Anno XXI, n. 230
aprile 2025
 
La cultura, probabilmente
Un viaggio storico nel Mediterraneo
seguendo la scia del Decameron:
da Boccaccio alle immagini di Pasolini
Da Città del sole, un’analisi della società mercantile del ’300
tra suggestioni cinematografiche, letterarie e sociologiche
di Guglielmo Colombero
«Ai tempi del Boccaccio si era usciti – ormai da più di un secolo – dalla mentalità delle crociate, e le tre grandi culture uscite dalle tre religioni convivevano con allegra tolleranza… Questo permetteva il Rinascimento… Che sia nel recupero del passato, il nostro futuro?». Così scrive Renato Nicolini nella Prefazione al saggio Itinerari mediterranei. Simboli e immaginario fra mari isole e porti, città e paesaggi, ebrei cristiani e musulmani nel Decameron di Giovanni Boccaccio (Città del sole edizioni, pp. 144, € 14,00). L’autore, Enrico Costa, docente di Urbanistica dal 1975 presso l’Università mediterranea di Reggio Calabria, ha fondato e diretto collane specializzate come DeUrbanistica per Città del sole edizioni, a cui si affianca il presente volume.

Napoli come crocevia dei sensi: da Boccaccio a Pasolini
«Il Mediterraneo è una dimensione dello spirito, uno stato d’animo che ti pervade e non ti abbandona» afferma l’autore prima di addentrarsi nel variegato e ribollente magma letterario del Decameron che riaffiora nel visionario cinematografico di Pier Paolo Pasolini, primo ed unico, finora, regista italiano a tentare di tradurre in immagini le novelle di Boccaccio. Andreuccio da Perugia, Caterina, Gemmata, Lisabetta, Masetto, Meuccio, Peronella, Ser Ciappeletto, Tingoccio, alcuni dei personaggi più corporei, sanguigni e carnali del Decameron, sono ricollocati da Pasolini nella più emblematica delle città del Mezzogiorno, squisitamente mediterranea anche negli appetiti lascivi di una umanità tanto plebea quanto poco salottiera. Non solo Napoli, ma anche Amalfi, Sorrento, Caserta. La città partenopea appare «degradata ma vitalissima»; non a caso, Alberto Moravia, nella sua recensione di allora, accenna a “umidi e sordidi vicoli” e alla “rozza e rigogliosa campagna campana”. Vedendo comparire Pasolini stesso in alcune sequenze-raccordo del Decameron nei panni dell’allievo di Giotto, Costa osserva che «è fin troppo facile accorgersi che quel “perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?”, e assente dalla sceneggiatura, è stata aggiunta proprio mentre il poeta dirigeva se stesso, quasi a voler tenere per sé la propria creazione artistica. Quasi un’anticipazione dell’abiura – qualche anno dopo – della Trilogia della vita».

Messina risveglia memorie lontane nel tempo
L’autore si sofferma anche sulla propria città d’origine, Messina, in cui Boccaccio colloca la tragedia amorosa di Lisabetta e Lorenzo, che Costa definisce «quasi un racconto rusticano». La sua città, quindi, come luogo simbolico dello stretto, cordone ombelicale fra la Sicilia e la Calabria, «circondata dal mare e immersa nel verde, città mercantile, città con attività portuale con tanto di cantieri navali, città cosmopolita, e città che esportava in tutta la Sicilia l’italianissima arte di arrangiarsi». E poi, lontano dalla frenesia degli scambi commerciali, l’angiporto, «fatto di piccole strade senza uscita, di vicoli stretti con locali equivoci e malfamati, come in tutti i bassifondi cittadini, in cui vivono le persone più povere ed emarginate».

Sulle tracce di Alibech e Rustico: la gioia del peccare
L’antica Hadrumetum, l’odierna Sousse in Tunisia, è uno dei siti archeologici più importanti del paese, utilizzato come set cinematografico per opere del calibro di Atti degli Apostoli di Rossellini e del Gesù di Nazareth di Zeffirelli. Boccaccio vi ambienta la novella a lieto fine di Gostanza e Martuccio, in cui «puoi anche trovare terribili corsari, ma dove ci si capisce anche parlando lingue comuni, e dove valori come umanità, solidarietà e accoglienza possono prevalere su egoismi e incomprensioni». Anche la zona di Gafsa (da Boccaccio chiamata “Capsa in Barberia”) funge da sfondo alla novella, decisamente licenziosa, di Alibech e Rustico: quella del «metti lo tuo diavolo ne lo mio inferno», che ispirò anche alcune commediacce del filone decameronico. Riguardo a questo, Costa sottolinea che nel Medioevo «Gafsa era anche una realtà multi religiosa» e che «Alibech, forse musulmana, era sicuramente tanto giovane, quanto inesperta». Il che, nel racconto, non le impedisce di raggiungere «Tebessa (l’antica Theveste, una città della Numidia), a poco più di un centinaio di chilometri da Gafsa, oltre l’attuale confine fra Tunisia e Algeria, in un ambito territoriale sicuramente desertico, dove potevano anche vivere in solitudine e meditazione santi anacoreti». Asceti non del tutto insensibili alle tentazioni carnali, come il Rustico boccaccesco, tormentato dal suo “diavolo” bisognoso di un “inferno” in cui rifugiarsi.

Una selezione accurata di immagini suggestive
L’appendice iconografica del volume è di pregio assoluto, da assaporare lentamente in ogni minimo dettaglio. La cronologia delle illustrazioni prende spunto dal Mediterraneo del mito: cita Omero nell’anfora attica risalente all’epoca della Prima guerra persiana, raffigurante Ulisse tormentato dalle sirene, e poi Virgilio in un mosaico di Sousse e in un bassorilievo del British Museum, dove rispettivamente si vedono il poeta ispirato dalle Muse e lo sbarco di Enea in terra latina. Prosegue attraverso i secoli servendosi dell’immagine di un Planisferio arabo dell’epoca delle Crociate. Poi, i ritratti di Boccaccio, Dante e Petrarca, dal cromatismo sgargiante, realizzati da Andrea del Castagno nel XV secolo. E ancora, i dipinti moderni: un Winterhalter romantico di metà Ottocento e un Waterhouse preraffaellita di inizio Novecento, entrambi raffiguranti i dieci rifugiati dalla peste del Decameron. Due composizioni dalle sfumature raffinate, in cui i personaggi boccacceschi sono racchiusi in uno spazio scenico teatrale o, se si preferisce, in un’inquadratura cinematografica, con una varietà di fisionomie e di abbigliamento che combina il realismo esteriore con l’introspezione psicologica. Troviamo poi lo sfondo dello stretto di Messina nella visione mistica tardomedievale della Crocifissione di Antonello da Messina e nella luminosità da primo Settecento del San Francesco di Paola di Benedetto Luti. Ai giorni nostri, la gioiosa carnalità del Decameron cinematografico di Pier Paolo Pasolini prorompe dai manifesti pubblicitari: il sorriso fanciullesco di Ninetto Davoli, la faccia da gaglioffo di Franco Citti, l’innocente sensualità dei due ragazzi della novella dell’usignolo. E, come uno sciame di parassiti, le scimmiottature costellate di procaci nudi quasi sempre femminili, testimoni della dilagante mercificazione corporea nel cinema italiano degli anni Settanta. Infine, la storia di Nastagio degli Onesti nei quattro episodi tratteggiati dal tocco sublime del Botticelli: le carni pallide irrorate di sangue della fuggiasca nuda azzannata dai cani e il fluttuante manto purpureo del cavaliere vendicatore, prima isolati sullo sfondo della natura indifferente (l’alta e gelida geometria degli alberi della selva) e poi con l’irruzione traumatica fra gli ospiti del sontuoso banchetto. Infine, le invenzioni antropomorfiche rinascimentali di Joos de Momper (i paesaggi) e di Arcimboldo (le quattro stagioni e i quattro elementi), dense di suggestioni vitalistiche ma anche di cupe avvisaglie della futura corruzione della materia. Conclude Costa: «perché non porsi l’obiettivo di ricreare le condizioni per un’irreversibile ed attiva riscoperta del paesaggio, rigenerando le nostre radici, perché si possa “rilanciare” e “riattualizzare” il “Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia…” […] Perché, assieme alla Democrazia non restituire all’intero Mediterraneo – oltre ai diritti fondamentali come libertà, lavoro, qualità della vita – anche il diritto all’identità e al Paesaggio Mediterraneo, come espressione di una, sia pure composita e per questo unica, civiltà?».

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno X, n. 110, febbraio 2015)
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