La letteratura femminile iraniana è ricca, vivace, intraprendente e dinamica, ma soprattutto è temeraria, coraggiosa e spesso imprudente. Essa ci offre un suggestivo quanto mai inedito spaccato di un Iran giovane e progressista, immagine vittoriosa di quella che è, forse, la forma più alta di resilienza. L’arte nella sua interezza e la letteratura, che è la sua forma più intima e accurata, hanno la capacità di far emergere le donne e di renderle più che mai protagoniste.
La letteratura femminile iraniana stupisce per la capacità di trattare la delicata questione di genere con audacia, rivendicando un ruolo primario nella società che sdogana lo stereotipo di donna sottomessa che si è oramai cristallizzato nel tempo. Esemplare è inoltre l’autorappresentazione della propria femminilità che è una costante di taluni opere e che rifugge dal portare in scena un identico modello femminile stritolato nella dicotomia sottomissione-ribellione.
La lettura di tali opere offre una prospettiva autentica, nonché piuttosto privilegiata sulla società, la cultura e l’identità: scrivere così come creare in generale è, per l’artista, la forma di espressione più intima e per l’osservatore la piattaforma più accurata dalla quale osservare un mondo specifico.
Quando le iraniane entrano in letteratura
Nel panorama artistico-letterario femminile iraniano furono gli anni Settanta a segnare un punto di svolta: la letteratura mondiale si apriva alle donne, come non aveva mai fatto in passato, e per la prima volta tante donne iraniane poterono equiparare le loro vite con quelle delle donne occidentali, conoscerne la vita e le abitudini e farle divenire modelli positivi a cui ispirarsi. Con il boom del petrolio e le ottime relazioni dei Pahlavi con l’Occidente, l’Iran si apriva al mondo, e la letteratura femminile iraniana ottenne un incentivo profondo.
La prima grande romanziera della storia letteraria iraniana contemporanea fu Simin Danešvar accademica, traduttrice e scrittrice, autrice del primo romanzo scritto da una donna in Iran. Suvašun, del 1969, che divenne un best-seller in tutto il paese, è un romanzo delicato e profondo ambientato nell’Iran della Seconda guerra mondiale.
Oggi in Iran ci sono circa trecentosettanta scrittrici che sopravanzano qualitativamente e quantitativamente i lavori dei colleghi uomini. In un paese di restrizioni, denunce e censura questi numeri non vanno sottovalutati, ma sono un traguardo importante attraverso il quale possiamo leggere un vero ed instancabile cambiamento della società e comprendere il grande potere che assume la letteratura nel paese. Le scrittrici iraniane contemporanee stanno contribuendo a creare una letteratura forte e potente, un movimento artistico che è iraniano nella sua interezza e nella sua complessità e che rifugge da qualsiasi interferenza esterna. L’esperienza delle donne iraniane nella letteratura è il più grande esempio di mobilitazione sociale che il paese abbia mai conosciuto.
Le scrittrici che infrangono i tabù
Le opere delle scrittrici iraniane dei nostri giorni hanno un impatto talmente forte nella società da generare un impetuoso e dinamico dibattito culturale e politico. La letteratura si fa portavoce, per la prima volta in maniera esplicita, di situazioni scottanti come la condizione del genere femminile in Iran o temi di interesse sociale come il cambio di sesso. Farkhondeh Aqai è una scrittrice per passione che ha saputo praticare generi molto diversi, compreso il giallo, e che ha sconvolto la letteratura mondiale con un romanzo sul cambio di sesso, incredibilmente sfuggito alla censura. Nell’opera Jensiyat-e Gomšode, “Sessualità perduta”, ha parlato in maniera esplicita della sessualità, con accezioni forti ed audaci che poco si allineano con l’immagine rigorosa del controllo che il governo iraniano applica sulle pubblicazioni di libri.
Il primo scritto top-selling di una donna interamente dedicato a questioni di genere nel panorama della letteratura iraniana contemporanea è La scelta di Sudabeh di Fataneh Haj Seyed Javadi, pubblicato nel 1998. Il romanzo, celebrato come l’esempio di un nuovo tipo di letteratura capace di descrivere la società attraverso storie private, racconta le vicissitudini di una ricca aristocratica iraniana che sradica le convenzioni sociali sposando un falegname, per poi lasciarlo presto per un altro uomo. Il romanzo della Javadi è significativo di un aspetto che molto spesso viene tralasciato nelle analisi sociologiche o culturali dell’Iran, ovvero la capacità delle donne iraniane di esprimersi, portando in scena soggetti considerati tabù nel paese. L’opera dimostra quanto il potere della parola sia più grande anche delle imposizioni del governo e della censura che ha inevitabilmente condizionato la libertà espressiva degli artisti iraniani che si sono affacciati al mondo dell’arte dopo la rivoluzione del 1979.
Nel panorama della letteratura femminile iraniana ritroviamo voci di donne diverse, sia per livello sociale sia per religione. Chi si affianca alla letteratura oggi non sono solo infatti scrittrici laiche spinte da sentimenti di lotta ed emancipazione a tutti i costi ma anche religiose, le quali attraverso i loro scritti vogliono riabilitare la religione o semplicemente dimostrare un lato più sensibile e umano di essa. Fariba Vafi è una scrittrice poco convenzionale all’interno del vivace mondo letterario dell’Iran: è infatti religiosa e non ha mai frequentato l’università, un aspetto poco comune tra le scrittrici contemporanee, preferendo invece seguire, dopo la rivoluzione del 1979, un corso come poliziotta. I suoi successi più grandi sono i romanzi Come un uccello in volo che ha vinto importanti premi letterari iraniani e Tarlan che racconta, con un velato autobiografismo, la storia di diverse donne religiose e povere che frequentano la scuola di formazione della polizia femminile islamica. Il libro ha regalato un affascinante spaccato dell’Iran moderno, del tutto tralasciato dalla letteratura, il quale è stato in grado di riabilitare la figura delle tanto discusse donne poliziotte, arruolate tra le file delle “guardiane della rivoluzione”, dedite alla salvaguardia dei valori islamici.
Il tema della diaspora
La letteratura della diaspora iraniana è senza alcun dubbio la più conosciuta ed apprezzata a livello internazionale. La produzione nazionale al contrario fatica ad emergere nel mondo, riuscendo a stento a farsi conoscere all’estero. Nella letteratura della diaspora la critica verso il governo e la denuncia verso la situazione sociale dell’Iran è alquanto tagliente e predominante, mettendo al centro della scena il binomio donna e islam che tanto piace ai lettori occidentali. Il successo di romanzi quali Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi o Prigioniera di Teheran di Marina Nemat ne sono una riprova. Le autrici della diaspora spesso si soffermano a raccontare un Iran post-rivoluzionario che non rappresenta però la vera realtà iraniana contemporanea. Quindi anche un best-seller internazionale come Persepolis di Marjane Satrapi, pur riconoscendone il grande valore letterario, risulta un’opera bella a metà perché cristallizza comunque la donna entro certi canoni che sono in qualche maniera superati.
Il coro femminile della diaspora si compone comunque di voci disuguali, alcune più genuine di altre, capaci di esaltare l’identità iraniana nonostante le vicissitudini storiche e politiche che le hanno viste protagoniste. Attraverso queste opere, ricche di lirismo e romanticismo, di una ammirazione nostalgica verso il paese e una cultura che hanno tristemente abbandonato, la letteratura diventa memoria, verso un’identità predominante, quella iraniana e memoria verso una cultura che è del tutto persiana. I testi più interessanti sono quelli che si soffermano in articolate rievocazioni storiche legate al passato del paese, in assenza di critiche ma con dettagliate digressioni storico-sociali insieme a profonde riflessioni legate all’alienazione di chi vive lontano dalla propria patria. Tra le autrici di tali testi ricordiamo Kamin Mohammadi, costretta a lasciare il paese insieme alla famiglia dopo la rivoluzione del 1979, il cui libro The Cypress Tree, è una lettera d’amore verso il suo paese, il quale rifugge da qualsiasi denigrazione verso di esso o verso il suo governo, per esaltarne al contrario la bellezza e la forza tra due donne.
Tra le opere della diaspora di più grande valore letterario ci sono quelle delle autrici ebree-iraniane che ci immergono in un mondo sconosciuto, creando un ritratto delicato e profondo della vita degli ebrei-iraniani, sottolineando il significato identitario di essere ebreo nell’Iran del Ventesimo secolo, da una prospettiva assolutamente personale e intima. Queste opere raccontano due culture e due identità così diverse che si incontrano e si plasmano a vicenda, così lontane eppure così vicine soprattutto nel rapporto con le donne. Scrittrici come Farideh Goldin e Gina Nahai, ci accompagnano verso riflessioni sull’Iran che sono attuali ed interessanti, come poche scrittrici della diaspora sanno fare. Le loro opere aprono la strada per una riflessione generale ed autentica sia su questioni identitarie profonde sia sulla questione tanto dibattuta delle minoranze religiose nel paese. Non solo, ci immergono anche in questioni legate alla più stretta attualità politica dell’Iran, nel rapporto tra i grandi antagonisti della sua storia, Israele e Stati Uniti d’America.
Monica Mereu
(direfarescrivere, anno XIV, n. 150, luglio 2018)
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