È un odore forte quello dell’emarginazione, come dice Nick Drake, il protagonista del romanzo di Monica Florio Puzza di bruciato (Homo scrivens editore, pp. 134, € 14,00). Appena lo sentiamo, ce ne teniamo lontani, cambiamo strada. Ma proprio lui, l’improbabile investigatore di una ancora più improbabile agenzia investigativa, non può cambiare strada: è lui il diverso, un’etichetta a cui ha sempre cercato di sfuggire, adottando comportamenti tradizionali e socialmente accettabili.
Nel corso della narrazione, tuttavia, la routine quotidiana di Nick e dell’agenzia sarà sconvolta da un caso difficile, un’ingarbugliata storia di fughe, furti letterari e tradimenti affettivi e generazionali. L’azione investigativa di Nick finirà per sovrapporsi alla sua storia privata, fino a rimettere in discussione la consapevolezza della sua identità, tra il sentimento personale e l’immagine che la vita e gli altri, là fuori nel mondo, riflettono di lui.
La realtà napoletana
Anche nei suoi libri precedenti – soprattutto ne Il canto stonato della sirena (Il mondodisuk libri) – Monica Florio ha scritto sul tema della discriminazione, colta nelle sue sfumature genetiche, sessuali e sociali. Attraverso i suoi racconti, ambientati in una Napoli di cui conosce bene vie maestre e stradine secondarie, ci ha descritto vite definite “normali” ed esistenze considerate “ai margini” della quotidianità. Ci ha parlato soprattutto della confusione che si percepisce, attraverso una più seria e attenta analisi, tra queste differenti dimensioni esistenziali, spesso vissute all’interno dei comuni ambienti sociali, delle stesse storie familiari e dei conflitti laceranti che riaffiorano, ogni tanto, dalle profondità della “parte buia” – ma sarebbe meglio dire “tenuta al buio” – di ogni singola coscienza.
Tra le righe della sua personale ricerca letteraria e sociale – che mette in luce una capacità umana, prima ancora che artistica, finora poco sottolineata – Monica Florio ci ha invitato a riflettere, più volte, sull’ambiguità dell’atteggiamento “buonista”, “tollerante” e “politicamente corretto” assunto da noi lettori/persone, quando accettiamo, in letteratura come nell’arena sociale, di confrontarci con la presenza di chi non si allinea.
Un comportamento del genere, in effetti, finisce per negarci a un’autentica comprensione della natura ambivalente degli esseri umani, nascosta proprio dalla consolatoria dicotomia normalità/diversità, mai messa in discussione nella sua storicità, e vissuta invece come eterna e soprattutto esterna a noi, a tutela della serenità, il più delle volte ipocrita e illusoria, della “normale” esistenza quotidiana.
Con Puzza di bruciato l’autrice ci sorprende anche per la scelta del genere e dello stile. Il romanzo è classificabile come un “giallo”, ma in realtà ci sembra un felice ibrido letterario, capace di risolvere le tensioni drammatiche con i toni della commedia associando l’azione narrativa alla fascinazione della psicologia dei personaggi, da quelli principali – lo stesso Nick o il fratello Giacomo, il suo “negativo” esistenziale – a quelli minori, come la signora Improta.
Ironia e stile
I dialoghi e le situazioni sono trattate da Monica Florio con il dono dell’ironia. La leggerezza dello stile ci fa sentire vicini ai protagonisti della vicenda, tanto che ci si commuove e si ride con loro e ci sembra di averli già incontrati nella vita reale.
Quando chiudiamo il libro, ci accorgiamo di esserci lasciati prendere per mano dall’autrice, che ci ha accompagnati in un viaggio letterario e sentimentale nella sua/nostra città, Napoli, protagonista, nel bene e nel male, della commedia umana rappresentata con le sue contraddizioni. La Napoli di Nick diventa potente e vitale metafora dell’ambivalenza della condizione esistenziale comune a tutti gli esseri umani, al di là del tempo e dei luoghi del loro stare al mondo.
Vincenzo Villarosa
(direfarescrivere, anno XIII, n. 133, febbraio 2017)
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