«Non è bella la vita dei deputati a Montecitorio, soprattutto d’estate, quando l’afa romana soffoca il respiro, dall’asfalto sale una specie di vapore appiccicoso e le automobili sembrano navigare sulle acque. […] I reggini London e Roger, al secolo rispettivamente Mario Latorre e Marco Martinez, deputati alla loro seconda legislatura, […] decisero che, invece di soffocare sotto la canicola romana, sarebbe stato meglio tornare giù in Calabria e godersi il mare di luglio. Ma non c’era solo il mare nelle loro menti. […] Non avrebbero scambiato i ritmi estivi della vita reggina con una vacanza in Polinesia».
Una premessa che sembra essere tutta un programma per la trama de La Bionda, lo Sbirro e il Professore (Città del Sole Edizioni, pp. 336, €15,00), il nuovo romanzo di Filippo Ambroggio. Tuttavia, come i lettori abituali sono già avvezzi a pensare, niente è mai come sembra.
Una struttura particolare
Infatti la storia, che all’inizio sembra voler essere solo una mera cronaca di fatti quotidiani in un paese del sud Italia, si tinge velocemente di giallo quando si va incontro alla sparizione, e al relativo omicidio, di Paolo Sorbara, un uomo così mite e tranquillo che «andrebbe nel pallone» per un tentativo di sorpasso e che si era ritrovato a compiere, come ultima azione, un prelievo di denaro molto consistente. Il movente e il probabile assassino sono, ovviamente, da scoprire durante la lettura e non saremo certamente noi a rovinarvi il finale.
Una cosa che sembra essere sicura è la scelta azzeccata dei due protagonisti, presentati nell’Introduzione e su cui la vicenda dovrebbe concentrarsi, infatti chi meglio di London e Roger, immessi negli affari governativi e con grande capacità di mezzi, potrebbe essere più adatto per compiere un’indagine privata su tale mistero? Anche qui l’autore ci trae in inganno. Infatti, più si va avanti con la lettura e più la storia principale si sposta su un altro personaggio la cui presentazione, un po’ in sordina, poteva sembrare quella dedicata a un semplice comprimario o valido aiutante del “legalissimo duo” ma presso cui si nasconde il motore di tutta la vicenda: «Billy Parisi […] loro coetaneo, già compagno di merende e di liceo, nonché individuo di multiforme ingegno e nascosti talenti».
Come si può notare dalla citazione diretta ad Odisseo, dietro un “normale” professore all’Accademia di Belle Arti di Reggio – appassionato di moto e di donne e con alcune caratteristiche “antieroiche” – può nascondersi una mente acuta e per nulla scontata che lo porterà, nel corso di un anno, a unire sempre più pezzi di questo intricato puzzle, di cui faranno parte personalità imprevedibili e che scoprirà molti scheletri negli armadi.
Il “prevedibile” e il “diverso”
È interessante notare come l’autore non crei dei personaggi totalmente positivi o negativi, ma per ognuno riesce ad architettare una serie di sfumature e contraddizioni che li rendono più reali perché vittime del loro essere umani: un esempio può essere la crisi di coppia di Claudia, l’affascinante collega di Billy, con il marito per le presunte infedeltà di lui mentre lei civetta imperterrita e maliziosa con il professore. Oppure l’atteggiamento di Billy nei confronti di Ethel, sua figlia; amorevole certamente, ma velato da un egoismo e dal bisogno di indipendenza che lo porterà spesso a giocare d’astuzia e manipolazione. A tal proposito d’impatto è il momento in cui si mostra candidamente, senza troppe indignazioni o moralismi, Billy chiedere esplicitamente aiuto all’amico London su quali “fili” tirare per far ammettere Ethel a Medicina: un momento in cui il marcio della società odierna fa capolino, come se fosse una via normale per chi è “amico di”.
Un altro tema che si dispiega nella narrazione è quello dello straniero; presente in maniera più consistente nella figura di Brygida e delle sue amiche polacche – che ricopriranno un ruolo sempre più cruciale nella vicenda principale – e accennato ma ugualmente potente nel dialogo di Billy con un uomo che lo aiuta nel mistero con grande dovizia: «“Ma tu… di dove sei?”. “Moldova” rispose […]. “E… nel tuo paese… che mestiere facevi?” domandò infine Billy. “Il poliziotto”, proferì amaro l’uomo».
Lo stile
A rendere più leggera la narrazione ci pensa Ambroggio con uno stile leggero e provocatorio, contornato da moltissime espressioni dialettali, puntualmente rese fruibili per tutti i lettori tramite la loro traduzione, e descrizioni minuziose dei personaggi e dell’ambiente circostante – tra le citazioni al famoso caffè romano “Sant’Eustachio” ai concerti di Mimmo Cavallaro – creando l’illusione di poter entrare nella storia e di poter essere uno dei Watson di Billy, uno Sherlock irriverente e sopra le righe.
Maria Chiara Paone
(direfarescrivere, anno XIV, n. 154, novembre 2018)
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