Anno XX, n. 225
novembre 2024
 
La cultura, probabilmente
Alle origini della forma musicale tipica
del concerto: il dialogo tra solista
e orchestra e l’armonia dell’“insieme”
Excursus sullo sviluppo del genere dall’età barocca ad oggi.
Il ruolo delle percussioni nelle composizioni di Ney Rosauro
di Emanuela Cangemi
Il significato originario del termine concerto è “insieme”, probabilmente derivato dal latino sconsertu (da conserere, “legare insieme”) indicante sia una composizione vocale che strumentale. In effetti i primi esempi così denominati sono i Concerti ecclesiastici a otto voci con organo di Adriano Banchieri del 1595 e i Cento concerti ecclesiastici a una, due, tre e quattro voci, con il basso continuo per sonar nell’organo di Lodovico Viadana del 1602.
Nel 1619, Claudio Monteverdi intitolò Concerto il suo settimo libro di madrigali, contenente pezzi per voci con accompagnamento strumentale, mentre nel secolo XVIII Johann Sebastian Bach definì con tale denominazione alcune sue cantate sacre.
Il termine concerto indicante una composizione strumentale, data in un primo momento dall’alternanza di un gruppo di strumenti con il rimanente orchestrale, si delinea in età barocca per poi svilupparsi in un processo in divenire, nella forma vera e propria del concerto, ovvero quella composizione generalmente in tre tempi, che vede l’alternarsi, all’interno della composizione, di elementi solistici accompagnati dalla rimanente orchestra.
A questa forma si dedicarono molti compositori italiani, anzi si può dire che l’Italia musicale abbia molto contribuito allo sviluppo del concerto in quanto, oltre ai numerosi lavori del genere menzionato a noi pervenuti, molti tratti caratteristici di esso si ispirarono ad alcuni elementi tipici e strutturali del genere opera teatrale, che ricordiamo essere una forma musicale tipicamente italiana.
A livello divulgativo, e per dimostrare la presenza degli strumenti a percussione anche nel repertorio del concerto, verranno presentati (tra i numerosi compositori che hanno composto per strumenti a percussione), Ney Rosauro e il suo Concerto n° 1 per marimba e orchestra.

La forma concerto in età barocca
Nel secolo XVII, una forma prettamente strumentale, senza parti solistiche rilevanti, veniva denominata “concerto di gruppo o di ripieno”; questa concezione terminologica e di formazione strumentale rimase tale fino ad Antonio Vivaldi.
Un altro tipo di forma strumentale fu denominata “concerto grosso”, definita così in relazione al numero dei musicisti che rientrava nella partitura. Inoltre, i musicisti che si distinguevano per bravura, di tanto in tanto, all’interno della composizione venivano “isolati” dal resto della compagine orchestrale, per ottenere un contrasto sonoro tra gli “isolati” appunto, ovvero i solisti denominati “concertino”, e i rimanenti orchestrali, definiti “ripieno” o “concerto grosso”, proprio come la forma musicale.
Generalmente, gli strumenti che rientravano nel “concertino” erano due violini e un violoncello, ma ci potevano essere anche altri strumenti, mentre il clavicembalo aveva la funzione di fornire il ripieno armonico del basso continuo. Solo in seguito furono composti concerti per clavicembalo solista e orchestra, soprattutto tramite l’operato di Johann Sebastian Bach, il quale, fu molto influenzato per la composizione di alcuni suoi concerti dagli italiani Antonio Vivaldi, la cui musica era assai nota in Germania, ma anche dal modello arcaico della forma di Arcangelo Corelli. Per esempio, il suo Concerto italiano (1734) è la trasposizione per strumento solista (clavicembalo) dello stile tipico delle opere orchestrali dei compositori italiani del tempo.
Il compositore Giuseppe Torelli, considerato uno dei maggiori esponenti della scuola bolognese, introdusse l’elemento solistico, ma fu con Antonio Vivaldi che la forma del concerto per strumento solista e orchestra si sviluppò.
Don Antonio Vivaldi, il “prete rosso”, compositore e violinista italiano, si dedicò molto alla forma del concerto (480 concerti a noi noti, dei quali solo 84 pubblicati in vita); infatti, nella sua produzione, possono essere annoverati:
- concerti solistici (330),
- concerti per due strumenti solisti e orchestra (45),
- concerti di “gruppo”, ovvero per tre o più strumenti solisti e orchestra d’archi (34),
- concerti “due cori”, ovvero per due orchestre contrapposte, con uno o più strumenti solisti (4),
- concerti “ripieni”, ovvero per orchestra d’archi, senza solisti, di stile più arcaico (44),
- concerti “da camera”, per 3-6 strumenti e “continuo”, senza l’orchestra, collocabili a mezza via fra la sonata polistrumentale e il concerto solistico (22).
Infine, i concerti perduti o pervenuti incompleti risultano essere una trentina.
La maggior parte dei suoi concerti sono per il violino, ma Vivaldi compose anche per altri strumenti musicali come: viola, violoncello, mandolino, flauto traverso, flauto dolce, oboe, fagotto, tromba, corni, nonché per strumenti “inconsueti” come la viola inglese, lo chalumeau, il corno da caccia, la tiorba.
Strutturalmente, la forma del concerto solistico vivaldiano si presentava in tre movimenti, in forma tripartita: allegro, adagio, allegro, con il primo e il terzo movimento caratterizzati dalla presenza di “ritornelli”, ovvero l’alternanza fra il “tutti” orchestrale e gli episodi che contraddistinguevano il solista.
Il primo dei tre movimenti, per la sua costruzione, fu ispirato dalla struttura dell’aria, presente nella forma opera teatrale, che prevede un ritornello che introduce la voce, e il ripetersi dello stesso per intero o abbreviato nel corso del brano.
Per alcuni titoli o per le caratteristiche formali, che riportano alcuni suoi concerti, questi si collocano in “filoni musicali” specifici, come la “musica descrittiva” o la “musica a programma”.
La musica descrittiva è quella forma musicale, in cui, attraverso particolari suoni e dinamiche, si può descrivere un oggetto, una persona, un animale o qualunque altro fenomeno naturale riportando in musica caratteristiche fisiche o emotive (di persona o di animali) del soggetto descritto. Rientrano in questo filone, per esempio, i concerti vivaldiani dai titoli: Il gardellino, La tempesta di mare, La pastorella, Il riposo, La notte, L’inquietudine, Il piacere.
Invece, la musica a programma è quella tipologia di musica strumentale basata su uno schema articolato di riferimenti extramusicali (poetico-letterari, pittorici, biografici, descrittivi).
Ideologicamente questa forma nasce nel Settecento, nell’ambito delle teorie razionaliste basate sul principio dell’imitazione del bello naturale, e si sviluppa maggiormente nell’Ottocento, soprattutto con i musicisti Hector Berlioz, tra le cui composizioni citiamo la Symphonie fantastique (1830), una sinfonia per orchestra, definita “a programma”, che associa all’ascolto musicale un riferimento extramusicale; nell’esempio specifico, uno scritto dello stesso Berlioz, narrante gli incubi di un uomo sotto l’effetto della droga, e con la forma del “poema sinfonico” di Franz Liszt.
Tra le composizioni vivaldiane che rientrano in questo filone citiamo il ciclo delle Quattro stagioni, i primi quattro concerti tratti dal Cimento dell’armonia e dell’inventione (Opus 8) per violino, archi e cembalo ispirati ciascuno ad una stagione dell’anno, preceduti da sonetti esplicativi.
La concezione musicale vivaldiana viene descritta molto bene in un romanzo: Stabat mater, di Tiziano Scarpa, vincitore del Premio “Strega” nel 2009.
L’opera è ambientata all’inizio del XVIII secolo a Venezia, nel Pio ospedale della Pietà, dove venivano accolte le orfane e le bambine abbandonate, alle quali veniva insegnata la musica.
Don Antonio Vivaldi, “il prete rosso”, denominazione dovuta al colore dei suoi capelli, fa scoprire alle allieve come sia possibile, tramite i suoni, produrre stati d’animo a loro sconosciuti. Perché la musica è in grado di “muovere gli animi” di chi esegue e di chi ascolta.
I compositori italiani del periodo che si dedicarono alla forma del concerto furono, oltre ad Antonio Vivaldi: Pietro Locatelli, Pietro Nardini, Giuseppe Tartini, Giovanni Battista Viotti, che composero soprattutto concerti per violino e orchestra, e Tommaso Albinoni, che compose per oboe. Inoltre vennero composti concerti per fagotto, flauto, tromba, anche da compositori non italiani, come per esempio: Georg Philipp Telemann e Georg Friedrich Händel.

La forma concerto in età classica
Nel Settecento, la struttura del “concerto per strumento solista e orchestra” adottò il principio costruttivo della “forma sonata”, consistente nel contrasto di tonalità e di temi, che si plasmò con il tratto caratteristico del concerto, ovvero il ritornello. Espediente introdotto da Wolfgang Amadeus Mozart, che propose la sezione introduttiva dell’orchestra in una tonalità d’impianto, che modulava dopo l’intervento solistico, in una tonalità secondaria; sempre nella presentazione orchestrale, il tema, spesso, non veniva presentato per intero.
Sempre nello stesso secolo, la “cadenza” elaborata, elemento tipico dell’aria presente nell’opera teatrale, si integrò come espediente formale nel concerto, inteso come momento di improvvisazione estemporanea del solista.
Altra introduzione importante, nel corso del secolo, fu il ruolo concepito per l’orchestra, che non si limitava a semplice “cornice” del solista, si puntò infatti all’integrazione dei due elementi, altra caratteristica questa della forma summenzionata, che presenta un “dialogo” tra il solista e l’orchestra.

La forma concerto in età romantica
Nell’Ottocento, la “cadenza” introdotta nel secolo precedente, con carattere estemporaneo, iniziò a essere concepita dal compositore; inoltre non seguiva uno schema di posizione fisso, poteva infatti presentarsi come per tradizione alla conclusione del brano, oppure in conclusione dello sviluppo introducendo la ripresa.
Venne ripresa in questo secolo la costruzione concepita per più strumenti solisti, proprio com’era in origine la forma del concerto, anche se lo strumento preferito dai compositori romantici fu il pianoforte.

La forma concerto nel Novecento
Inizialmente, il termine concerto, nel Novecento, delineò una composizione per sola orchestra. Nel periodo dell’Avanguardia del Secondo dopoguerra la forma del concerto venne poco applicata, ciò che rimase vivo fu invece la concezione strutturale del concerto, ovvero il dialogo tra un solista e un gruppo strumentale.
Dopo il 1980, la forma del concerto solistico ha stimolato nuovamente la creatività dei compositori, che si sono dedicati alla forma originaria del “concerto per strumento solista ed orchestra”.

Ney Rosauro
Ney Rosauro è conosciuto a livello internazionale come percussionista, compositore e pedagogo. Nelle sue composizioni, ha soprattutto evidenziato le caratteristiche degli strumenti a percussione, infatti numerosi concerti e altri brani solistici sono dedicati a questi strumenti e in particolar modo alla marimba e al vibrafono.
Con il suo stile unico di scrittura che combina melodie affascinanti, ritmi penetrabili, elementi desunti dal folklore brasiliano ha creato composizioni stilizzate, che sono piene di vita e fantasia, capaci di entusiasmare il pubblico di tutto il mondo.
Le sue composizioni e i volumi didattici sono diventati “letteratura” percussiva, e il suo “concerto per marimba e orchestra” è uno dei più popolari concerti di percussioni di tutti i tempi, eseguito da orchestre illustri di tutto il mondo.

Concerto n° 1 per marimba e orchestra
Il Concerto n° 1 per marimba e orchestra del 1986 è stato dedicato al figlio Marcelo, nato proprio in quel periodo. Originariamente concepito per marimba e orchestra d’archi, fu composto per essere eseguito nel recital finale del master in musica che Rosauro seguì all’Hochschule für Musik Würzburg in Germania sotto la direzione del professore Siegfried Fink.
Inizialmente intitolato Serenata, ha la durata di diciotto minuti, nei quali emerge un linguaggio riconducibile alla musica jazz e a quella classica, nonché a motivi popolari brasiliani. Ovviamente l’obbiettivo primario del compositore è stato quello di mettere in evidenza il potenziale tecnico-timbrico dello strumento solista.
Anche se nessun tema brasiliano folkloristico o popolare rientra esplicitamente tra le componenti del tessuto compositivo, un “ambiente musicale brasiliano” è fruibile all’interno della composizione: ciò si evince dalla presenza di ritmi sincopati e di melodie evocative.
In seguito, il compositore riscrisse il concerto per marimba sotto forma di una suite solistica utilizzando la maggior parte dei temi principali del primo concerto; inoltre, esiste anche una versione per soli strumenti a percussione (edizioni ProPercussão Brasil), fruibile, per esempio, nel cd 25 years with the Támmittam percussion ensemble, gruppo di soli percussioni (marimba solista, xilofono, Glockenspiel, vibrafono, marimba bassa, chimes, castagnette, wood and temple blocks, triangolo, tamburello basco, cowbell, drum set, tam tam, piatti sospesi tra i quali: China type, wood blocks, timpani) diretto dal maestro Guido Facchin.
Il Percussive Notes, periodico della Percussive Arts Society, in una recensione scrisse: «Il concerto è superbamente scritto e pensato per esaltare il timbro unico, le qualità tecniche e i virtuosismi esecutivi della marimba. A differenza di molti concerti per marimba scritti in passato che considerano lo strumento come un “esteso xilofono”, il “concerto di Rosauro” esplora le molteplici possibilità della moderna tecnica delle quattro bacchette e rappresenta gli aspetti più essenziali dell’espressione musicale sulla marimba».
Il concerto si presenta in quattro movimenti:
I) Saudação (Saluti),
II) Lamento (Lamento),
III) Dança (Danza),
IV) Despedida (Addio).
Come si può notare, la presentazione di questa composizione risulta essere non convenzionale, ma nonostante l’introduzione della danza i rimanenti tre tempi, “tradizionalmente”, sono nella successione allegro-adagio-allegro, e la cadenza si trova nell’ultimo movimento, riprendendo i principali temi presentati nei quattro movimenti.
Motivi brasiliani ed elementi desunti dal jazz sono percepibili nell’intera composizione, che presenta schemi ritmici dati da diverse strutture metriche accostate, e melodie piacevoli.
La marimba, la protagonista, presenta il materiale tematico, con momenti di “soli”, senza il sottofondo orchestrale.
Con il successo commerciale di un cd nel 1990 e il video della percussionista scozzese Evelyn Glennie e della London Symphony Orchestra, il concerto venne considerato degno di essere annoverato nella letteratura standard per le percussioni, tra i più popolari ed eseguiti da numerose orchestre in tutto il mondo.

Conclusioni
Fin dalle sue origini, il termine concerto ha indicato una forma musicale, un momento solo strumentale o strumentale e vocale. L’“insieme”, dunque, è probabilmente la costante di questo termine.
Altra “degna nota” è mettere in evidenza la collaborazione che da sempre è esistita tra la letteratura formale strumentale e la letteratura tipica vocale. Non è forse vero che elementi caratteristici del genere opera teatrale sono rientrati nella costruzione tecnico-formale del genere concerto? E nuovamente il significato “insieme” emerge.
Il concerto è una forma molto comunicativa, si evince dai suoi elementi: il protagonista, ovvero il solista, il coprotagonista e l’orchestra. Il tutto sarà esternato dai monologhi del solista, i dialoghi fra il solista e l’orchestra, e il corale, ovvero quel momento dove tutti “insieme” si esprimono in armonia.

Emanuela Cangemi

(direfarescrivere, anno XII, n. 130, novembre 2016)
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