«La nebbia rosa dei fumogeni colorava la buia serata palermitana. Il fragore dei petardi rompeva il silenzio dell’attesa. I primi possenti cori risuonavano nello stadio pronto all’evento. Il rullo dei tamburi preparava l’inizio dello spettacolo. Per l’ennesima volta, la magica curva nord di Palermo era pronta a stupire l’intera Italia con una coreografia mozzafiato». Questo incipit suggestivo mette in evidenza il vivace e colorito stile narrativo dell’autore, il giornalista siciliano Pietro Scaglione, vincitore, con questa sua opera d’esordio, del Concorso di letteratura calcistica “Gabriele Sandri” nell’edizione del 2013. Il suo romanzo, dal titolo Palermo nel cuore (Mohicani edizioni, pp. 176, € 10,00), innesta le vicende umane e sentimentali di quattro ultrà della squadra rosanero, Giorgio, Roberto, Ciccio e Fabrizio, in un contesto spesso drammatico di eventi non solo sportivi ma anche politici, economici e sociali e in un arco di tempo che va dagli anni Sessanta del boom fino ai giorni nostri. Risalita in massima serie nella primavera del 2004 dopo un quarantennio di “espiazione” nelle serie minori, il Palermo ha saputo riscattarsi e donare ai propri sostenitori un esaltante caleidoscopio di brividi e di agonismo.
Dalla palude del dissesto all’eden ritrovato della A
I quattro protagonisti del romanzo provengono da ambienti profondamente diversi: Giorgio, appassionato non solo di calcio ma anche di musica, è figlio di un avvocato benestante; Ciccio, studente di Giurisprudenza ma culturalmente alternativo, è di matrice operaia; Fabrizio, appartenente alla piccola borghesia, è un giornalista freelance, in conflitto perenne con quei pregiudizi e luoghi comuni che ghettizzano gli ultrà palermitani che lui difende a spada tratta; Roberto, figlio di un poliziotto in pensione e di una maestra, è laureato in Ingegneria, ma lavora precariamente in un call center.
A partire dall’acceso derby del 2007 contro il Catania, e attraverso un itinerario narrativo estemporaneo che si snoda fra passato e presente, Scaglione costruisce un variegato “come eravamo”: la musica, gli studi universitari, l’impegno politico, gli amori e la solidarietà con gli emarginati dei quartieri problematici di Palermo. Un mosaico denso di umori che fermentano sul filo di una narrazione scarna e asciutta, nella migliore tradizione del giornalismo sportivo. A tratti emergono le falsità mediatiche, i pregiudizi spesso velenosi e discriminanti contro le tifoserie organizzate e i conflitti generazionali. Emblematiche a tal proposito le parole del padre di Roberto, ex agente di polizia: «Basta, figlio mio! Con te il dialogo è impossibile. Vuoi avere sempre ragione. Sei affetto dalla sindrome del “benaltrismo”. Quando avviene un fatto di cui non ti conviene parlare, prendi a pretesto altri eventi per sviare l’attenzione. Basta, chiudiamola lì!».
Un anelito di riscatto per una città ferita
«Era un tiepido sabato di fine primavera. La città era colorata a festa. In ogni strada, in centro come in periferia, nei quartieri residenziali come nelle borgate, dominavano una enorme A e due colori: il rosa e il nero. I colori sociali della squadra di calcio, ma anche il simbolo di una città dai due volti, sempre in bilico fra la gioia e il dolore, tra la rinascita e la “caduta agli inferi”, tra la speranza e il pessimismo». La risalita del Palermo in A è un evento che va ben oltre la pura sostanza calcistica; essa assume infatti il valore simbolico della rigenerazione di una città saccheggiata e martoriata per decenni dallo scempio edilizio, dal terrorismo mafioso, dalla controcultura della paura e dell’omertà definita come: «Il capoluogo culla delle migliori civiltà, ma anche la terra di conquista per gli oppressori. La città ricca di storia, umanità, civiltà e bellezze artistiche, ma anche la metropoli piena di ingiustizie sociali e di povertà. La capitale dell’antimafia e degli eroi moderni, ma anche la terra natale di boss e politici collusi».
Scaglione sottolinea il coinvolgimento trasversale della cittadinanza che abbatte qualsiasi barriera classista e amalgama il popolo palermitano in un tripudio gioioso: «La festa collettiva coinvolse proprio tutti: i rampolli della borghesia palermitana e i giovani delle borgate periferiche, gli imprenditori e gli operai, i professori e gli studenti, gli anziani e i bambini, i disoccupati e i precari». Lo spirito festaiolo per il ritorno del Palermo in A trova persino un’espressione culinaria in un “menù rosanero” decisamente stuzzicante: «Dopo un aperitivo a base di paté di olive nere, l’antipasto era un succulento cocktail di gamberi, in salsa rosa. Come primo piatto, Giorgio cucinò deliziose tagliatelle fresche di colore rosa condite con il nero di seppie. Un gustoso salmone fresco fu scelto come secondo piatto, accompagnato da un vino rosé. Infine, come dessert, fu la volta delle fragole, del gelo di melone e della torta di cioccolato».
La filosofia degli ultrà al di là dei pregiudizi
«L’ultrà è orgoglioso dei suoi colori, della sua città, della sua maglia, della sua mentalità e della sua identità; si oppone alla mercificazione del calcio moderno; rispetta chi lo rispetta; ha il culto della memoria e dell’appartenenza; è solidale con le persone in difficoltà; non coinvolge famiglia, bambini, donne e anziani nei problemi tra le tifoserie; non commette atti di vandalismo e di violenza gratuita». In queste parole di Giorgio riecheggia la ricerca di un’etica dell’ultrà, necessaria per strappare via l’etichetta tante volte a lui sbrigativamente affibbiata dalla stampa e dalla tv di perturbatore fanatico, rissoso, teppistico. Un approfondimento sulle origini del fenomeno ultrà ne sviscera anche le radici culturali, in parte sessantottesche: «Il movimento Ultrà delle origini aveva, prevalentemente, uno spirito antagonista, libertario, anti-autoritario, goliardico e ribelle che lo accomunava con i moti sessantottini». E, in sintesi, tenta di tracciarne un bilancio sociologico: «In alcune città, le passioni politiche e gli ardori ideologici si sono trasferiti dalle aule universitarie e dalle strade alle curve degli stadi. Non possiamo giudicare se sia un bene o un male. Esiste la libertà di espressione e ognuno deve comportarsi come meglio crede, in piena coscienza. Secondo alcune tifoserie organizzate, gli ideali politici non possono essere nascosti perché sono identificati con l’orgoglio campanilistico e con l’identità cittadina. Secondo altri gruppi, invece, la politica deve essere bandita dalle curve che devono pensare solo al tifo».
Guglielmo Colombero
(direfarescrivere, anno XI, n. 118, ottobre 2015)
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