, € 14,00).
La storia di uno che ce l’ha fatta
«In questi densi racconti c’è tutto quello che vuol dire essere rom nell’Europa di oggi: le speranze e le risate, le umiliazioni e le battaglie. E un futuro ancora tutto da costruire».
Con uno stile squisitamente ironico, quasi ipnotico, che tiene incollati alla pagina, l’autore immerge i lettori all’interno del mondo rom, che egli conosce benissimo essendoci nato e a lungo vissuto. Di famiglia mista (con padre romeno e madre zingara), Nicolae ha provato sulla propria pelle cosa comporti essere rom: grave indigenza, isolamento ed emarginazione sociale, ostacoli in ambito lavorativo e anche relazionale. Per superare tali svantaggi di partenza e avere la possibilità di un’esistenza “normale”, ha dovuto impiegare molto impegno e forza di volontà, acuendo ingegno e spirito pratico; sulla spinta degli energici incitamenti materni, ha proseguito gli studi fino all’università.
Una volta ottenuto il riscatto, lungi dal gettarsi alle spalle le proprie origini e la propria storia, si è impegnato su più fronti per cercare di migliorare la situazione del suo popolo: ha iniziato a raccontare la propria esperienza su importanti testate giornalistiche, a visitare i quartieri più poveri del mondo, a dare una mano come volontario nel centro di Ferentari, un quartiere di Bucarest, dove la tossicodipendenza, la prostituzione, la delinquenza sono diffuse a livelli inimmaginabili, dando vita a una scuola pomeridiana per ragazzi in difficoltà. Di recente ha anche deciso di provare a cambiare le cose entrando nell’amministrazione pubblica dello stato romeno, rendendosi però subito conto dell’inefficienza che regna ai vertici del potere, a causa di corruzione e nepotismo.
Un cambiamento arduo ma possibile
Migliorare le prospettive di vita dei rom è difficile e complesso, senza alcun dubbio. Tanti, anzi troppi, gli ostacoli: l’indifferenza dello stato, che investe tutti i fondi a disposizione in studi, conferenze, progetti che rimangono arenati sulla carta e non approdano a nulla; l’estrema povertà della gente, che vive in spazi di pochi metri quadri, spesso senza acqua né corrente elettrica, e in pessime condizioni igieniche; la violenta ostilità tuttora nutrita dalla maggioranza delle persone verso di loro.
Si è ancora lontanissimi dal disporre di un intervento sistemico e organizzato a favore dei rom, tuttavia Nicolae è un tenace ottimista, e un convinto sostenitore del motto di Madre Teresa: «Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno».
Occorre quindi lottare contro i numerosi preconcetti radicati da secoli nella mentalità europea, contro l’ignoranza e l’indifferenza generale nei confronti di questa porzione di umanità; per interrompere quel circolo vizioso di miseria, disperazione, malavita, carcerazione, che si ripete sempre uguale per generazioni di famiglie rom.
Tutti i bambini dovrebbero avere le medesime opportunità di costruirsi un futuro degno di essere vissuto: «Qualche ora di attenzione al giorno aumenta di parecchio le possibilità dei bambini che vivono in quartieri difficili, a Ferentari o altrove, di diventare degli adulti felici». Il libro si chiude significativamente con l’immagine di un ragazzino rom che ride nel sonno per la felicità di aver trascorso una giornata da “bambino normale”.
[1] Cfr. F. Boas, Anthropology and Modern Life, W.W: Norton & Company, New York, 1928 (tr. it.: Antropologia e vita moderna, Ei editori, Roma, 1998).
Michela Mascarello
(direfarescrivere, anno XV, n. 164, settembre 2019)
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