Cinquant’anni fa fu commesso a Catanzaro un misterioso omicidio, rimasto impunito: il primo aprile 1965, verso le 23:30, venne ucciso con vari colpi di pistola Luigi Silipo, funzionario del Partito comunista italiano e sindacalista, mentre rincasava nel proprio appartamento situato nel rione della Maddalena.
La magistratura catanzarese non riuscì a scoprire né l’autore, né il movente dell’inspiegabile assassinio: archiviato il caso, il delitto cadde nell’oblio per quarantasette anni.
A riportarlo alla luce ha contribuito, nel 2012, il romanzo Blocco 521 (Rubbettino) del collettivo Lou Palanca (nom de plume dietro il quale si celano gli scrittori Danilo Colabraro, Fabio Cuzzola, Valerio De Nardo, Nicola Fiorita, Maura Ranieri), che ha proposto varie ipotesi per spiegare la morte del funzionario comunista, senza peraltro risolvere l’enigma.
L’inchiesta di Gemelli
Il giornalista calabrese Bruno Gemelli, suggestionato dalla lettura di Blocco 521, ha condotto un meticoloso lavoro di ricerca, durato quasi tre anni, per ricostruire nei dettagli il “caso Silipo”, fornendone puntuali ragguagli sulle pagine domenicali de Il Quotidiano della Calabria, attraverso un ampio reportage diviso in nove parti.
L’indagine giornalistica di Gemelli è stata recentemente pubblicata in un volume dal titolo Lo strano delitto (Città del sole, pp. 336, € 15,00), che – come scrive il collettivo Lou Palanca nella Prefazione del libro − «consente di comprendere finalmente la complessità del quadro, la difficoltà di decifrare Luigi Silipo, di attribuire i ruoli […] ai personaggi che si muovono attorno al protagonista, di selezionare tra i molteplici moventi della sua uccisione, di districarsi tra dicerie, sussurri, piste, intuizioni, suggestioni».
Il saggio contiene la ristampa di vari articoli di giornale concernenti l’omicidio del sindacalista catanzarese, oltre alle interessanti testimonianze di alcuni personaggi politici che conobbero Silipo e a un’ampia appendice fotografica.
Chi era Luigi Silipo?
Di Silipo non si sa molto: non esiste una sua biografia ufficiale, né la famiglia ha fornito ai ricercatori documenti in grado di ricostruirne fino in fondo la personalità.
Le principali fonti dell’indagine di Gemelli sono costituite dalle testimonianze dei compagni di partito, che lo descrivono come un uomo «timido, introverso, riservato, serio, preparato, rigoroso».
Nato a Napoli nel 1916, Silipo studiò medicina senza laurearsi e in seguito si trasferì con la famiglia a Catanzaro, dove il padre divenne titolare di una gioielleria.
Nel 1941 si arruolò nell’esercito, entrando nel Corpo di spedizione italiano in Russia come soldato aggregato ai carabinieri, e probabilmente operò come agente del Servizio d’informazione militare (il Sim, famigerato servizio segreto militare dell’epoca fascista).
Ritornato nel 1943 dal fronte sovietico in compagnia di Giovanni Mastroianni (che in seguito sarebbe diventato uno tra i più noti intellettuali calabresi di orientamento marxista), Silipo s’iscrisse al Partito comunista italiano nel 1944, ricoprendo l’incarico di segretario provinciale della Federazione comunista catanzarese nel biennio 1948-49.
In quegli anni iniziò a collaborare al periodico Calabria domani, del quale divenne in seguito condirettore, dimostrando grandi doti nell’ambito giornalistico. Nel 1956 entrò a far parte del Comitato centrale del Pci, dal quale però fu escluso nel 1962, forse perché il suo accentuato meridionalismo non collimò con gli orientamenti prevalenti nel gruppo dirigente comunista, che privilegiava il Nord operaio rispetto al Sud contadino.
Silipo, comunque, non fu emarginato, ma venne nominato ispettore della Federazione comunista calabrese e segretario regionale dell’Alleanza nazionale dei contadini.
Il sindacalista catanzarese annoverava tra i suoi amici alcuni noti esponenti del Pci dell’epoca, ai quali Gemelli dedica ampio spazio nel libro: Mario Alicata, deputato e direttore de l’Unità dal 1962 al 1966; Paolo Cinanni, partigiano e dirigente nazionale; Luca De Luca, consigliere comunale e provinciale di Catanzaro, poi senatore dal 1953 al 1968, che nel 1966 fu espulso «per indegnità politica e morale»; Francesco Maruca, militante del Pci fino al 1944 e successivamente attivista del Partito comunista internazionalista; Gennaro Miceli, parlamentare e dirigente nazionale; Luigi Silipo “senior”, membro dell’Assemblea costituente e deputato.
Le indagini sul delitto
Le indagini sul delitto furono condotte parallelamente dai carabinieri e dalla polizia, su disposizione del giudice istruttore di Catanzaro, Salvatore Roberto Trovato, che diresse l’inchiesta giudiziaria.
Del caso s’interessarono anche il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, e il ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, che si premurò di mandare un ispettore ministeriale a Catanzaro «per coordinare il lavoro che avrebbe dovuto essere “d’intelligence”».
Furono seguite varie piste investigative e formulate molteplici ipotesi sui moventi del delitto. Gli organi di stampa si sbizzarrirono nel formulare congetture disparate sulle cause dell’omicidio: l’impegno sindacale di Silipo contro la ’ndrangheta; una presunta relazione amorosa, rimasta segreta; una torbida questione familiare; i rapporti con i servizi segreti italiani e cecoslovacchi (il funzionario del Pci, recatosi varie volte in Cecoslovacchia, era diventato amico di Fëdor Dragutin, un dirigente del Partito comunista cecoslovacco che fu suo ospite a Catanzaro).
Le indagini, tuttavia, non sortirono gli effetti sperati: gli investigatori scoprirono soltanto che due sconosciuti si erano appostati nei pressi dell’abitazione di Silipo poco prima dell’omicidio, mentre sul luogo dell’esecuzione furono ritrovate varie cicche di sigaretta.
Le rivelazioni di De Luca
L’inchiesta giudiziaria riprese vigore a distanza di un anno, in seguito alle rivelazioni di De Luca, che formulò per primo l’ipotesi di un delitto politico, maturato all’interno del Pci calabrese.
In una dichiarazione pubblica, rilasciata il 6 settembre 1966, il senatore asserì che lui e Silipo – entrati in rotta di collisione con la fazione “riformista” – erano impegnati «in una lotta dura ed onesta per il rinnovamento del partito in Calabria», insinuando che questo sarebbe stato il movente dell’assassinio: «È per me orribile anche solo pensare che un compagno abbia potuto uccidere il mio caro amico Luigi Silipo, ma devo dire che è possibile».
Le accuse di De Luca, riprese da importanti quotidiani nazionali come il Corriere della sera e La Stampa, furono avvalorate anche da Raffaele Silipo, fratello della vittima e noto gioielliere catanzarese, ma scatenarono la sdegnata reazione del gruppo dirigente del Pci, allora guidato dal segretario Luigi Longo.
La Direzione nazionale comunista, qualche giorno dopo, pubblicò un comunicato nel quale contestava le accuse mosse agli avversari politici di Silipo e stigmatizzava il comportamento reticente del senatore: «De Luca […] aveva ed ha il dovere di portare a conoscenza, in primo luogo della magistratura che sull’assassinio del compagno Silipo ha condotto una lunga e purtroppo vana indagine, ogni elemento o indizio, che possa condurre all’accertamento della verità».
La “pista politica”, tuttavia, non trovò alcun riscontro investigativo e l’inchiesta giudiziaria terminò con l’archiviazione del caso, senza che si facesse luce sui responsabili dell’efferato crimine.
Le testimonianze degli amici
Nell’ultima parte del suo saggio, Gemelli riporta le interessanti testimonianze di quattro anziani militanti del Pci, che hanno proposto difformi spiegazioni del misterioso delitto.
L’autore, in primo luogo, si sofferma sulle tesi esposte nel libro La Giurlanda. Storie di vita, di lotte e di riscatto (Città del sole) da Ciccio Caruso, esponente del Pci e della Cgil, il quale ha indicato la ’ndrangheta come probabile responsabile dell’assassinio di Silipo, mettendo in evidenza le lotte che egli intraprese nei primi anni Sessanta «contro la rapina di ingenti risorse finanziarie destinate all’agricoltura, operata dalle consorterie mafiose della piana del Lametino».
Gemelli riporta poi il contenuto delle interviste a lui rilasciate da Alessandro Miceli, figlio dell’onorevole Gennaro Miceli, e da Aldo Pugliese, amico e compagno di partito di Silipo.
Miceli, in particolare, descrive un colloquio avvenuto alcuni anni orsono, durante il quale uno degli interlocutori tirò in ballo i servizi segreti per spiegare la morte di Silipo: «Dieci anni fa, quando morì mia madre, vennero a porgermi le condoglianze alcuni compagni di Catanzaro. Il discorso cadde su Silipo e uno di questi mi parlò di servizi segreti».
Pugliese − a suo tempo impegnato nella lotta contro “l’ala riformista” del Pci − ricostruisce il clima di scontro ideologico che caratterizzò il comunismo calabrese nei primi anni Sessanta, ricordando come Silipo appartenesse alla corrente più radicale e fosse «un osso molto duro con cui bisognava fare i conti, non facilmente addomesticabile», senza tuttavia confermare le accuse mosse da De Luca.
L’autore, infine, riporta le parole di Tommaso Rossi, dirigente comunista e parlamentare europeo, che ha affrontato il caso Silipo in alcuni capitoli del libro Il lungo cammino. Dall’Aspromonte a Strasburgo (Città del sole).
Rossi ha avvalorato l’ipotesi del delitto maturato per ragioni familiari e ha escluso ogni coinvolgimento nell’omicidio dei militanti comunisti che s’intrattennero con Silipo poco prima della morte (in particolare Mario Tornatora, che fu l’ultima persona a vedere vivo il sindacalista), rimarcando come «fu grazie alla grande professionalità di un magistrato di Catanzaro, il giudice Trovato, […] che Mario Tornatora […] non fu coinvolto nella vicenda e venne risparmiata al Pci una gravissima provocazione».
Le possibili soluzioni del “giallo”
Gemelli chiude Lo strano delitto ponendosi alcune domande, rimaste finora senza risposta: «Delitto preventivo o delitto a consuntivo? […] Silipo aveva nemici? […] De Luca parlò a vanvera? […] Oppure aveva capito qualcosa senza avere le prove?».
L’autore propone tre possibili soluzioni del “giallo”, senza peraltro sbrogliare l’intricata matassa che ha avviluppato la morte di Silipo: «Il delitto privato, che poi si sfaccettò nel passionale, nel familiare, negli affari, nella vendetta. Il delitto pubblico, che si dipanò nel politico, nel sindacale, nel burocratico. Il delitto spionistico, che avvolse la storia in una nuvola di ulteriori misteri».
Il “caso Silipo” appare ormai avvolto dalle nebbie del passato, similmente ad altri “misteri d’Italia”, sui quali la magistratura non è riuscita ad aprire uno spiraglio di luce. L’omicidio del sindacalista catanzarese, in sostanza, rientra nella casistica dei cosiddetti “delitti perfetti”, che, secondo Gemelli, sono da considerarsi tali «non per capacità e intelligenza di chi li ha commessi, ma, forse, per incapacità e inadeguatezza degli investigatori».
Giuseppe Licandro
(direfarescrivere, anno XI, n. 117, settembre 2015)
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